Concetti Chiave
- Kierkegaard vede la fede come l'unico rimedio alla disperazione, poiché permette di riconoscere la speranza nell'onnipotenza di Dio.
- La fede è considerata un paradosso poiché richiede di accettare ciò che la ragione non può dimostrare, superando la legge naturale.
- La disperazione, secondo Kierkegaard, nasce dal rapporto dell'individuo con se stesso e dal senso dell'impossibilità.
- Quando l'individuo sceglie di realizzare se stesso, si confronta con la propria limitatezza personale.
- Rifiutando se stesso, l'individuo si scontra con una impossibilità maggiore, portando alla "malattia mortale".
Domande Kierkegaard sulle nozioni
• Qual è l’unico antidoto possibile alla disperazione?
L’unico antidoto alla disperazione, per Kierkegaard, è la fede, la fede in Dio, in quanto in Lui tutto è possibile. Essa è l’atteggiamento di colui che cerca se stesso senza illudersi della propria autosufficienza, bensì riconoscendo la speranza nell’onnipotenza di Dio, e di conseguenza va oltre la ragione. Nessuna forma del pensiero religioso è riconducibile alla categoria dell’Intelletto: la fede è perciò paradosso, perché chiede di accettare ciò che la ragione non può dimostrare, ed è scandalo, in quanto chiede di superare la legge della natura.
• Cosa si intende per disperazione?
La disperazione ha origine secondo Kierkegaard nel rapporto del singolo con se stesso e, contrariamente all’angoscia che è determinata dalla coscienza della possibilità, questa sembra nascere dal senso dell’impossibilità.
L’essere, guardando il proprio io, si scopre nullità e può scegliere di volere o non volere se stesso: nel primo caso, l’individuo che sceglie di realizzarsi fino in fondo si trova necessariamente a confronto con la propria limitatezza; nel secondo, invece, l’individuo rifiuta se stesso e si imbatte in una impossibilità ancora più grande.
In entrambi i casi il singolo sarà afflitto dalla malattia mortale, dopo aver affrontato il proprio fallimento.