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Sintesi

Stoicismo


La gnoseologia degli stoici: dalla sensazione alla rappresentazione catalettica
Come si fa a stabilire quando un’ipotesi è vera? Per rispondere è necessaria una gnoseologia, ossia una teoria della conoscenza in grado di verificare quando e come i contenuti mentali di cui si occupa la logica aderiscano alla realtà.
A volte l’origine di una parola è molto istruttiva: Zenone parlava di rappresentazione come le impressioni fisiche registrate dagli organi di senso, di assenso come l’atto mentale che accetta le impressioni, trasformandole in una compiuta e significativa immagine mentale, di comprensione, ossia l’attività intellettuale che categorizza un oggetto come appartenente ad una classe concettuale e quindi lo comprende nel suo significato e di scienza come il possesso di un sapere saldo e ben argomentato.
Secondo gli stoici le rappresentazioni concettuali che la mente forma in corrispondenza delle impressioni non sono necessariamente vere, come invece sostiene Epicuro. Solo dopo essere passata dal filtro del libero assenso, ossia un libero giudizio della mente, una rappresentazione può essere detta “catalettica” ed essere assunta come valida.
Gli stoici consigliano di affrontare l’atto mentale dell’assenso attenendosi al criterio dell’evidenza, secondo il quale si deve concedere il proprio libero giudizio della mente solo alle impressioni evidenti, in sé non contradditorie, percepite in uno stato di coscienza affidabile. Criteri troppo elastici potrebbero avvalorare impressioni false, criteri troppo rigidi potrebbero impedire di vedere.

La fisica: organicismo e panteismo


Il concetto fondamentale della fisica stoica è quello di un ordine immutabile, razionale, perfetto e necessario che governa e sorregge infallibilmente tutte le cose, facendo sì che esse siano e si conservino quelle che sono. Quest’ordine è identificato dagli stoici con Dio stesso visto che la loro dottrina è un rigoroso panteismo. Il mondo è un sistema totalmente razionale. Ogni cosa che esiste e il cosmo nel suo complesso hanno una ragione per essere come sono; esprimono una necessità e sono “intrisi di lόgos”. Nel linguaggio stoico è indifferente usare i termini “ragione”, “Dio”, “lόgos”, “ragione”, “spirito”, “vita”, “natura” o “pneuma”. Il lόgos è identificato con il pneuma cosmico, un “vento caldo e spirituale”, universalmente diffuso, tramite il quale la divinità dà vita al cosmo nel suo complesso e singolarmente ad ogni essere che lo abita, vivificandolo, ordinandolo e dirigendolo.
Il pneuma è una sostanza corporea quindi anche le cose all’apparenza immateriali sono, in realtà, corpo. Lo stoicismo professa un rigido materialismo: corporea è la materia come corporeo è il pneuma. La sostanza da cui ogni cosa nasce è la materia, il principio passivo (la sostanza spoglia di qualità); la forza da cui ogni cosa è fatta è Dio, il principio attivo (Dio che agendo sulla materia produce gli esseri singoli). Il pneuma non è altro che una materia molto sottile di cui è fatto tutto ciò che solitamente si definisce spirituale: l’anima, i sentimenti, le emozioni e il pensiero, logica e razionalità comprese. Anche i pensieri sono fatti di materia: tutto è materia, ragione, anche l’anima. Quindi il razionalismo corrisponde al materialismo perché la materia è anche ragione.
La divinizzazione del pneuma implica (Dio è l’ordine necessario del mondo) una serie di rilevanti conseguenze: la prima è il panteismo. Il panteismo implica che Dio è tutto, ossia che ogni cosa è permeata da un Dio immanente o che l’universo e la natura sono equivalenti a Dio (Deus sive natura → Dio ossia la natura). Se c’è un principio divino questo corrisponde alla ragione: c’è una coincidenza tra la divinità e la natura. La natura è Dio e Dio è la natura, il pneuma divino è la natura della natura. Ogni cosa è divina, ogni cosa è parte di Dio: tutto è divinizzato. Il filosofo Spinoza alla fine del 1600 disse la stessa cosa (ogni cosa è divinizzata) e sarà accusato di ateismo per aver detto queste cose. Giordano Bruno sarà persino mandato al rogo per aver affermato queste cose (negazione della creazione divina, dell'immortalità dell'anima; affermazione dell'infinità dell'universo e del movimento della Terra, dotata anche di anima; concepimento degli astri come angeli) e non averle rinnegate: martirio della filosofia.
Nella concezione stoica ogni cosa possiede un’anima perché partecipa al pneuma. Anche la materia nelle sue forme più semplici partecipa all’anima pneumatica. Tutto è donato di vita, anche ciò che per sua natura non è capace di movimento, quindi l’anima è presente in ogni cosa. Ad esempio, rompere un sasso è faticoso perché bisogna vincere una forza che si oppone alla rottura.
In quanto partecipano al pneuma universale, anche la Terra, la Luna e i pianeti sono esseri viventi. È un approccio che oggi chiameremo ecologico, in cui la natura e la Terra nel loro complesso sono considerate qualcosa di vivo. Gli stoici hanno quindi anticipato il concetto di ecosostenibilità, quel modello di sviluppo in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Questa definizione è nata dalla presa di coscienza che le risorse del Pianeta non sono infinite, vanno preservate con cura, senza sprechi, rispettando ecosistemi e biodiversità. Nella concezione stoica il principio organicistico si applica in ogni essere e quindi anche al cosmo: l’intera realtà deve essere considerata come un grande animale in vita. Se anche odiernamente noi pensassimo questo, rispetteremo meglio la natura.
Il vitalismo organicistico con cui lo stoicismo pensa la natura determina ad esempio l’idea di una ciclicità del tempo e quindi di un ripetersi della storia del mondo. Ogni fine di un ciclo avviene attraverso il fuoco, in una conflagrazione universale che si verifica ogni 36.000 anni circa, cui segue una reintegrazione che dà origine ad un nuovo ciclo di vita. Gli stoici chiamano questo ristabilimento apocatassi o palingenesi. Tutto termina con un fuoco primordiale, che come un seme ha in sé tutte le ragioni e tutte le cause degli esseri che furono, che sono e che saranno.
Secondo gli stoici, infatti, sotto l’influsso del pneuma che lo anima, ogni essere si sviluppa secondo un piano prefissato, come un seme. Gli stoici parlano di “ragioni o cause seminali”, volendo indicare quegli elementi di razionalità immanente che, presenti in ogni cosa, ne determinano l’evoluzione. Dunque ogni mutamento è sempre necessario e predeterminato. Nascita dell’universo: nel fuoco primordiale sono già presenti, anche se non ancora operanti, tutte le cause che durante la crescita del mondo produrranno ogni forma di divenire. Queste ragioni seminali sono spesso mescolate l’una con l’altra, ma sviluppandosi si separano e danno luogo ad esseri diversi.
Tutto rinasce esattamente come nel ciclo precedente o seguente, attraverso un successivo alternarsi di distruzione e rinascita (eterno ritorno). Nell’apocatassi, al rinnovarsi del Grande Anno del mondo, tutto si ripeterà persino nei minimi particolari. A questa concezione ciclica stoica si contrappone la visione cristiana all’interno della quale non si può assolutamente parlare di ciclicità.
In polemica con gli epicurei, gli stoici insistono sulla non esistenza della casualità: i fenomeni della natura sono collegati fra loro dalla legge di causa-effetto. Lo stoicismo dà dignità filosofica alla nozione di fato, all’idea cioè che gli avvenimenti che si svolgeranno nel futuro siano già inscritti e potenzialmente prefissati nelle cause seminali agenti nel presente. Ogni uomo ha quindi un proprio destino. Secondo gli stoici il “destino” si identifica con l’ordine necessario del mondo e con la concatenazione causale che lega gli esseri tra loro. E poiché tale ordine procede da Dio, il destino non è un’entità malefica o cieca bensì una struttura benefica e razionale, che fa un tutt’uno con la provvidenza.
Una deduzione che deriva da queste argomentazioni è l’ammissione della possibilità di conoscere il futuro. Gli stoici ammettono la mantica, ossia l’arte della predizione divinatoria del futuro.
L’enfasi sui concetti di fato e di eterno ritorno rende problematica l’affermazione della libertà umana che, per quanto limitata non è universale, perché solo il saggio ha la capacità di non opporsi al proprio destino. La filosofia stoica prevede che il futuro sia determinato, già dettato, già programmato pertanto la libertà viene meno; per sentirci liberi dobbiamo vivere secondo ragione. La libertà consiste nel capire che il mondo è così com’è (un mondo già programmato), ma ognuno si può ritagliare la propria. Quindi per gli stoici la libertà consiste nell’autodeterminazione, cioè nell’essere causa di sé. In questa prospettiva, solo il sapiente è davvero libero, perché egli solo si determina da sé. La vera libertà, tuttavia, secondo gli stoici si identifica con il conformarsi all’ordine cosmico, e quindi coincide con la necessità.

