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Concetti Chiave

  • Il tramonto e l'aquila rappresentano un fenomeno celeste dove la luce del sole lascia spazio a migliaia di stelle, evocando la grandezza dell'impero romano e dei suoi imperatori.
  • La musicalità del canto si esprime non solo attraverso immagini legate alla musica, ma anche nella struttura poetica e nella sintassi che riflette lo stato d'animo contemplativo e sereno del poeta.
  • Il canto esplora la predestinazione e il mistero della giustizia divina, presentando personaggi storici e mitologici che illustrano la distanza tra il giudizio umano e quello divino.
  • L'aquila, simbolo dell'impero e della giustizia divina, offre una spiegazione del mistero della grazia divina, evidenziando come essa operi al di là della comprensione umana.
  • La narrazione enfatizza la predestinazione e il ruolo della fede, rappresentata attraverso le storie di Traiano e Rifeo, due anime che trovano la grazia divina in modi inaspettati.

Indice

  1. Il tramonto e l'aquila
  2. Musicalità e predestinazione
  3. Rifeo e la giustizia divina
  4. Il mistero della grazia divina

Il tramonto e l'aquila

Quando il sole che illumina tutto il mondo tramonta dal nostro emisfero tanto, che il giorno da ogni parte viene meno,

il cielo, che prima era illuminato soltanto dalla sua luce, ridiventa improvvisamente visibile grazie ai molti astri, nei quali si riflette l’unica luce del sole:

e questo fenomeno celeste mi venne in mente, non appena l’aquila, l’insegna dell’impero romano che unificò il mondo, e dei suoi imperatori, tacque col suo becco,

poiché tutti quegli spiriti luminosi, risplendendo sempre di più, intonarono canti, caduti e dileguati dalla mia memoria.

O dolce carità che ti avvolgi nel manto luminoso del tuo sorriso, quanto ti mostravi ardente in quegli spiriti che come flauti spiravano i loro canti mossi solo da santi pensieri!

Dopo che le anime simili a lucenti gemme preziose, di cui avevo visto adornato Giove, il sesto pianeta, interruppero gli angelici canti, mi parve di udire il mormorio di un torrente che scende limpido giù di sasso in sasso, mostrando la ricchezza d’acqua della sua sorgente sulla vetta.

E come il suono si modula nella parte più alta della cetra ( dove il suonatore fa scorrere le dita), e come il fiato che penetra nella zampogna acquista forma di suono ai fori di essa.

Così, rimosso ogni indugio, il mormorio dell’aquila salì su per il collo come se questo fosse vuoto.

