Noems_vita
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Concetti Chiave

  • Il canto inizia con un'invocazione ad Apollo, simbolo di poesia e luce divina, per affrontare il difficile argomento trattato.
  • Dante, insieme a Beatrice, è nel Paradiso Terrestre, osservando il sole e riflettendo sulla sua ascesa verso i cieli.
  • Beatrice spiega a Dante che la sua anima è libera dal peccato, permettendogli di ascendere spiritualmente e fisicamente.
  • La visione di Beatrice che fissa il sole ispira Dante, che sperimenta un'espansione della sua percezione e comprensione.
  • Beatrice chiarisce a Dante che il suo viaggio è guidato dalla volontà divina e dall'ordine universale, paragonandolo al movimento naturale verso Dio.

Indice

  1. Luce e Ascesa
  2. Invocazione ad Apollo
  3. La Gloria Divina
  4. Luce e Trasumanar
  5. Ordine Universale

Luce e Ascesa

Ci troviamo nella sfera del fuco del Paradiso Terrestre,a mezzogiorno di mercoledi' 13 aprile 1300.I personaggi principali sono Dante e Beatrice.

Invocazione ad Apollo

IL canto si apre con l'invocazione ad Apollo,dio del Sole,della poesia e figura d Cristo stesso,invocazione giustificata dalla difficile materia da trattare.La narrazione prosegue con l'immagine di Beatrice,nell'intesa luce meridiana,che fissa il sole,imitata da Dante che viene abbagliato da questa luce folgorante.Il sommo poeta,infatti,sta salendo verso i cieli mentre ode il loro armonioso movimento rotatorio. L'autore non riesce a comprendere come essendo corpo riesca a risalire i cieli ma Beatrice lo rassicura ,in quanto l'animo di Dante è libero dagli impedimenti del peccato e che come le creature razionali e irrazionali ricevano un'inclinazione al bene che le conduce verso l'Empireo la sede di Dio. L'uomo ha però la facoltà di deviare questa inclinazione verso il male. La risalita dei cieli non deve essere motivo di stupore per Dante in quanto è volere di Dio.

La Gloria Divina

La gloria di colui che tutto move

per l’universo penetra, e risplende

in una parte più e meno altrove.

Nel ciel che più de la sua luce prende

fu’ io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là sù discende;

perché appressando sé al suo disire,

nostro intelletto si profonda tanto,

che dietro la memoria non può ire.

Veramente quant’io del regno santo

ne la mia mente potei far tesoro,

sarà ora materia del mio canto.

O buono Appollo, a l’ultimo lavoro

fammi del tuo valor sì fatto vaso,

come dimandi a dar l’amato alloro.

Infino a qui l’un giogo di Parnaso

assai mi fu; ma or con amendue

m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.

Entra nel petto mio, e spira tue

sì come quando Marsia traesti

de la vagina de le membra sue.

O divina virtù, se mi ti presti

tanto che l’ombra del beato regno

segnata nel mio capo io manifesti,

vedra’mi al piè del tuo diletto legno

venire, e coronarmi de le foglie

che la materia e tu mi farai degno.

Sì rade volte, padre, se ne coglie

per triunfare o cesare o poeta,

colpa e vergogna de l’umane voglie,

che parturir letizia in su la lieta

delfica deità dovria la fronda

peneia, quando alcun di sé asseta.

Poca favilla gran fiamma seconda:

forse di retro a me con miglior voci

si pregherà perché Cirra risponda.

Surge ai mortali per diverse foci

la lucerna del mondo; ma da quella

che quattro cerchi giugne con tre croci,

con miglior corso e con migliore stella

esce congiunta, e la mondana cera

più a suo modo tempera e suggella.

Fatto avea di là mane e di qua sera

tal foce, e quasi tutto era là bianco

quello emisperio, e l’altra parte nera,

quando Beatrice in sul sinistro fianco

vidi rivolta e riguardar nel sole:

aquila sì non li s’affisse unquanco.

E sì come secondo raggio suole

uscir del primo e risalire in suso,

pur come pelegrin che tornar vuole,

così de l’atto suo, per li occhi infuso

ne l’imagine mia, il mio si fece,

e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.

Molto è licito là, che qui non lece

a le nostre virtù, mercé del loco

fatto per proprio de l’umana spece.

Io nol soffersi molto, né sì poco,

ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,

com’ferro che bogliente esce del foco;

e di sùbito parve giorno a giorno

essere aggiunto, come quei che puote

avesse il ciel d’un altro sole addorno.