L’etica degli stoici: ragione e felicità


L’etica stoica è sostanzialmente una teoria dell’uso pratico della ragione cioè dell’uso della ragione al fine di stabilire l’accordo tra la natura e l’uomo. Lo stoicismo pone a fondamento della propria proposta etica l’osservazione che tutti gli esseri tendono a realizzare pienamente sé stessi e raggiungono questo obiettivo ponendosi in sintonia con l’ordine divino e perfetto che regola la natura e l’intero universo. Sentirsi parte della natura per l’animale significa seguire l’istinto, per l’uomo seguire la ragione.
Dall’esercizio dell’etica, ossia dall’uso partico della ragione, deriva la felicità, che gli stoici considerano un bene prezioso, concordando in ciò con Epicuro. L’unica felicità possibile è la soddisfazione, la pace interiore che nasce dalla consapevolezza di aver compiuto in ogni caso il proprio dovere, ossia di aver posto il proprio comportamento sotto la guida della ragione. Vivere secondo natura è vivere secondo ragione.
Se gli stoici invitano a seguire la ragione è perché sono consapevoli che, di fatto, gli uomini non la seguono o la seguono solo in dipenda la loro stessa felicità. La ragione fondamentale di questo comportamento è che in moltissimi adulti la razionalità è malata perché corrotta dal vivere nella società, che instilla nella loro mente false opinioni, suggerisce falsi valori e offre pessimi esempi spacciandoli come atti di santità o eroismo. La terapia stoica pone quindi come recupero della natura originaria dell'uomo.
Come Epicuro, anche gli stoici invitano a prendere il bambino come modello. Giovanni Pascoli, nelle celebri pagine del Fanciullino (1897), ha teorizzato la sua poetica. Sono gli stessi anni in cui D’Annunzio ha elaborato il mito del «superuomo». Il titolo Fanciullino deriva da un passo del Fedone di Platone: Cebes, pensando alla morte di Socrate che stava per bere la cicuta, si mette a piangere. Socrate lo rimprovera per quel pianto e Cebes si scusa dicendo che non è lui che piange ma il fanciullino che è in lui. Gli occhi del fanciullo scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose. Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente tra l’oscuro tumulto dell'anima.
Ciò che il modello dei bambini indica è che vi è in ogni individuo un innato orientamento verso il bene. La terapia stoica fa leva su questa fondamentale ragionevolezza di base per curare i guasti prodotti dal vivere in una società malata.
La razionalità, che nel bambino si esprime come un orientamento innato verso l'auto- conservazione, diventa nell'adulto comprensione dell'ordine che regge il mondo e quindi coscienza del proprio dovere. É merito degli stoici l'aver per primi analizzato la nozione di «dovere». Doverosi sono tutti gli atti che rispondono all'ordine razionale dell'esistenza, che esprimono un comando della coscienza. Simmetricamente, sono contrari al dovere tutti gli atti che la ragione giudica negativa- mente, mentre sono eticamente indifferenti quelli che la ragione né vieta né consiglia. Il dovere tuttavia non è il bene. Il bene comincia a esserci quando la scelta consigliata dal dovere viene ripetuta e consolidata, mantenendo sempre la sua conformità alla natura, fino a diventare nell’uomo una disposizione uniforme e costante cioè una virtù. Le virtù è veramente l’unico bene.
Vivere secondo ragione, per gli stoici, significa vivere esclusivamente secondo ragione. Ciò comporta che emozioni e sentimenti, in quanto fonte di errori per la ragione, dovrebbero essere estirpati dall'animo, o per lo meno tenuti sotto strettissimo controllo. Non bisogna lasciarsi trascinare dall'odio, ma neppure dall'amore. Per gli stoici, odio e amore, sono sentimenti che si equivalgono. Si deve evitare l'invidia, l'ira, la gelosia, ma anche la pietà, la compassione e la misericordia. Tutte sono passioni, quindi vizi dell'anima.
Ricercando l'apatia (o atarassia), ovvero l'eliminazione di ogni forma di turbamento emotivo, lo stoico affronta la vita lasciandosi guidare solo dalla ragione. Se anche la sua vita dovesse mutare, tanto nel bene quanto nel male, rimarrebbe comunque indifferente. Eliminando ogni forma di emozione raggiunge una dimensione di indifferenza che lo porta alla felicità, che è infatti l'assenza di ogni passione, la capacità di rimanere intimamente inalterabile. É questo il senso ultimo dell'imperturbabilità del vivere stoico.
La filosofia stoica, ma anche quella epicurea e la mentalità ellenistica in genere, ipotizzano una natura cognitiva delle emozioni, sottolineando la loro stretta dipendenza da determinate credenze o convinzioni. Dietro a ogni passione vi sono sempre convinzioni che la determinano. Per gli stoici non esiste una parte irrazionale dell'anima, da cui nascerebbero le passioni. Queste possono essere generate solo da un cattivo uso della ragione stessa. Si prenda ad esempio l'ira, una passione cui gli stoici. Perché l'ira scoppi bisogna che il soggetto sia convinto: 1) di aver subìto un torto da qualcuno; 2) che si tratti di qualcosa di importante; 3) che ci sia stata una deliberata volontà di offendere; 4) che sia necessaria una qualche ritorsione.
