Concetti Chiave
- Dante e Virgilio attraversano il terzo girone del settimo cerchio, dove una pioggia di fiamme tormenta bestemmiatori, usurai e sodomiti, ognuno con un supplizio diverso.
- Capaneo, figura arrogante tra i dannati, sfida inutilmente il potere divino, rappresentando una forza apparente ma priva di profondità interiore.
- La statua del Veglio di Creta, con le sue fessure che formano i fiumi infernali, simboleggia il pianto dell'umanità colpevole e il decadimento umano.
- Il paesaggio infernale è caratterizzato da contraddizioni, con elementi naturali stravolti che riflettono il peccato e la giustizia divina attraverso manifestazioni terribili.
- Il ruscello desolato nell'Inferno, simbolo di pianto e disperazione, non porta vita ma convoglia il dolore umano verso il ghiaccio di Cocito.
Indice
- L'arrivo di Dante e Virgilio
- Il tormento di Capaneo
- La statua del Veglio di Creta
- I fiumi infernali e il Flegetonte
- Il paesaggio inumano dell'Inferno
- Contraddizioni del paesaggio infernale
- La natura stravolta nel terzo girone
- La pioggia di fuoco e il peccato
- La discesa lenta del fuoco
- Capaneo e la forza apparente
- Il ruscello desolato
L'arrivo di Dante e Virgilio
Dopo aver radunato le fronde intorno al cespuglio del suo concittadino, Dante giunge insieme a Virgilio, sul limitare del terzo girone. In questa parte del settimo cerchio una lenta, inesorabile pioggia di fiamme si riversa sopra una distesa di sabbia infuocata. Tre gruppi di anime soggiacciono a tre diversi tormenti: i bestemmiatori, violenti contro Dio, supini, espongono tutto il loro corpo al fuoco che cade; gli usurai, violenti contro l’arte, stanno seduti, i sodomiti, violenti contro natura, devono camminare senza tregua. I bestemmiatori sono i meno numerosi, ma i loro lamenti soverchíano quelli degli altri.
Il tormento di Capaneo
Fra loro spicca una figura gigantesca, che sembra incurante del castigo divino. E’ Capaneo, uno dei sette re che assediarono Tebe, ucciso per la sua empietà dalla folgore di Giove. Egli non ha perduto la sua arroganza e sfida, deridendolo, il signore dell’Olimpo a colpirlo ancora una volta con le armi forgiate da Vulcano e dal Ciclopi, ma Virgilio lo redarguisce duramente.
La statua del Veglio di Creta
I due poeti proseguono il loro cammino finché arrivano nel punto in cui dalla selva dei suicidi esce un fiumicello rosso e bollente. I fiumi infernali hanno la loro origine - spiega Virgilio - in terra. In mezzo al Mediterraneo c’è un’isola, un tempo ricca di vegetazione e felice, ora deserta: Creta. Ivi, in una grotta all’interno del monte Ida, c’è l’enorme statua di un vecchio, che volge le spalle all’Egitto e tiene lo sguardo fisso in direzione di Roma. La sua testa è d’oro, il petto d’argento, il ventre di rame, le gambe di ferro, il piede destro, sul quale il simulacro poggia, di terracotta. All’infuori del capo, ogni altra parte della statua presenta fessure dalle quali sgorgano lagrime. Il pianto di questa statua forma i fiumi infernali e lo stagno Cocito.
I fiumi infernali e il Flegetonte
Il canto si conclude con i chiarimenti che Virgilio dà al discepolo sull’ubicazione del Flegetonte, il fiume di sangue che occupa il primo girone e dal quale il fiumicello deriva, prendendone anche il nome, e del Letè, il fiume dell’oblio, le cui acque bagnano il paradiso terrestre, in cima al monte del purgatorio.
Tre sono i motivi fondamentali del canto: quello della ribellione del bestemmiatore (Capaneo), quello del pianto dell’umanità colpevole che forma i fiumi infernali (il Veglio di Creta), quello, paesistico, della pioggia di fuoco, che fa da sfondo agli altri due.
Il paesaggio inumano dell'Inferno
Il motivo del paesaggio inumano è incominciato non appena i due poeti hanno varcato la soglia di Dite. Fin lì la natura era stata quella terrestre, ma proiettata nello smisurato.
Contraddizioni del paesaggio infernale
Era quasi un’immagine visiva del loro peccato quella che, attraverso forme elementari di contrappasso, puniva gli incontinenti: fenomeni atmosferici (lussuriosi e golosi), ineluttabilità insita nel ripetersi di uno stesso movimento (avari e prodighi) e, per contrapposto, la stasi assoluta di una palude (iracondi). Ma già nella città delle arche la presenza del peccato è inscindibile dal paesaggio: la natura vi appare umanizzata, ma in senso negativo; non è più soltanto natura terribile, manifestazione di una potenza superiore all’uomo, ma giusta. Corrotta nel suo intimo dal male, la natura è qui al tempo stesso strumento della giustizia divina, espressione diretta della colpa: la terra è crivellata di sepolcri, impura, contaminata dalla presenza nel suo grembo degli eretici; il fuoco fa la sua prima comparsa, emblema di una catarsi che afferma, al di là della morte, la perenne vita dello spirito. Il dato naturale (la pianura) non è qui determinante; il paesaggio assume un significato soltanto per l’inclusione in esso del dato umano (le tombe). Questo, a sua volta, è come riassorbito nella manifestazione terribile dell’ira divina (il fuoco). Considerazioni analoghe possono farsi per il paesaggio nei tre gironi del cerchio dei violenti.
