Concetti Chiave
- Socrate si difende in tribunale dalle accuse di corruzione dei giovani e di insegnare false dottrine, presentando la sua arringa davanti ai giudici ateniesi.
- Durante la sua difesa, Socrate evidenzia le contraddizioni degli accusatori, come Meleto, e dimostra che le accuse contro di lui derivano da calunnie e ostilità.
- Socrate discute del rapporto tra sapienza e divinità, sostenendo che la vera saggezza consiste nel riconoscere i propri limiti di conoscenza, al contrario dei suoi accusatori.
- Egli sottolinea l'importanza di coltivare la virtù rispetto alla ricchezza, affermando che la sua missione è guidare gli Ateniesi verso la retta via, come voluto dagli dei.
- Dopo essere stato condannato a morte, Socrate prevede che i suoi discepoli continueranno a diffondere il suo insegnamento, infliggendo un peso maggiore ai suoi detrattori.
Autore: Platone
Narratore: interno
Focalizzazione: zero
Epoca: poco dopo il 399 a.C.
Ambientazione: Grecia, tribunale di Atene
Personaggi:
- Socrate: l’accusato, del quale vengono presentate le parole per la sua stessa difesa in tribunale.
- Eveno di Paro: sapiente che viene pagato molto dai giovani per il suo insegnamento.
Meleto, Anito e Licone: principali accusatori di Socrate che si pongono come rappresentanti delle tre categorie adirate con l’accusato (poeti, artigiani e poilitici, retori).
Cherofonte: amico di Socrate, tifoso del partito democratico, una volta si recò all’oracolo di Delfi e chiese se esistesse un uomo più sapiente di Socrate e gli venne risposto di no.
Giudici: ascoltano Socrate in tribunale e successivamente votano per scegliere la sua sorte, non vengono presentate le loro parole.
Ateniesi: concittadini di Socrate, che si dividono tra i suoi sostenitori (presenti in aula) e accusatori (nessuno presente in aula).
Socrate viene accusato di insegnare ai giovani una falsa religione e delle cattive dottrine, per questo viene a trovarsi in tribunale, a presentare da solo la sua arringa in difesa di se stesso.
Platone, dimostrando di essere stato presente in tribunale, fatto sottolineato anche da Socrate stesso durante il suo discorso (34), riporta l’intera arringa di difesa di Socrate.
Per cominciare, egli sottolinea ai giudici di non essere un bravo oratore e chiede di scusarlo e accettare comunque le sue parole come vere; in seguito spiega lo stato dei fatti, distinguendo, tra i suoi accusatori, quelli che da poco hanno cominciato ad offenderlo e quelli che avevano già iniziato da tempo, considerati i più temibili.
Indice
Socrate e la sua sapienza
Successivamente l’accusato passa a riferire com’è secondo lui cresciuto l’odio e l’avversità verso la sua persona, o meglio, la sua sapienza: in questo lungo passaggio descrive vari episodi, come l’incontro con Callia figlio di Ipponico che gli descrive chi è Eveno di Paro, la risposta dell’oracolo alla domanda di Cherofonte e la successiva ricerca dello stesso Socrate per cercare chiunque che fosse più sapiente di lui, senza trovare nessuno che corrispondesse alla descrizione, poiché in realtà molti, da quel che Socrate dice ‘riteneva di sapere e non sapeva, io non sapevo ma neanche presumevo di sapere:mi sembrava perciò di essere, come minimo, più sapiente di lui per il semplice fatto che, quel che non so, neanche m’illudo di saperlo’ (21d), inoltre Socrate spiega che in realtà il più sapiente è esclusivamente Dio, dimostrazione ne è l’oracolo (che è a conoscenza di tutto), quest’ultimo quindi enuncia che Socrate è il più sapiente prendendolo solo a esempio poiché è sapiente colui che, come Socrate, ‘si sia reso conto che in quanto a sapienza non val nulla’ (23b) e che quindi riconosce la sapienza superiore di Dio; in conclusione della sua tesi per la nascita dell’ira contro di lui, Socrate denuncia che gli accusatori sono coloro che si sono arrabbiati per essere stati sfigurati di fronte alla sapienza di Socrate stesso e coloro che vengono analizzati dai suoi giovani studenti che cercano di imitare il maestro che analizza loro stessi, da questi accusatori nascono dicerie e accuse, prima delle quali che ‘Socrate è un essere diabolico e corrompe i giovani’ da cui derivano le accuse a proposito di ‘cose nel cielo e sotterra’, ‘non riconoscere gli déi’ o ‘rendere più forte il ragionamento più debole’ (che, tra l’altro, spiega Socrate, sono le idee utilizzate in tutte le accuse contro tutti i filosofi).
Contraddizioni dell'accusa di Meleto
Passando poi a interrogare Meleto, Socrate riesce a sottolineare le varie contraddizioni della sua accusa: Meleto accusa l’imputato di insegnare ai giovani credenze su déi fasulli, ma allo stesso tempo dichiara che Socrate stesso non crede in nessun dio, inoltre denuncia Socrate di credere nei démoni, e allo stesso tempo, grazie alle incalzanti domande della difesa, dichiara di essere sicuro che i démoni siano figli degli déi, quindi Socrate credendo nei démoni, dalle parole di Meleto stesso, crederebbe anche negli déi poiché senza questi ultimi non si sarebbero originati i primi; l’accusato così, con giustissimi e inconfutabili (poiché accettati anche da Meleto) ragionamenti, riesce a confutare le parole dell’accusatore e a portare avanti la sua tesi secondo cui ‘non Meleto, né Anito, ma la calunnia e l’ostilità dei più’ hanno fatto crescere queste accuse nei suoi confronti (come ha spiegato nella precedente parte dell’arringa).