Ciò che si è detto per l'ira vale per tutte le passioni perché queste indeboliscono l’uomo. Si tratta di sottoporre a revisione critica il proprio sistema di valori: le emozioni cambieranno di conseguenza. Se agire sulle emozioni direttamente nel momento in cui scoppiano è impresa ardua, è invece possibile modificarle e prevenirle con l'educazione intellettuale e l'esercizio dell'autocontrollo.
La possibilità di un controllo razionale delle passioni è ribadita dagli stoici, in sede di analisi psicologica, con la dottrina dell'assenso. Sembra plausibile che l'assenso risulti determinante nella sfera emotiva. Ogni passione, anche quella più travolgente, necessita sempre di un atto di libera decisione del soggetto. Senza assenso non vi sarebbe libertà: l'uomo sarebbe costretto a reagire agli stimoli come gli animali. Quindi parte integrante dell’etica stoica è la negazione totale del valore dell’emozione (pathos).
Tutto ciò che è relativo al corpo deve essere dunque considerato con indifferenza. Il saggio è completamente indifferente a tutte queste cose. Egli ha naturalmente una preferenza per le cose positive, ma solo quando il loro conseguimento non richieda il minimo sforzo. Dovendo scegliere se essere ricco o povero, lo stoico sceglierebbe la ricchezza, ma non concederà un grammo della sua energia per diventare ricco.
Con il tempo i buoni comportamenti si fissano naturalmente in abitudini comportamentali che chiamiamo virtù. L’abitudine fortifica la virtù. La filosofia dell’età moderna dirà che l’abitudine, intesa come intenzione non propria, da un punto di vista coscienzioso non è del tutto corretta perché ciò che fai perde il suo valore.
Poiché è fondata sulla ragione, l'etica stoica aspira ad essere, in un certo senso, una scienza. Non esistono comportamenti quasi virtuosi o viziosi. Un codice etico non può ammettere mezze misure: le sfumature non esistono. Si tratta di una scelta di vita: o si è virtuosi o si è viziosi, senza intermedi. Tra la virtù e il vizio pertanto non c’è via di mezzo. Chi ha la retta ragione (il saggio) fa tutto bene e virtuosamente, chi non ce l’ha (lo stolto) fa tutto male e in modo vizioso. Questa visione è piuttosto superficiale e facilmente criticabile. Per Aristotele invece la virtù consisteva proprio nella disposizione a scegliere il giusto mezzo tra due estremi viziosi, di cui uno pecca per eccesso, l’altro per difetto.
La facoltà dell'assenso si esercita in due modi: come accettazione della necessità provvidenziale che governa tutte le cose e, di conseguenza, come rifiuto di ogni situazione in cui l'autodeterminazione razionale diventa impossibile, mettendo così a repentaglio la stessa dignità umana. Il valore dell'autodeterminazione va considerato superiore a quello della vita stessa e ciò rende doveroso il suicidio quando nessun’altra soluzione è possibile. Giustificabilità del suicidio → lo stoico può anche accettare il suicidio come atto conclusivo del compito riservatogli dal destino (adempire al suo dovere), purché sia appunto una scelta deliberata, cioè dettata dalla ragione. Ci furono molti suicidi, ad esempio Zenone, Cleante, Catone l’Uticense (preferì il suicidio all’umiliazione di farsi graziare da Cesare e di assistere alla fine dei valori repubblicani di Roma che lui sosteneva) e Marco Giunio Bruto (uno dei cesaricidi).
Mentre per Epicuro il cattivo influsso della società può essere combattuto solo con la fuga dalla società stessa, gli stoici non perdono mai di vista l'orizzonte necessariamente sociale in cui può attuarsi la salvezza dell’individuo. È necessario l'impegno nel miglioramento della società. L’uomo non è fatto per vivere nascosto (mettono in discussione Epicuro); è per natura un animale socievole, e per questo realizza pienamente sé stesso solo nell'ambito di una comunità. Lo stoico dice che l’uomo deve vivere con gli altri ma allo stesso tempo deve difendere le proprie idee.
Con gli stoici si afferma per la prima volta nella storia dell'Occidente l'ideale cosmopolitico. Il lógos, la legge di natura, non ha sedi privilegiate in alcun popolo; è uguale per tutti, non ci fa cittadini di questo o quello Stato particolare, ma cittadini del mondo. Non devono esistere frontiere politiche, economiche e sociali. Esiste una fondamentale uguaglianza fra gli uomini, e tutti possono ambire alla virtù e alla felicità che ne consegue. In disaccordo con Aristotele gli stoici dicono che per natura non esistono schiavi ma siamo tutti uguali.
L'idea dell'essere umano come cittadino del mondo è intesa da alcuni stoici come un incitamento ad abolire le nazioni e a istituire un nuovo ordinamento mondiale.
Agli stoici spetta infine il merito di avere per la prima volta elaborato l’idea dei diritti naturali: i princìpi sono eterni, universali e inappellabili perché conformi alla razionalità e quindi alla giustizia.

