
Tanti di noi sognano di fare o essere qualcosa, per poi ritrovarsi a fare tutt’altro senza averlo mai nemmeno immaginato, sognato o amato. E la fortuna vuole che queste strade non desiderate siano poi quelle che ci rendono felici.
Questo tipo di scenario sta diventando sempre più diffuso nel mondo del lavoro di oggi, e lo sarà sempre più domani. E se esistono parole per descrivere il futuro del mondo del lavoro, Silvia Zanella può aiutarci a trovarle.
Madre di un figlio, vicentina di nascita e milanese di “adozione”, scrittrice e blogger (qui il sito), influencer ante litteram, ha curato per Franco Angeli la collana editoriale “Voci del lavoro nuovo”.
Un pensiero mai banale ed una penna fluida, ma ficcante. Consiglio a tutti di leggere il racconto del suo primo colloquio (che potete leggere qui): un manuale di iniziazione al mondo del lavoro.
La vita è quello che ti accade mentre sei impegnato a progettarla: intervista a Silvia Zanella
Ero giovane e incosciente - racconta Silvia - o forse soltanto inconsapevole. Quando ho iniziato a lavorare non conoscevo la direzione da prendere, ma avevo tante idee che presentavo a volte in modo sfacciato. Ancora mi stupisco di aver avuto la possibilità di realizzarle. Sono stata fortunata a trovare persone che hanno creduto in me.
- A proposito di parole, “fortuna” non è molto usata quando si parla di lavoro.
"Per me è una parola centrale, ricorre in tutto il mio percorso. A partire dalla fortuna di avere due genitori che, pur non avendo avuto la possibilità di studiare, mi hanno lasciato libera di fare le mie scelte."
- Anche nello studio?
"Soprattutto nello studio. Sono cresciuta in una famiglia di operai di un piccolo paese del vicentino. Scegliere il Classico - linguistico non era la via più facile, ma era quello che volevo.
Così come iscrivermi a Scienze della Comunicazione: trasferirsi, mantenersi a Bologna, studiare una materia nuova e sconosciuta. I miei avrebbero avuto molti motivi per “farmi riflettere” su altre scelte. Ma hanno creduto in me e quello che sono diventata dopo è anche frutto della loro fiducia."
- Scienze della Comunicazione a fine anni ’90 era appena nata. Perché questa scelta da pioniere?
"Fin dalle medie avevo il sogno di diventare giornalista. Mi appassionavano i telegiornali, la cronaca, i dibattiti politici in TV. Sognavo di far parte di quel racconto.
A 17 anni ho iniziato a scrivere per un giornale locale (Il Gazzettino) ed a 20 sono diventata giornalista pubblicista. Ero talmente convinta di studiare Scienze della Comunicazione che ho sostenuto l’esame di ammissione sia a Padova che a Bologna.
A Padova non fui ammessa, Bologna fu un ripiego. Ripiego che è diventato (ancora una volta) la mia fortuna."
- Avrai dovuto studiare come tutti. Cosa c’entra la fortuna?
"Certo che ho studiato e con ottimi risultati! Scrivere e comunicare sono sempre state mie doti naturali. La fortuna è stata vivere il momento irripetibile nel quale una facoltà di visionari, come reputo Scienze della Comunicazione, stava nascendo.
All’epoca il corso di studi era guidato da Umberto Eco. In quegli anni si è sperimentato un nuovo modello di studio mirato a dare agli studenti non soltanto gli strumenti per comunicare, ma le abilità per aprire la mente, leggere la società, analizzare il mondo ed interpretare la realtà.
Dopo anni in cui è stata considerata una laurea di serie B, oggi Scienze della Comunicazione è una facoltà moderna ed ambita. Se lo è diventata è soltanto grazie a quegli anni irripetibili di Bologna, che ho avuto la fortuna di vivere."
- L’esperienza di Bologna ti ha aiutato ad orientarti nel lavoro?
"Sicuramente ha orientato la mia vita, visto che in quegli anni ho conosciuto anche mio marito! Certezze sul futuro lavorativo invece molto poche.
A parte aver capito che il giornalismo era un mondo difficile, molto selettivo e con barriere all’ingresso che non avrei potuto superare. Per questo iniziai ad interessarmi ad internet, una realtà emergente con prospettive lavorative anche nel mondo della comunicazione.
La verità è che restai in attesa della prima occasione utile, che fu anche quella buona."
- Il famoso colloquio dell’ “e chair”?
"Si, lo racconto nel mio blog. L’intervistatrice ripeteva questo suono che non riuscivo a comprendere. Soltanto alla fine del colloquio ho capito che intendeva HR!
Imbarazzo e incomprensione a parte, da lì è iniziato un bellissimo percorso che mi ha portato a vivere gli anni del boom dei siti di recruiting. Sempre come Responsabile del Marketing e della Comunicazione.
Prima in Job Pilot e poi in Monster, realtà purtroppo scomparsa, ma che ha segnato un’epoca d’oro fatta di idee, talenti, contenuti, qualità. Si sperimentava senza paura, ogni idea poteva diventare realtà e segnare il futuro di un settore.
Grazie a quelle competenze ho potuto fare il salto dal mondo di internet a quello “reale”, entrando in Adecco dove sono arrivata a ricoprire il ruolo di Responsabile della Comunicazione Digital Mondo.
HR e Comunicazione, persone e racconto, lavoro e parole: due facce della stessa medaglia con la quale ho costruito la mia professione."