Riflessioni sulla morte e la sapienza
Terminando la parentesi del dialogo tra Socrate e Meleto, l’accusato torna a parlare del suo rapporto con Dio e della sapienza. Rivolgendo particolare interesse alla morte, Socrate ricorda che questa è il punto di fine o di inizio, nessun vivente lo può sapere, che Dio ha scelto per l’uomo, e questo ha il dovere di seguire il percorso tracciato da Dio; molti però temono la morte, ma come possono temerla se neanche sono abbastanza sapienti per sapere se quella sia un piacere o un dolore, dichiarare di aver paura della morte quindi significherebbe ‘credere di essere sapiente senza esserlo, ovvero credere di sapere quello che non si sa’ e così non credere negli déi, perché di fatti nessuno sa la natura della morte, tranne i sapienti déi.
La filosofia di Socrate e la virtù
Dopo essersi occupato dei suoi accusatori e delle loro accuse, Socrate passa a parlare di se stesso e della sua filosofia, quella che, giura, non smetterà mai di divulgare e credere: il pensiero principale che la sua filosofia porta avanti è ‘coltivare la virtù’ più che le ricchezze, perché è dalle prime che derivano le seconde e non viceversa; Socrate così s’impegna a continuare a dare consigli a tutte le persone che incontrerà, per aiutarli a sviluppare le virtù, si pone questo obbiettivo perché, spiega, pensa che gli déi l’abbiano inviato nella città di Atene per questo, portare gli Ateniesi sulla giusta via delle virtù, se rinunciasse quindi ad insegnare la filosofia andrebbe contro la richiesta degli déi. Socrate evidenzia più volte che per affermare, e mai contraddire, la sua filosofia, non rinuncerà mai a rischiare anche la morte, come sta facendo in tribunale, per dimostrarlo espone un esempio di tempi passati in cui lui solo, contro la decisione di tutto il resto del Consiglio, di cui lui faceva parte, si era opposto all’uccisione di un innocente, tutti gli Ateniesi successivamente si accorsero che ad avere ragione era Socrate, che per portare avanti la giustizia aveva scommesso la sua stessa vita.
Conclusione dell'arringa e condanna
A conclusione della sua arringa per la sua discolpa, Socrate si rivolge agli ateniesi, ricordando che tutti le persone considerate deviate e offese dai suoi insegnamenti, ovvero le persone che l’hanno sempre seguito e ascoltato i suoi consigli, sono tutti presenti in tribunale e pronti a difenderlo, ciò non farebbero se la sua compagnia non fosse stata gradevole; al contrario non c’è nessuno che possa provare, per esperienza diretta, le accuse di Meleto e Anito.
Per concludere poi il suo intervento, l’accusato parla in merito alla sua speranza che sia la giustizia a prevalere nella decisione presa dai giudici e che così prevalga il volere degli déi, i sapienti, coloro che sono a conoscenza di ciò che è giusto.
Avviene la votazione dei giudici, il quale verdetto condanna Socrate a morte.
Il condannato, per congedarsi, si rivolge prima ai giudici ricordando loro che, rifiutando e soffocando lui e le sue parole, essi hanno rifiutato l’aiuto divino, ed espone loro una predizione, che vede gli accusatori e i condannatori di Socrate puniti, dopo la sua morte, di una punizione molto più pesante di quella inferta a lui stesso, perché i suoi fedeli giovani uditori ripeteranno ciò che lui solo diceva, e lo ripeteranno più volte e così infastidendo molto di più chi reputava Socrate un malfattore. Infine Socrate chiarisce ai giudici che condannandolo a morte per punirlo, non possono sapere se hanno raggiunto tale scopo, perché in realtà loro non possono sapere se l’Ade sia un luogo di penitenza o di gioia eterna, riassumendo poi tutto in un’unica frase: “Ma è ormai tempo di andar via, io per morire, voi per continuare a vivere: chi di noi vada verso una sorte migliore, è oscuro a tutti tranne che a Dio.”.
Domande da interrogazione
- Qual è il contesto storico e l'ambientazione dell'"Apologia di Socrate"?
- Chi sono i principali accusatori di Socrate e quali categorie rappresentano?
- Qual è la principale difesa di Socrate contro le accuse di corruzione dei giovani e di empietà?
- Come Socrate giustifica la sua missione filosofica e il suo rifiuto di abbandonarla?
- Qual è la reazione di Socrate alla sua condanna a morte?
L'"Apologia di Socrate" è ambientata in Grecia, nel tribunale di Atene, poco dopo il 399 a.C., dove Socrate si difende dalle accuse mosse contro di lui.
I principali accusatori di Socrate sono Meleto, Anito e Licone, che rappresentano rispettivamente i poeti, gli artigiani e i politici/retori.
Socrate si difende sottolineando le contraddizioni nelle accuse di Meleto e affermando che la vera sapienza è riconoscere la propria ignoranza, come dimostrato dall'oracolo di Delfi.
Socrate giustifica la sua missione filosofica affermando che è stato inviato dagli déi per guidare gli Ateniesi verso la virtù, e che rinunciare a insegnare filosofia significherebbe andare contro la volontà divina.
Socrate accetta la sua condanna a morte con serenità, affermando che solo Dio conosce se la morte sia una punizione o una gioia, e predice che i suoi accusatori subiranno una punizione più grande dopo la sua morte.