La fisica di Epicuro: la ripresa dell’atomismo


Lo scopo della fisica epicurea è fornire le basi scientifiche per la liberazione da ogni forma di paura, quindi escludere dalla spiegazione del mondo qualunque causa soprannaturale. Bisogna sapere come la natura è fatta senza altri pensieri come ad esempio il condizionamento di carattere religioso.
Epicuro, come gli stoici, afferma che tutto ciò che esiste è corpo, perché solo il corpo può agire o subire un’azione; di conseguenza ogni nascita o morte non è che aggregazione o disgregazione di corpi. Epicuro perciò ammette come Democrito che nulla viene dal nulla e che ogni corpo è composto di atomi che si muovono nel vuoto. Gli atomi sono indivisibili, invisibili, infiniti di numero, diversi fra loro per forma e grandezza e perennemente in movimento. Per rendere pensabile il loro movimento bisogna ammettere l’esistenza del vuoto che è incorporeo. Nello spazio infinito esistono infiniti mondi, ognuno dei quali costituisce solo una delle infinite possibilità di aggregazione atomica (la materia è sempre distinta). Tutti i mondi si formano in virtù del movimento degli atomi nel vuoto infinito. La vita è unione, aggregazione di atomi; la morte è separazione, disgregazione di atomi.
L’accettazione della fisica atomistica permette a Epicuro di escludere ogni forma di finalismo: gli atomi infatti non si muovono in vista di uno scopo. Il secondo vantaggio è quello di fondare secondo modalità scientifiche una visione rigidamente materialistica. Gli dèi hanno forma umana e intrattengono gli uni con gli altri un’amicizia analoga a quella umana e abitano gli spazi vuoti tra mondo e mondo. Non si curano né del mondo, né degli uomini. L’anima è composta di particelle corporee, anche se di particolare qualità: sono atomi caldi e sottili assai simili a quelli che formano il vento. La loro proprietà peculiare è la ricettività, ovvero la capacità di lasciarsi impressionare dagli altri atomi che li colpiscono. Con la morte, gli atomi dell’anima si separano e ogni possibilità di sensazione viene meno: la morte è privazione di sensazioni, perciò è stolto temerla.
Epicuro esclude la possibilità del determinismo, cioè l'idea, già professata da Democrito, che tutti i fenomeni naturali siano fra loro collegati da connessioni necessarie di causa-effetto.
Per negare il determinismo, Epicuro introduce alcune varianti alla dottrina di Democrito. Questi sosteneva che l'aggregarsi dei corpi sia l'effetto di movimenti vorticosi di atomi: questi ultimi non hanno peso e fluttuano liberamente nel vuoto; la loro tendenza però è quella di ammassarsi formando aggregati, che attraggono sempre più materia e generano, in modo automatico e meccanico, moti vorticosi. Epicuro postula che il processo avvenga secondo un modello differente: contrariamente a Democrito, afferma che anche gli atomi sono dotati di peso e che quindi si deve pensare il loro movimento come un moto di caduta libera nel vuoto. Accade però che tale moto sia a volte perturbato da una deviazione casuale e imprevedibile (clinámen) di alcuni di essi, che, deviando dalla traiettoria verticale, finiscono per urtare altri atomi dando origine agli ammassi primitivi di materia. Il clinámen rende tutto più incerto e determina la libertà di movimento. La dottrina del clinámen non è formulata in alcun testo di Epicuro a noi pervenuto, ma è presentata da Lucrezio (98 ca. - 54 ca. a. C.) nel De rerum natura. Secondo il poeta latino la si può intuire in analogia con le particelle di polvere che si vedono in una stanza attraversata da un raggio di sole.
Poco importa a Epicuro se la teoria del clinámen implica che gli atomi abbiano un peso, negando così uno dei principi della fisica democritea. A lui interessa affermare l'esistenza del caso, di un elemento di imponderabilità che permea la natura nel suo intimo. Il futuro è prevedibile solo in parte: necessità e fato non sono tiranni implacabili e le vite degli uomini non sono già inscritte in alcun destino. Se persino gli atomi non sono sempre soggetti alle leggi della fisica e possono effettuare delle deviazioni imprevedibili, a maggior ragione deve esistere anche per l'uomo la possibilità di operare scelte autonome e volontarie. La teoria del clinámen diventa quindi il fondamento materialistico e scientifico di una dottrina della libertà umana.
In polemica con gli stoici Epicuro nega quindi l'esistenza di un piano divino (o più semplicemente razionale) strutturante le vicende umane. Dolore sofferenza non sono conciliabili con l'esistenza di una divinità onnipotente. C’è il bene ma anche il male: non tutto è prevedibile. Sant’Agostino nega la possibilità che il male assoluto esista.
La fisica epicurea si completa con la teoria degli effluvi, introdotta da Epicuro per su basi scientifiche la veridicità delle sensazioni. Essa spiega la percezione visiva sul modello dell'odorato. Quando si avverte un profumo è perché gli atomi che formano la parte sensibile delle narici sono stati impressionati da altri atomi provenienti dall'esterno. Analogamente, per Epicuro, quando si vede un oggetto, gli atomi sensibili dell'occhio sono colpiti da altri atomi provenienti dall'oggetto stesso. Da ogni corpo, infatti, si staccano continuamente effluvi, frammenti infinitesimi e invisibili di materia che si diffondono nello spazio conservando la disposizione e la forma originarie (eídola). La percezione visiva è quindi una funzione del tutto passiva, l'occhio si limita a registrare la presenza o l'assenza dei corpi, come uno specchio.
Rapporto tra la fisica di Epicuro e quella di Democrito → 1. Epicuro ritiene che gli atomi, pur essendo fisicamente o ontologicamente indivisibili, siano logicamente o mentalmente divisibili in frammenti, o “parti”, di grandezza inferiore: i cosiddetti “minimi”, i quali, a loro volta, non risultano più divisibili nemmeno dal punto di vista teorico. 2. Mentre Democrito aveva distinto gli atomi secondo “figura”, “ordine” e “posizione”, Epicuro li distingue per “figura”, “peso” e “grandezza”. 3. Mentre per Democrito gli atomi avevano come proprietà strutturale il movimento, il quale rappresentava un dato originario della materia e quindi non aveva bisogno di essere “dedotto”, Epicuro per spiegare il moto ricorre invece al peso, il quale fa sì che gli atomi “cadano” nel vuoto in linea retta e tutti con la stessa velocità (clinámen). 4. L’idea del clinámen, inoltre, del tutto estranea alla fisica democritea, introduce nella prospettiva dell’atomismo l’idea di casualità. Il clinámen è propriamente la deviazione spontanea degli atomi nel corso della loro caduta nel vuoto in linea retta.