- Oggi lavori in un’importante società di consulenza. Hai avuto un percorso di successo
"Mi sento fortunata ad essere arrivata dove sono e ad aver vissuto le esperienze che ho raccontato. Ma ci sono stati anche momenti di difficoltà. Quando ero in Monster decisi di dimettermi per andare in una start-up che fallì sei mesi dopo il mio arrivo.
In Adecco, arrivata al culmine della mia carriera, la mia posizione fu soppressa costringendomi a ripartire da zero.
Momenti che non ritengo fallimenti, ma anzi stimoli che mi hanno arricchito consentendomi di aprire lo sguardo anche all’altra faccia del mondo del lavoro: quella fatta di persone deboli, lasciate sole, demotivate, prive di motivazioni e di fiducia."
- Queste esperienze hanno dato gli stimoli per la tua attività di scrittura?
"Ho iniziato a scrivere molto presto forte della mia esperienza sul campo. Soprattutto manualistica e saggistica (fra i principali titoli: “Social Recruiter” e “#Digital Recruiter” di Franco Angeli; “Guida al lavoro” di Mondadori).
Poi ad un certo punto qualcosa è cambiato, ho sentito lo stimolo di uscire da binari fissati e scrivere testi più autentici, liberi, oserei dire “incavolati”. Il mondo del lavoro non è una favola e non può essere etichettato sempre con gli stessi stereotipi. Sono nati così “Il futuro del lavoro è femmina” e “Basta lavorare così” entrambi editi da Bompiani.
Quello che mi interessa è far capire che l’equilibrio tra vita e lavoro è fondamentale, ma non predefinito ed uguale per tutti. Non esiste un interruttore che consente di lasciare il lavoro dentro o fuori dalla propria vita ogni volta che si vuole.
Esistono dei comportamenti che determinano il confine tra questi due mondi e che possono essere dosati dalle persone per raggiungere l’equilibrio desiderato. Ogni persona ha il proprio equilibrio ed io voglio dare a ciascuno gli strumenti per riuscire a trovarlo. Senza buonismo e luoghi comuni."
- Sono queste le “Voci del nuovo lavoro”?
“'Voci del nuovo lavoro' è il nome di una collana editoriale che abbiamo avviato con Franco Angeli per dare ulteriore stimolo a questa narrazione fuori dagli schemi.
Ogni libro una parola da raccontare e per ogni parola un autore in grado di portare un punto di vista autorevole ed originale: Coraggio, Felicità, Partecipazione, Vulnerabilità, Autenticità, Unicità, Ironia, Cura, Presenza, Equilibrio."
- Non mi sembrano parole di uso comune nel lessico del lavoro. Ne hai una preferita?
"Le ho scelte tutte io, non vorrei tradirne nessuna. Forse Felicità è la parola che sorprende di più. Non ti aspetti di trovarla associata al lavoro e del resto nessuno può pretendere che il lavoro porti la felicità.
Al tempo stesso dobbiamo ribellarci all’idea che chi lavora sia per forza infelice. Fuori da ogni retorica buonista, il libro aiuta a capire quanto, in un mondo del lavoro che genera malcontento, i comportamenti di ciascuno di noi possono incidere concretamente sulle persone, aiutandole a vivere (e lavorare) più felici."
- Donna, madre, professionista affermata. Ti senti un esempio di “gender equality”?
"Non mi piacciono le etichette e non voglio essere considerata un esempio. Ho avuto le mie difficoltà, ma sono stata anche fortunata. Dire “io ce l’ho fatta, quindi possono farcela anche le altre” sarebbe sbagliato.
Esiste la possibilità di affermarsi, ma i problemi di fondo derivanti dalla diversità di genere sono ancora ben radicati e devono essere combattuti affrontando con trasparenza i veri meccanismi che regolano la società, la cultura ed il mondo del lavoro. Bisogna evitare di derubricarli a casistiche, descriverli con stereotipi, oppure confinarli in un ghetto.
Quando stavamo progettando “Voci del nuovo lavoro” mi era stato proposto di fare una collana tutta al femminile, proponendo soltanto autrici donne. Ho rifiutato: la parità di genere non passa dal dare spazio soltanto alla voce delle donne, ma dalle idee e dal pensiero di chi si impegna per una vera integrazione. Anche se sono uomini."
- Tu che hai un rapporto privilegiato con le parole, ne hai una da consigliare per chi deve orientarsi nelle prime scelte lavorative?
"A questa domanda preferirei non rispondere. Non dobbiamo illudere gli studenti che esistano delle soluzioni o dei percorsi adatti ad un mondo in continuo e rapido cambiamento. Quando ho scritto “Il futuro del lavoro è femmina” avevo previsto il dilagare dello “smart working”, il libro era pronto a dicembre del 2019 e doveva uscire a marzo 2020.
A febbraio è scoppiata la pandemia, in poche settimane lo smart working è diventato realtà per milioni di persone. Non solo ho dovuto rimandare l’uscita del volume (l’editore non poteva pubblicarlo in pieno lockdown), ho anche cancellato il capitolo in cui parlavo di smart…la mia previsione ormai era stata superata dai fatti!
La parola chiave oggi è incertezza. Di fronte all’incertezza non dobbiamo illudere gli altri che affidarsi a dati, statistiche, esperienze o storie di successo sia una guida per il futuro. Piuttosto consiglio di affidarsi “alla pancia”, al sano intuito che tutti noi spesso proviamo di fronte alle scelte decisive.
La nostra felicità non passerà dall’aver fatto scelte di studio o di lavoro “apparentemente” utili, ma dall’aver valorizzato noi stessi."
Gregorio Moretti
Sono nato nel 1980, laureato in Teorie della Comunicazione, da oltre 20 anni mi occupo di persone nelle aziende.