Luce e Trasumanar

Beatrice tutta ne l’etterne rote

fissa con li occhi stava; e io in lei

le luci fissi, di là sù rimote.

Nel suo aspetto tal dentro mi fei,

qual si fé Glauco nel gustar de l’erba

che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.

Trasumanar significar per verba

non si poria; però l’essemplo basti

a cui esperienza grazia serba.

S’i’ era sol di me quel che creasti

novellamente, amor che ’l ciel governi,

tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.

Quando la rota che tu sempiterni

desiderato, a sé mi fece atteso

con l’armonia che temperi e discerni,

parvemi tanto allor del cielo acceso

de la fiamma del sol, che pioggia o fiume

lago non fece alcun tanto disteso.

La novità del suono e ’l grande lume

di lor cagion m’accesero un disio

mai non sentito di cotanto acume.

Ond’ella, che vedea me sì com’io,

a quietarmi l’animo commosso,

pria ch’io a dimandar, la bocca aprio,

e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso

col falso imaginar, sì che non vedi

ciò che vedresti se l’avessi scosso.

Tu non se’ in terra, sì come tu credi;

ma folgore, fuggendo il proprio sito,

non corse come tu ch’ad esso riedi».

S’io fui del primo dubbio disvestito

per le sorrise parolette brevi,

dentro ad un nuovo più fu’ inretito,

e dissi: «Già contento requievi

di grande ammirazion; ma ora ammiro

com’io trascenda questi corpi levi».

Ordine Universale

Ond’ella, appresso d’un pio sospiro,

li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante

che madre fa sovra figlio deliro,

e cominciò: «Le cose tutte quante

hanno ordine tra loro, e questo è forma

che l’universo a Dio fa simigliante.

Qui veggion l’alte creature l’orma

de l’etterno valore, il qual è fine

al quale è fatta la toccata norma.

Ne l’ordine ch’io dico sono accline

tutte nature, per diverse sorti,

più al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti

per lo gran mar de l’essere, e ciascuna

con istinto a lei dato che la porti.

Questi ne porta il foco inver’ la luna;

questi ne’ cor mortali è permotore;

questi la terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fore

d’intelligenza quest’arco saetta

ma quelle c’hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta,

del suo lume fa ’l ciel sempre quieto

nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;

e ora lì, come a sito decreto,

cen porta la virtù di quella corda

che ciò che scocca drizza in segno lieto.

Vero è che, come forma non s’accorda

molte fiate a l’intenzion de l’arte,

perch’a risponder la materia è sorda,

così da questo corso si diparte

talor la creatura, c’ha podere

di piegar, così pinta, in altra parte;

e sì come veder si può cadere

foco di nube, sì l’impeto primo

l’atterra torto da falso piacere.

Non dei più ammirar, se bene stimo,

lo tuo salir, se non come d’un rivo

se d’alto monte scende giuso ad imo.

Maraviglia sarebbe in te se, privo

d’impedimento, giù ti fossi assiso,

com’a terra quiete in foco vivo».

Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso

Domande da interrogazione

  1. Qual è il contesto temporale e spaziale del canto "Luce e Ascesa"?
  2. Il canto si svolge nella sfera del fuoco del Paradiso Terrestre, a mezzogiorno di mercoledì 13 aprile 1300, con protagonisti Dante e Beatrice.

  3. Perché Dante invoca Apollo all'inizio del canto?
  4. Dante invoca Apollo, dio del Sole e della poesia, per affrontare la difficile materia del canto, cercando ispirazione e forza per il suo compito.

  5. Come viene descritta la risalita di Dante verso i cieli?
  6. Dante sale verso i cieli abbagliato dalla luce di Beatrice e rassicurato da lei che la sua anima è libera dal peccato, permettendogli di ascendere come voluto da Dio.

  7. Cosa rappresenta la "Gloria Divina" nel canto?
  8. La "Gloria Divina" rappresenta la luce e la presenza di Dio che penetra l'universo, con Dante che sperimenta una comprensione profonda e ineffabile del regno santo.

  9. Qual è il significato dell'"Ordine Universale" secondo Beatrice?
  10. Beatrice spiega che tutte le cose hanno un ordine che le rende simili a Dio, con le creature che si muovono verso il loro fine ultimo, guidate da un istinto divino, sebbene possano deviare a causa del libero arbitrio.

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