L’etica: una visione edonistica


Epicuro afferma che il piacere è il fine di una vita felice, il bene primo che muove ogni nostra scelta. La felicità consiste quindi nel piacere, criterio della scelta e dell’avversione. Si tende al piacere, si sfugge dal dolore. Per quanto riguarda piacere e dolore, non sono possibili errori di valutazione, perché si tratta di verità immediate che superano la prova dell'evidenza. Quando segue la propria natura o il proprio istinto, ogni individuo cerca di diminuire il dolore e massimizzare il piacere.
In polemica con Aristotele, che aveva sostenuto la superiorità dei piaceri spirituali rispetto a quelli materiali, Epicuro sottolinea l’imprescindibile connessione fra la ricettività sensoriale e ogni tipo di piacere.
«Piacere» è però una parola equivoca. Si potrebbe intendere il principio epicureo come un invito a soddisfare tutte le occasioni di possibile piacere con qualunque mezzo, senza rinunciare a nulla e senza mai accettare sacrifici. Si cadrebbe così in un'etica edonistica, dalla quale in realtà il messaggio epicureo è molto lontano. L’uomo deve però capire come regolare il piacere, ci deve essere una ricerca del piacere senza il superamento dei limiti.
La dottrina epicurea veniva accusata, ad esempio, di proporre un tipo di vita non dissimile da quello degli animali, tutto dedito alla ricerca del piacere e delle soddisfazioni dei sensi. Ma Epicuro non intende in questo modo la vita animale. Egli ammira gli animali perché realizzano per via istintiva ciò che l'uomo può raggiungere solo a seguito di un lavoro su sé stesso.
Oltre all'animale, anche il bambino rappresenta un modello di esistenza naturale e non ancora corrotta dalla società. Il suo comportamento dimostra che per natura e senza alcun insegnamento l'essere vivente fugge il dolore e cerca il piacere: appena nato, e non ancora schiavo di alcuna opinione, piange e geme non appena si sente raffreddato da un soffio d'aria. Lo scopo della filosofia infatti è ripristinare le sane tendenze istintive, le inclinazioni naturali.
Per Epicuro “piacere” e “felicità”, che sono attimi di beatitudine, non possono essere lo scopo della vita, perché, a ben guardare, l'intensità di tali gioie si accompagna a una forte instabilità. Il problema della felicità deve essere analizzato secondo il criterio della stabilità: Epicuro distingue due tipi di piaceri. Il piacere da ricercare non deve essere quello cinematico (in movimento), che consiste nella gioia e nell’allegria, ma quello catastematico, stabile e costante, che consiste nella privazione del dolore.
La felicità consiste solo nel piacere stabile o negativo, una condizione di armonia con sé stessi e con l’ambiente, ed è quindi definita come atarassia (assenza di turbamenti dell'anima e di desideri inutili) e aponia (assenza di sofferenza fisica); 2) (atarassia). Il significato di questi due termini oscilla tra la temporanea liberazione dal dolore del bisogno e l’assoluta mancanza di dolore. Anche le passioni sono pericolose. Nella ricerca del piacere ciò che conta è la saggezza, l'arte di seguire la retta ragione nella condotta della propria vita. La saggezza è anche più preziosa della filosofia, perché da essa nascono tutte le altre virtù e senza di essa la vita non ha né dolcezza, né bellezza, né giustizia. Alla saggezza è dovuto il calcolo dei piaceri, la scelta e la limitazione dei bisogni e quindi il raggiungimento dell’atarassia e dell’aponia.
Condizione necessaria al raggiungimento dell'atarassia e dell’imperturbabilità è l'annullamento dei quattro turbamenti fondamentali che agitano l'animo umano: 1) il timore degli dèi, che Epicuro dimostra dicendo che gli dèi per la loro natura beata non si occupano delle faccende umane; 2) la paura della morte, che Epicuro condanna dimostrando che essa non è nulla per l’uomo “quando ci siamo noi la morte non c’è, quando c’è la morte non ci siamo noi”; 3) l'ansia di raggiungere la felicità: Epicuro dimostra l’accessibilità del limite del piacere cioè la facile raggiungibilità del piacere stesso; 4) la paura del dolore fisico: il limite del male è lontano. Contro questi veleni dello spirito la filosofia deve agire come una vera e propria medicina. Gli epicurei chiamano ciò quadrifarmaco, che vuol dire letteralmente «medicina composta di quattro ricette», questa massima fondamentale, che riassume il loro punto di vista sui quattro turbamenti. Con Epicuro la filosofia si confonde con la psicologia e assume la funzione di farmaco, di terapia. Epicuro è considerato il “medico dell’anima”. In Aristotele la filosofia era intesa come amore libero e disinteressato della conoscenza e coincide dunque con la sapienza.
Epicuro attribuisce particolare importanza alla questione della paura degli dèi. Essi esistono senz'altro: lo prova il fatto che tutti gli uomini ne hanno un'«anticipazione» per molti versi simile. Gli dèi sono numerosissimi, parlano la lingua dei sapienti (il greco) e vivono negli «intermundi», cioè negli spazi esistenti fra mondo e mondo. Perfetti nella loro beatitudine, trovano gioia nella reciproca compagnia e quindi si disinteressano totalmente della vita degli uomini. Ogni cura di questo genere sarebbe contraria alla loro perfetta beatitudine giacché imporrebbe loro un obbligo ed essi non hanno obblighi, ma vivono liberi e beati.