Musicalità e predestinazione

I versi 13-27 mantengono il tono contemplativo e nello stesso tempo trionfale dell'esordio. Canto   20 Paradiso - Parafrasi articoloInfatti il tramonto, descritto nelle due terzine iniziali, è ben diverso da quello, carico di ansietà e di timori, del canto II dell'Inferno (versi 1-3) o da quello, pensoso e raccolto, del canto VIII del Purgatorio (versi 1-6 ), nei quali l'animo assisteva con un senso di doloroso stupore alla scomparsa della luce. Ora l'accento è posto non più sulla mancanza di luce, bensì sull'accendersi di migliaia di stelle, di migliaia di luci: è una visione nella quale, all'immensità dello spettacolo celeste, si unisce il tripudio festante di quello scintillio. Non semplice appendice, ma poeticissimo sviluppo della larghezza di movimento, della pienezza ed esuberanza di accordi di questo esordio, sono i versi 13-27. Il De Bello, che ha svolto numerosi suggerimenti di V. Rossi e del Momigliano, nota che questa parte del canto è musicale non solo per le numerose immagini desunte dal mondo della musica (I'echeggiare di flailli, gli angelici squilli, il suono che si modula nel collo della cetra o nei fori della zampogna; a queste immagini si aggiunge, negli ultimi versi, quella del citarista che accompagna il cantore), ma perché tale è "nella sua abile strutturazione, nel tessuto della sintassi poetica, nell'uso stesso della parola". Dopo le terne iniziali di assonanze (discende - s'accende - risplende - parvente - mente - tacente - canti - t'ammanti - santi), la ricerca musicale culmina in un fine gioco di assonanze (failli - lapilli - squilli - lume - fiume - eccome) abilmente contrappuntato da suoni acuti (-illi- ) e gravi (-ume-). Questa sintassi poetica, avvertibile in tutto il canto (il De Bello cita, a questo proposito, numerosi esempi ), non resta un elemento esterno, una prova di abilità tecnica nella ricerca di accorgimenti fonici, ma diventa l'"espressione lirica di uno stato d'animo abbandonato", la componente psicologica e spirituale della lezione teologica. Il canto XX, infatti, ribadisce e rafforza la serena conclusione del discorso dell'aquila sul tema della predestinazione: ogni dubbio, ogni angosciosa incertezza si placano nell'invocazione conclusiva dei versi 130-132: o predestinazioni, quanto remota è la radice tua da quelli aspetti che la prima cagion non veggion tota! E l'animo del Poeta, nell'accettazione del mistero e nella contemplazione della giustizia divina, trova la sua gioia più alta e inebriante, quella che appunto gli detta la musicale orchestrazione nonché la ricchezza tematica di questi versi. "Rapide, plastiche, luminose" il Parodi definisce le similitudini del fiume e della cetra, che dopo la polifonia dei canti delle anime giuste introducono nuovamente alla monodia dell'aquila. Per quanto riguarda la similitudine del fiume facciamo nostre ancora le osservazioni del De Bello: "I'ubertà del suo cacume, espressione di pregnante ricchezza che suggerirebbe visioni di scroscianti e spumeggianti acque alpine si perde e si spegne in quel dolce mormorare, nella onomatopea del verso, in quello scendere chiaro giù di pietra in pietra. Un torrente alpino ubertoso di acque sì, forse croscianti, ma udito attraverso una lontananza di spazio e di tempo, quasi un'evocazione mnemonica di ascoltare rapito...". Proprio perché l'immagine visiva si risolve in quella musicale del mormorio, questi versi si differenziano da quelli celebrativi dell'Inferno dedicati ai verdi ruscelletti del Casentino (canto XXX, versi 64-67), nei quali l'immagine manteneva la sua concreta attualità, la sua determinatezza di cosa vista e quasi assaporata. Ora invece tutto perde capacità e peso. La stessa aquila è pur sempre un immagine stilizzata, senza profondità, cosicché il suono può sortire attraverso il suo collo bugio.Nel collo il mormorio divenne voce, e di qui attraverso il becco uscì in forma di parole, proprio come le desiderava il mio cuore, dentro il quale le impressi.

L’aquila cominciò: “ Ora devi guardare attentamente il mio occhio, la parte: che nelle aquile terrene vede e sopporta la luce del sole, perché fra gli spiriti coi quali formo la mia figura, quelli onde l’occhio risplende nella mia testa, hanno il più alto grado di beatitudine fra tutti quelli del sesto cielo.

Colui che risplende nel mezzo dell’occhio come pupilla, fu Davide, il cantore ispirato dallo Spirito Santo, che trasportò l’arca santa di luogo in luogo (fino a Gerusalemme);

Davide, re d'Israele e autore dei Salmi (cantor dello Spirito Santo: perché gli scritti biblici sono ispirati da Dio). fece trasportare l'arca santa da Baala alla casa di Abinadab, nella cittadina di Get, e da Get a Gerusalemme (II Samuele Vi, 1-23; cfr. anche Purgatorio X, 55-69).

Ora conosce quale fu il merito acquistato con i suoi Salmi, in quanto (I’accettazione dell’ispirazione divina) fu frutto della sua libera volontà, per il premio avuto che corrisponde al merito.

Dei cinque spiriti che mi formano l’arco del ciglio, quello che è più vicino al mio becco, fu Traiano, colui che consolò la vedovella dell’uccisione del figlio:

ora conosce quanto costi caro non aver la fede in Cristo, per l’esperienza che fa di questa vita beata e per quella fatta dell’opposta vita nell’inferno.

E lo spirito che viene dopo Traiano nel cerchio di cui sto parlando, nella parte superiore del mio arco ciliare, è Ezechia, colui che con la vera penitenza ritardò la morte:

Ora conosce che il giudizio eterno di Dio non cambia, anche se una preghiera meritoria ottiene di rimandare a domani ciò che sulla terra dovrebbe accadere oggi.

L’altro spirito che segue è Costantino. colui che, con buona intenzione che diede (però) cattivi risultati, per cedere Roma al papa, fece greco se stesso (trasferendo la capitale a Bisanzio) con le leggi dell’Impero e con la sua insegna:

Ora conosce che il male causato dall’opera da lui compiuta con retta intenzione non gli è imputato a colpa, sebbene da ciò sia derivata la rovina del mondo.

