Fabrizio Del Dongo
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Indice

  1. Introduzione
  2. Il palio di Siena
  3. Ma perché “palio? Che cos’è “un palio”?
  4. Da “palio” a “pallio”
  5. Conclusioni

Introduzione

Nel linguaggio sportivi, soprattutto, sono molto frequenti le espressioni: mettere in palio, essere in palio, riferite ad un premio messo a disposizione del vincitore di una gara, di un incontro, o anche con riferimento ai risultati ottenuti in una competizione: mettere in palio una coppa, mette in palio il proprio titolo di campione. In questa gara è in palio un cellulare ultima generazione e simili, cioè promettere come premio al vincitore una coppa, il titolo di campione, un cellulare.
Queste espressioni, sono usate frequentemente anche nel linguaggio figurato e possiamo quindi affermare, in relazione ad un determinato comportamento o modo di agire, che siamo disposti a mettere in palio il nostro prestigio (= metterci la faccia),, la nostra reputazione; che in tale faccenda è in palio l’onore della famiglia; e così via.

Il palio di Siena

Un po’ meno comuni sono le espressioni correre il palio, vincere il palio, perdere il palio, assistere al palio, riferite alle tradizionali gare che durante il Medioevo e il Rinascimento venivano organizzate in molte città italiane e in particolare a Siena. Famoso è il palio di Siena: una corsa di cavalli (ogni quartiere ha il suo cavallo) che fin dal XIII secolo veniva organizzata in occasione di determinate festività e a cui partecipavano,. Con i propri fantini, le varie contrade della città. Ancor oggi, a Siena, si corre il palio due volte all’anno – il 2 luglio e il 16 agosto – e la festa del palio (che così viene chiamata la giornata in cui avviene la gara), come già un tempo, continua a risvegliare le passioni degli abitanti, oltre ad attirare numerosi turisti, attratti anche dalla bellezza dei costumi medioevali dei partecipanti.

Ma perché “palio? Che cos’è “un palio”?

Si tratta di un panno prezioso, un drappo finemente ricamato o dipinto, che in epoca medioevale veniva assegnato in premio al vincitore di una gara. In un secondo tempo, la parola, per estensione, passò a designare anche la stessa gara in cui veniva assegnato il drappo (= correre il palio); infine, assunse il significato generico di “premio”, facendoci dimenticare, a poco a poco, il panno di partenza e cui la parola era legata.
All’origine della parola, troviamo il termine latino “pallium” (= manto, mantello) il quale, per la precisione vera un telo di lana di forma rettangolare che i Romani, imitando i Greci, indossavano sopra la tunica. Si trattava di un indumento molto semplice e pratico, indossato comunemente, soprattutto da uomini di cultura, come poeti, scrittori, maestri dui retorica o medici, i quali lo preferivano alla toga, meno comoda e riservata alle occasioni solenni.

Da “palio” a “pallio”

Il termine italiano per questo indumento storico è “pallio” che ha mantenuto le due -ll- presenti nell’etimo latino. Con “pallio” per estensione, viene chiamata, nel linguaggio ecclesiastico, anche quella lunga e stretta stola bianca, ornata di sei croci nere e frange, che il Papa, il patriarca e altri grandi dignitari della Chiesa portano sulle spalle nelle solenni cerimonie religiose. Inoltre, nel linguaggio scientifico, viene chiamato “pallio” il mantello dei molluschi, cioè il rivestimento cutaneo che copre il corpo dell’animale e secerne la sostanza che forma la conchiglia.

Conclusioni

Dal latino “pallium” si sono avute due parole: “palio” e “pallio”. La prima, molto diffusa, è ormai in uso solo con valore figurato di “gara”, “premio”, due significati che non hanno più alcun legame col significato d’origine. La seconda, invece, meno nota, è propria come termine specialistico di più campi e i loro significati (mantello, stola, rivestimento) rivelano tutti il modo chiaro il loro legame con l’etimo latino.

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