La morte, afferma Epicuro, non è nulla per noi. Di solito associamo alla morte l’idea del dolore ma la morte non può essere dolore. Piacere e dolore sono sensazioni mentre la morte è assenza di sensazioni. Quando ci siamo noi essa non c'è; quando essa arriva non ci siamo più noi. La morte, insomma, non è un'esperienza possibile, ed è quindi assurdo averne paura. La paura della morte spesso si basa sull’idea che dopo la morte l’anima avrà dei problemi da sopportare sulla base di quello che ha compiuto nella propria vita. Ma se noi consideriamo che l’anima non è immortale e che anche l’anima muore insieme al corpo, la morte non è per noi un motivo di paura perché non proveremo più nulla dopo quel momento. Gli atomi semplicemente si disaggregheranno e quindi l’individuo non esisterà più. Allora cosa può restare? La paura della sofferenza che precede la morte. Ma a questo punto non dovremmo chiamarla paura della morte ma paura della sofferenza o della malattia e si tratta di un concetto diverso. La morte in quanto tale non ci riguarda e quindi non può creare in noi alcun elemento di paura.
Il dolore va dominato, per quanto è possibile, riflettendo sul fatto che esso non è così tremendo come lo si può immaginare. Epicuro non nega affatto l'esistenza del dolore fisico, avendo lui stesso dovuto sopportare lunghe malattie alle viscere. Ma proprio il modo decoroso in cui lo fa, il suo rifiuto di lamentarsi, la serenità e il sorriso che mai gli vengono a mancare, neppure durante l'agonia, costituiscono la parte più convincente del suo messaggio. L'epicureismo non è solo una scuola filosofica, ma anche una setta fondata sull'esempio del maestro.
È necessario fare una distinzione fra: 1) desideri naturali e necessari, come avere di che nutrirsi e di che coprirsi quando si ha freddo, la cui mancata soddisfazione avrebbe gravi conseguenze sulla tranquillità dell'animo; 2) desideri non naturali e non necessari, da respingere sempre perché la ricerca della loro soddisfazione sarebbe causa di turbamento, come nel caso di chi ambisce alla bellezza del corpo, alla ricchezza e al potere; 3) desideri naturali non necessari, come vestirsi bene e mangiare in modo raffinato, che possono essere soddisfatti finché non diventano troppo impegnativi e solo quando il calcolo razionale garantisce un saldo positivo fra vantaggi e svantaggi.
Epicuro propone di applicare il metodo matematico al problema del piacere, di procedere cioè a un vero e proprio calcolo che tenga conto sia della desiderabilità di un piacere sia degli sforzi e dei sacrifici necessari per ottenerlo, non solo nel presente ma anche nel futuro. Il calcolo deve garantire l'esercizio della prudenza, la difficile arte di evitare guai a sé stessi, che Epicuro considera «il massimo bene», più apprezzabile della filosofia stessa.
La filosofia epicurea è quindi un sapere finalizzato che, sotto la guida della saggezza, insegna a pensare correttamente, non per raggiungere una qualsivoglia verità ma per vivere bene, per abolire le paure immotivate ed essere felici massimizzando il piacere stabile. Nessuno mai è troppo giovane o troppo vecchio per la salute dell'anima.
Epicuro condanna la partecipazione alla vita politica. Il suggerimento di Epicuro è quello di “vivere nascosto”. L’ambizione politica non può essere, infatti, che fonte di turbamento e, quindi, ostacolo al raggiungimento dell’atarassia.
L'amicizia rappresenta l'unico possibile legame sociale per un uomo che non si riconosce più come cittadino ma come semplice individuo. È insomma l'unico rapporto sociale non pericoloso e veramente libero. Anche gli stoici convengono sul valore dell'amicizia, ma solo per gli epicurei essa diviene un caposaldo fondamentale della vita del saggio. Per realizzare questo ideale di vita, Epicuro considera necessario che i suoi seguaci decidano di rompere i legami che li legano alle famiglie e alla società, scegliendo invece di vivere nel Giardino, una comunità ben diversa dalle altre scuole filosofiche. La vita nel Giardino non prevede dibattiti filosofici e non stimola affatto la ricerca intellettuale su problemi teoretici o speculativi. Cerca invece di realizzare in concreto la possibilità di una vita serena, ricorrendo alle massime del maestro o ai suoi privati consigli per ogni necessità spirituale.  
Estratto del documento

la materia, il principio passivo (la sostanza spoglia di qualità); la forza da cui ogni cosa è fatta è Dio, il principio attivo

(Dio che agendo sulla materia produce gli esseri singoli). Il pneuma non è altro che una materia molto sottile di cui è fatto

tutto ciò che solitamente si definisce spirituale: l’anima, i sentimenti, le emozioni e il pensiero, logica e razionalità

comprese. Anche i pensieri sono fatti di materia: tutto è materia, ragione, anche l’anima. Quindi il razionalismo

corrisponde al materialismo perché la materia è anche ragione.