E lo spirito che vedi nella curva discendente dell’arco ciliare, fu Guglielmo, che è rimpianto dalla terra (di Puglia e di Sicilia) la quale ora soffre per il malgoverno di Carlo II e Federico II, suoi attuali sovrani:

Ora conosce come Dio ami i re giusti, e dimostra anche con il fulgore del suo aspetto questa sua consapevolezza.

Chi potrebbe credere laggiù in terra fra gli uomini soggetti ad errore, che il troiano Rifeo fosse il quinto spirito beato nell’arco del mio ciglio?

Rifeo e la giustizia divina

Rifeo, sconosciuto ad Omero, viene ricordato nell'Eneide (Il, 426-428) fra i Troiani che morirono difendendo Ilio allorché i Greci penetrarono nella città con lo stratagemma del cavallo di legno: "cadde anche Rifeo, il più retto che sia mai stato fra i Teucri e il più osservante della giustizia", ma, aggiunge il poeta latino, "agli dei sembrò altrimenti". Il giudizio pieno di lode dato dal suo maestro sull'oscuro guerriero troiano e l'accettazione del volere divino, espresso nell'ultimo emistichio virgiliano, giustificano la trasfigurazione, nel poeta cristiano, di Rifeo in simbolo della imperscrutabilità della giustizia divina.

Per la seconda volta l'aquila presenta un elenco di personaggi. Nel canto precedente la rassegna degli indegni re della terra si era svolta in nove terzine, nelle quali ogni gruppo ternario incominciava con la stessa parola ( lì, vedrassi, e), formando un acrostico. Anche questa rassegna è chiusa in un rigido schema: a ogni personaggio sono consacrate due terzine, delle quali la prima rivela chi egli sia e la seconda enumera il principio di fede relativo alla condizione di ognuno e chiarificatosi solo ora in paradiso. La prima terzina è sorretta da formule simili (colui che, e quel che, l'altro che), la seconda dalle parole ora conosce, indicanti l'indefinibile distanza tra il corto e fallace giudizio umano e il giudizio divino. Anche questo schema, come quello del canto precedente, ha un suo profondo significato, perché oltre ad accrescere l'efficacia persuasiva e la solennità del discorso delI'aquila, continua, con la sua simmetria sintattica e con il "ritornello grave di musicale sapienza ora conosce che si ripete tante volte, ad uguali intervalli" (Momigliano), il motivo musicale impostato nell'esordio.

Il mistero della grazia divina

Ora, anche se il suo sguardo non ne può distinguere il fondo, conosce abbastanza di quel mistero della grazia divina che il mondo non può conoscere”.

Come un’allodola che prima spazia nell’aria cantando, e poi tace sopraffatta dalla dolcezza finale del suo canto che la rende contenta, cosi la figura dell’aquila mi sembrò tacere soddisfatta del piacere ( provato parlando ), il quale è un’impronta del piacere divino, secondo la cui volontà ogni cosa diventa quella che è.

E sebbene io davanti all’aquila fossi trasparente rispetto al dubbio che mi agitava come il vetro rispetto al colore che esso ricopre, il mio dubbio non tollerò di attendere in silenzio, ma dalla bocca mi spinse fuori con tutta la forza del suo peso la domanda: “ Che cosa sono queste cose (cioè: come può un pagano salvarsi)?”; per cui(pronunciate quelle parole) vidi un grande sfavillio di luci (da parte delle anime).

Immediatamente dopo, per non tenermi sospeso nello stupore, con l’occhio ancor più splendente, il benedetto segno dell’aquila mi rispose:

“ Io vedo che tu credi a queste cose perché te le ho dette io, ma non comprendi come (i due pagani siano salvi), cosicché, anche se tu le credi, queste cose restano oscure ( al tuo intelletto).

Fai come colui che impara sì il nome di una cosa, ma non può conoscerne l’essenza se altri non gliela manifesta.

Il regno dei cieli sopporta violenza solo da parte dell’amore ardente e della speranza da esso vivificata, che vincono la divina volontà; non la vincono con la violenza come un uomo che sopraffà un altro, ma perché essa vuole essere vinta, e, nel momento stesso in cui è vinta, vince con la sua bontà.

La prima anima fra quelle che formano il mio ciglio e la quinta ti fanno stupire, perché vedi il paradiso, la regione degli angeli, adorno della loro presenza.

Questi due spiriti non uscirono pagani dai loro corpi, come ritieni, ma cristiani, credendo fermamente Rifeo nella futura redenzione e Traiano nella redenzione già operata da Cristo crocifisso.