La natura stravolta nel terzo girone
Non l’acqua, come nell’alto inferno, riempie il letto del Flegetonte: è il sangue, principio di vita, che infuria su coloro che lo hanno versato, mentre nella selva dei suicidi le forme della vita appaiono come svuotate di linfa, ripiegate su se stesse, chiuse al futuro. La contraddizione che il male introduce nell’universo non è più qui un rapporto fra due dati in opposizione reciproca (l’umanità peccatrice da un lato, la natura, manifestazione del Dio vindice, dall’altro): le piante aride e contorte sono esse stesse i peccatori. La natura appare stravolta, i principii dell’umana esperienza negati, anche nel terzo girone: il fuoco, che abbiamo sempre veduto dirigersi verso l’alto (la stessa scienza medievale riconosceva in esso il più leggiero e, simbolicamente, per lo stretto legame che univa fisica e metafisica, il più spirituale degli elementi), qui è attratto dalla forza di gravità, calamitato verso il posto occupato da Lucifero.
La pioggia di fuoco e il peccato
Possiamo misurare tutto il divario che corre tra un peccato di incontinenza e un peccato di violenza, mettendo a confronto la pioggia del cerchio dei golosi con quella che tormenta i violenti contro Dio. Là il fenomeno atmosferico non è essenzialmente diverso da quelli cui siamo avvezzi sulla terra, qui la struttura
stessa del fenomeno smentisce, sia in senso empirico sia in senso simbolico, la sua manifestazione visibile: dall’alto, su una landa deserta, non scende il principio della vita, ma quello della consunzione violenta.
La discesa lenta del fuoco
E ancora: non possiamo immaginare il fuoco altrimenti che animato da un movimento rapido, insaziato, impaziente.
Qui, perché i dannati possono soffrire non solo la pena che è in atto, ma anche quella che si prepara a colpirli, la discesa del fuoco è lenta, maestosa, riposata.
Capaneo e la forza apparente
Per alcuni critici, la contraddittorietà che caratterizza il paesaggio del canto quattordicesimo è presente, ma con una sottolineatura comica, anche nel personaggio di Capaneo. Nella figura di questo ribelle, sotto la suggestione di un’analisi del De Sanctis, è stata riscontrata una divergenza tra forza apparente e fiacchezza interiore, per cui Capaneo sarebbe soltanto un vanaglorioso. In realtà, alla esatta interpretazione di questa figura nuoce il parallelo che viene di solito istituito fra essa e Farinata. Indubbiamente nel magnanimo eretico c’è una complessità di motiví che qui manca: i suoi sentimenti si manifestano a poco a poco, dolorosamente emergendo dalla compattezza del suo atteggiamento iniziale; c’è in essi un pudore e un senso delle sfumature che sono del tutto ignoti al bestemmiatore del settimo cerchio. Questo non autorizza tuttavia una caratterizzazione negativa di Capanco. Dante lo ammira, pur condannandolo, come si può ammirare lo spettacolo di una indomita forza della natura. In Capaneo l’affermazione esclusiva e prepotente di sé non è né grottesca né comica; riflette piuttosto quell’eroismo esuberante e ingenuo che spinge i guerrieri omerici, o quelli che in una tragedia di Eschilo muovono all’assalto di Tebe (e qualcosa dello spirito di Eschilo è indubbiamente giunto sino a Dante attraverso Stazio), a vantare le proprie forze prima di iniziare il duello con l’avversario.
Il terzo motivo del canto, è quello dell’inesorabile decadimento dell’umanità attraverso le successive fasi della sua storia.
Il ruscello desolato
Nella landa arroventata, ecco d’improvviso un ruscello. Ma questo ruscello non è innocente, non ha nulla della freschezza dei ruscelletti del Casentino, così amorevolmente carezzati dalla parola di maestro Adamo nella decima bolgia (Inferno XXX, 64-69), né è destinato a portare la vita: due argini di pietra provvedono ad impedire che le sue acque fecondino la sabbia.
E’ anch’esso un’immagine di desolazione: convoglia nell’abisso del dolore il pianto dell’umanità colpevole e infelice. L’acqua, nel deserto, non è stata un miraggio; ma si è trattato di acqua inquinata, espressione di un morbo irriducibile, non dell’acqua che lava i peccati e restituisce la vita. Nel precipitare di roccia in roccia dei fiumi infernali il significato del pianto non può essere che quello di un progressivo convertirsi del dolore nella disperazione: il ghiaccio di Cocito è l’espressione ultima di questo irrigidimento dello spirito.
Domande da interrogazione
- Qual è il tormento subito dalle anime nel terzo girone del settimo cerchio?
- Chi è Capaneo e quale atteggiamento mostra nel suo tormento?
- Qual è il significato della statua del Veglio di Creta?
- Come viene descritto il paesaggio infernale nel canto?
- Qual è il ruolo del ruscello desolato nel canto?
Nel terzo girone del settimo cerchio, le anime subiscono una pioggia di fiamme su una distesa di sabbia infuocata. I bestemmiatori giacciono supini, gli usurai siedono, e i sodomiti camminano senza tregua.
Capaneo è uno dei sette re che assediarono Tebe, noto per la sua empietà. Nonostante il castigo divino, mantiene un atteggiamento arrogante e sfida Giove a colpirlo nuovamente.
La statua del Veglio di Creta rappresenta l'umanità colpevole. Le sue lacrime formano i fiumi infernali, simbolizzando il pianto e la sofferenza dell'umanità.
Il paesaggio infernale è descritto come inumano e stravolto, con fenomeni naturali che riflettono la giustizia divina e la corruzione del peccato, come la pioggia di fuoco e il sangue nel Flegetonte.
Il ruscello desolato convoglia il pianto dell'umanità colpevole, rappresentando un'immagine di desolazione e disperazione, senza portare vita o purificazione.