La divinizzazione del pneuma implica (Dio è l’ordine necessario del mondo) una serie di rilevanti conseguenze: la prima

è il panteismo. Il panteismo implica che Dio è tutto, ossia che ogni cosa è permeata da un Dio immanente o che

l’universo e la natura sono equivalenti a Dio (Deus sive natura → Dio ossia la natura). Se c’è un principio divino questo

corrisponde alla ragione: c’è una coincidenza tra la divinità e la natura. La natura è Dio e Dio è la natura, il pneuma

divino è la natura della natura. Ogni cosa è divina, ogni cosa è parte di Dio: tutto è divinizzato. Il filosofo Spinoza alla

fine del 1600 disse la stessa cosa (ogni cosa è divinizzata) e sarà accusato di ateismo per aver detto queste cose. Giordano

Bruno sarà persino mandato al rogo per aver affermato queste cose (negazione della creazione divina, dell'immortalità

dell'anima; affermazione dell'infinità dell'universo e del movimento della Terra, dotata anche di anima; concepimento

degli astri come angeli) e non averle rinnegate: martirio della filosofia.

Nella concezione stoica ogni cosa possiede un’anima perché partecipa al pneuma. Anche la materia nelle sue forme più

semplici partecipa all’anima pneumatica. Tutto è donato di vita, anche ciò che per sua natura non è capace di movimento,

quindi l’anima è presente in ogni cosa. Ad esempio, rompere un sasso è faticoso perché bisogna vincere una forza che si

oppone alla rottura.

In quanto partecipano al pneuma universale, anche la Terra, la Luna e i pianeti sono esseri viventi. È un approccio che

oggi chiameremo ecologico, in cui la natura e la Terra nel loro complesso sono considerate qualcosa di vivo. Gli stoici

hanno quindi anticipato il concetto di ecosostenibilità, quel modello di sviluppo in grado di soddisfare i bisogni del

presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Questa definizione è nata dalla

presa di coscienza che le risorse del Pianeta non sono infinite, vanno preservate con cura, senza sprechi, rispettando

ecosistemi e biodiversità. Nella concezione stoica il principio organicistico si applica in ogni essere e quindi anche al

cosmo: l’intera realtà deve essere considerata come un grande animale in vita. Se anche odiernamente noi pensassimo

questo, rispetteremo meglio la natura.

Il vitalismo organicistico con cui lo stoicismo pensa la natura determina ad esempio l’idea di una ciclicità del tempo e

quindi di un ripetersi della storia del mondo. Ogni fine di un ciclo avviene attraverso il fuoco, in una conflagrazione

universale che si verifica ogni 36.000 anni circa, cui segue una reintegrazione che dà origine ad un nuovo ciclo di vita. Gli

stoici chiamano questo ristabilimento apocatassi o palingenesi. Tutto termina con un fuoco primordiale, che come un

seme ha in sé tutte le ragioni e tutte le cause degli esseri che furono, che sono e che saranno.

Secondo gli stoici, infatti, sotto l’influsso del pneuma che lo anima, ogni essere si sviluppa secondo un piano prefissato,

come un seme. Gli stoici parlano di “ragioni o cause seminali”, volendo indicare quegli elementi di razionalità

immanente che, presenti in ogni cosa, ne determinano l’evoluzione. Dunque ogni mutamento è sempre necessario e

predeterminato. Nascita dell’universo: nel fuoco primordiale sono già presenti, anche se non ancora operanti, tutte le

cause che durante la crescita del mondo produrranno ogni forma di divenire. Queste ragioni seminali sono spesso

mescolate l’una con l’altra, ma sviluppandosi si separano e danno luogo ad esseri diversi.

Tutto rinasce esattamente come nel ciclo precedente o seguente, attraverso un successivo alternarsi di distruzione e

rinascita (eterno ritorno). Nell’apocatassi, al rinnovarsi del Grande Anno del mondo, tutto si ripeterà persino nei

minimi particolari. A questa concezione ciclica stoica si contrappone la visione cristiana all’interno della quale non si può

assolutamente parlare di ciclicità.

In polemica con gli epicurei, gli stoici insistono sulla non esistenza della casualità: i fenomeni della natura sono

collegati fra loro dalla legge di causa-effetto. Lo stoicismo dà dignità filosofica alla nozione di fato, all’idea cioè che gli

avvenimenti che si svolgeranno nel futuro siano già inscritti e potenzialmente prefissati nelle cause seminali agenti

nel presente. Ogni uomo ha quindi un proprio destino. Secondo gli stoici il “destino” si identifica con l’ordine necessario

del mondo e con la concatenazione causale che lega gli esseri tra loro. E poiché tale ordine procede da Dio, il destino non

è un’entità malefica o cieca bensì una struttura benefica e razionale, che fa un tutt’uno con la provvidenza.

Una deduzione che deriva da queste argomentazioni è l’ammissione della possibilità di conoscere il futuro. Gli stoici

ammettono la mantica, ossia l’arte della predizione divinatoria del futuro.

L’enfasi sui concetti di fato e di eterno ritorno rende problematica l’affermazione della libertà umana che, per quanto

limitata non è universale, perché solo il saggio ha la capacità di non opporsi al proprio destino. La filosofia stoica prevede

che il futuro sia determinato, già dettato, già programmato pertanto la libertà viene meno; per sentirci liberi dobbiamo

vivere secondo ragione. La libertà consiste nel capire che il mondo è così com’è (un mondo già programmato), ma

ognuno si può ritagliare la propria. Quindi per gli stoici la libertà consiste nell’autodeterminazione, cioè nell’essere causa

di sé. In questa prospettiva, solo il sapiente è davvero libero, perché egli solo si determina da sé. La vera libertà, tuttavia,

secondo gli stoici si identifica con il conformarsi all’ordine cosmico, e quindi coincide con la necessità.