Perché l’anima di Traiano dall’inferno, da dove non si può ritornare mai alla volontà di operare il bene, tornò a riprendere il corpo; e ciò fu premio dell’ardente speranza (di San Gregorio Magno); di quell’ardente speranza, che nelle preghiere fatte a Dio per risuscitare l’anima di Traiano infuse una forza tale che la volontà del risorto potesse essere mossa ( alla fede e al pentimento).

L’anima gloriosa di Traiano di cui si sta parlando, tornata nel corpo, nel quale restò poco tempo, credette in Cristo che poteva salvarla:

e credendo si accese di tale fuoco di amore di Dio, che, giunta alla morte per la seconda volta, fu degna di salire alla gioia del paradiso.

L’anima di Rifeo, in virtù della grazia divina che deriva da una sorgente cosi profonda, che mai nessuna creatura poté spingere l’occhio fino al punto da cui sgorgano le sue acque, vivendo sulla terra indirizzò tutto il suo amore alla giustizia; per questo Dio, aggiungendo grazia a grazia, gli rivelò la nostra futura redenzione: per cui egli credette in essa, e da allora in poi non tollerò più il nauseante paganesimo: e ne rimproverava le genti sviate in quell’errore.

Più di mille anni prima dell’istituzione del battesimo a lui valsero come battesimo quelle tre donne (Fede, Speranza e Carità) che tu vedesti (nel paradiso terrestre) alla destra del carro della Chiesa (cfr. Purgatorio XXIX, 121-129).

O predestinazione, quanto è distante la tua profonda ragione dagli intelletti umani che non possono vede intera l’essenza divina, causa prima di tutte le cose!

E voi, mortali, siate cauti nel giudicare, perché nemmeno noi, che pure vediamo Dio direttamente, conosciamo ancora tutti gli eletti futuri;

e ci è dolce tale limite imposto alla nostra conoscenza, perché la nostra felicità si perfeziona appunto in questo piacere, per cui tutto quello che Dio vuole, anche noi vogliamo ”.

In questo modo da quella divina figura dell’aquila, per rischiarare la mia limitata intelligenza, mi fu data questa spiegazione, fonte di dolcezza.

E come labile suonatore di cetra accorda il suono delle vibranti corde alla voce del buon cantore, per cui il canto diventa più piacevole, così, durante il discorso dell’aquila, ricordo che vidi le due anime luminose (di Traiano e di Rifeo), proprio con la stessa simultaneità con la quale battono le palpebre degli occhi, muovere le loro fiammelle in accordo con le parole dell’aquila.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato del tramonto e dell'aquila nel testo?
  2. Il tramonto rappresenta un momento di transizione in cui la luce del sole lascia spazio a migliaia di stelle, simboleggiando una visione celeste di unità e bellezza. L'aquila, simbolo dell'impero romano, rappresenta l'unificazione e la guida spirituale, mentre i canti degli spiriti evocano una dolce carità e pensieri santi.

  3. Come viene descritta la musicalità nel testo?
  4. La musicalità è espressa attraverso immagini e suoni che richiamano strumenti musicali come flauti e cetre. La struttura poetica e le assonanze creano un effetto musicale che riflette uno stato d'animo contemplativo e trionfale, culminando in una sintassi poetica che esprime la gioia e la serenità del poeta.

  5. Chi sono i personaggi menzionati dall'aquila e qual è il loro significato?
  6. I personaggi includono Davide, Traiano, Ezechia, Costantino, Guglielmo e Rifeo. Ognuno rappresenta un principio di fede o una lezione divina, come la giustizia, la penitenza e la predestinazione. Rifeo, in particolare, simboleggia l'imperscrutabilità della giustizia divina.

  7. Qual è il mistero della grazia divina secondo il testo?
  8. Il mistero della grazia divina è descritto come un fenomeno che il mondo non può comprendere appieno. È paragonato a un canto che porta soddisfazione e piacere divino, e si manifesta attraverso la volontà di Dio che si lascia vincere dall'amore e dalla speranza.

  9. Come viene spiegata la salvezza di Traiano e Rifeo?
  10. La salvezza di Traiano è attribuita all'ardente speranza di San Gregorio Magno, che con le sue preghiere ha permesso a Traiano di tornare in vita e credere in Cristo. Rifeo, invece, ha ricevuto la grazia divina che gli ha permesso di credere nella futura redenzione, nonostante fosse vissuto prima dell'istituzione del battesimo.

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