L’etica: ragione e felicità

L’etica stoica è sostanzialmente una teoria dell’uso pratico della ragione cioè dell’uso della ragione al fine di stabilire

l’accordo tra la natura e l’uomo. Lo stoicismo pone a fondamento della propria proposta etica l’osservazione che tutti gli

esseri tendono a realizzare pienamente sé stessi e raggiungono questo obiettivo ponendosi in sintonia con l’ordine

divino e perfetto che regola la natura e l’intero universo. Sentirsi parte della natura per l’animale significa seguire

l’istinto, per l’uomo seguire la ragione.

Dall’esercizio dell’etica, ossia dall’uso partico della ragione, deriva la felicità, che gli stoici considerano un bene

prezioso, concordando in ciò con Epicuro. L’unica felicità possibile è la soddisfazione, la pace interiore che nasce dalla

consapevolezza di aver compiuto in ogni caso il proprio dovere, ossia di aver posto il proprio comportamento sotto la

guida della ragione. Vivere secondo natura è vivere secondo ragione.

Se gli stoici invitano a seguire la ragione è perché sono consapevoli che, di fatto, gli uomini non la seguono o la seguono

solo in dipenda la loro stessa felicità. La ragione fondamentale di questo comportamento è che in moltissimi adulti la

razionalità è malata perché corrotta dal vivere nella società, che instilla nella loro mente false opinioni, suggerisce

falsi valori e offre pessimi esempi spacciandoli come atti di santità o eroismo. La terapia stoica pone quindi come

recupero della natura originaria dell'uomo.

Come Epicuro, anche gli stoici invitano a prendere il bambino come modello. Giovanni Pascoli, nelle celebri pagine del

Fanciullino (1897), ha teorizzato la sua poetica. Sono gli stessi anni in cui D’Annunzio ha elaborato il mito del

«superuomo». Il titolo Fanciullino deriva da un passo del Fedone di Platone: Cebes, pensando alla morte di Socrate che

stava per bere la cicuta, si mette a piangere. Socrate lo rimprovera per quel pianto e Cebes si scusa dicendo che non è lui

che piange ma il fanciullino che è in lui. Gli occhi del fanciullo scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più

ingegnose. Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano

semplicemente e serenamente tra l’oscuro tumulto dell'anima.

Ciò che il modello dei bambini indica è che vi è in ogni individuo un innato orientamento verso il bene. La terapia

stoica fa leva su questa fondamentale ragionevolezza di base per curare i guasti prodotti dal vivere in una società malata.

La razionalità, che nel bambino si esprime come un orientamento innato verso l'auto- conservazione, diventa nell'adulto

comprensione dell'ordine che regge il mondo e quindi coscienza del proprio dovere. É merito degli stoici l'aver per primi

analizzato la nozione di «dovere». Doverosi sono tutti gli atti che rispondono all'ordine razionale dell'esistenza, che

esprimono un comando della coscienza. Simmetricamente, sono contrari al dovere tutti gli atti che la ragione giudica

negativa- mente, mentre sono eticamente indifferenti quelli che la ragione né vieta né consiglia. Il dovere tuttavia non è il

bene. Il bene comincia a esserci quando la scelta consigliata dal dovere viene ripetuta e consolidata, mantenendo sempre

la sua conformità alla natura, fino a diventare nell’uomo una disposizione uniforme e costante cioè una virtù. Le virtù è

veramente l’unico bene.

Vivere secondo ragione, per gli stoici, significa vivere esclusivamente secondo ragione. Ciò comporta che emozioni e

sentimenti, in quanto fonte di errori per la ragione, dovrebbero essere estirpati dall'animo, o per lo meno tenuti sotto

strettissimo controllo. Non bisogna lasciarsi trascinare dall'odio, ma neppure dall'amore. Per gli stoici, odio e amore,

sono sentimenti che si equivalgono. Si deve evitare l'invidia, l'ira, la gelosia, ma anche la pietà, la compassione e la

misericordia. Tutte sono passioni, quindi vizi dell'anima.

Ricercando l'apatia (o atarassia), ovvero l'eliminazione di ogni forma di turbamento emotivo, lo stoico affronta la vita

lasciandosi guidare solo dalla ragione. Se anche la sua vita dovesse mutare, tanto nel bene quanto nel male, rimarrebbe

comunque indifferente. Eliminando ogni forma di emozione raggiunge una dimensione di indifferenza che lo porta alla

felicità, che è infatti l'assenza di ogni passione, la capacità di rimanere intimamente inalterabile. É questo il senso ultimo

dell'imperturbabilità del vivere stoico.

La filosofia stoica, ma anche quella epicurea e la mentalità ellenistica in genere, ipotizzano una natura cognitiva delle

emozioni, sottolineando la loro stretta dipendenza da determinate credenze o convinzioni. Dietro a ogni passione vi

sono sempre convinzioni che la determinano. Per gli stoici non esiste una parte irrazionale dell'anima, da cui

nascerebbero le passioni. Queste possono essere generate solo da un cattivo uso della ragione stessa. Si prenda ad

esempio l'ira, una passione cui gli stoici. Perché l'ira scoppi bisogna che il soggetto sia convinto: 1) di aver subìto un torto

da qualcuno; 2) che si tratti di qualcosa di importante; 3) che ci sia stata una deliberata volontà di offendere; 4) che sia

necessaria una qualche ritorsione.

Ciò che si è detto per l'ira vale per tutte le passioni perché queste indeboliscono l’uomo. Si tratta di sottoporre a

revisione critica il proprio sistema di valori: le emozioni cambieranno di conseguenza. Se agire sulle emozioni

direttamente nel momento in cui scoppiano è impresa ardua, è invece possibile modificarle e prevenirle con l'educazione

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22 pagine