Alfred71
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Concetti Chiave

  • Vanni Fucci compie un gesto blasfemo verso Dio, mostrando un atteggiamento di sfida e maligna soddisfazione.
  • La punizione di Vanni Fucci coinvolge serpenti che lo immobilizzano, sottolineando la sua superbia verso Dio.
  • Caco, descritto come un centauro infuriato, è punito per i suoi furti ingannevoli e sanguinose stragi nella sua spelonca.
  • La metamorfosi dei dannati nella settima bolgia, secondo Dante, supera le trasformazioni descritte da Lucano e Ovidio per l'originalità e complessità.
  • Il tema della trasformazione finale esplora la perdita di identità fisica e morale, con i dannati che si scambiano fattezze tramite fumo e metamorfosi.

Indice

  1. Il gesto di Vanni Fucci
  2. La punizione di Vanni Fucci
  3. Caco e la sua storia
  4. La leggenda di Cianfa
  5. La metamorfosi del serpente
  6. La fusione delle forme
  7. La trasformazione di Agnolo
  8. La storia di Agnolo Brunelleschi
  9. La fusione delle teste
  10. Il tema della perdizione
  11. La fusione delle membra
  12. La seconda metamorfosi
  13. La sfida a Lucano e Ovidio
  14. La metamorfosi secondo Dante
  15. La trasformazione finale
  16. La storia di Puccio Sciancato

Il gesto di Vanni Fucci

Non appena ebbe finito di parlare il ladro levò entrambi i pugni col pollice sporgente fra l’indice e il medio, gridando: " Prendi, Dio, poiché rivolgo a te questo gesto! "

A proposito dello sconcio gesto di Vanni Fucci può essere utile ricordare quanto scrive nella sua Cronaca (VI, 5) il Villani: sulla rocca pistoiese di Carmignano "avea una torre alta settanta braccia, e ivi due braccia di marmo che faceano con le mani le fiche a Firenze".

Nel suo commento il Tommaseo dà notizia di una disposizione dello statuto di Prato, in base alla quale chi avesse compiuto questo gesto verso un’immagine di Dio o della Vergine doveva pagare "dieci lire per ogni volta; se no, frustato".

Il gesto imprevedibile e gratuito del ladro - il quale, dopo essersi fatto, per predire al suo avversario politico la sconfitta dei Bianchi, "solenne e severo come un profeta", "apostrofa brevemente Dio, con irridente familiarità, come chiamerebbe per nome un suo degno compagno o avversario di risse e di alterchi" (Ferrero-Chimenz) - è in questi termini motivato dal Torraca. Canto  25 Inferno - Prosa articolo"Vanni Fucci... al termine della sua profezia... è così pieno di maligna soddisfazione, e insieme, così eccitato, da osar di rivolgersi contro, Dio stesso... Non godrà Dante di averlo veduto, e non deve godere Dio di averlo messo tanto giù; e che monta la condanna e la pena, se egli ha potuto quasi infiggere un pugnale nel cuore di quel vivo, di quel Bianco, di quel suo nemico?


La punizione di Vanni Fucci

Da allora in poi i serpenti mi diventarono cari, poiché uno gli si attorcigliò in quello stesso istante al collo, come per dire "Non voglio che parli oltre",

ed un altro alle braccia, e lo legò nuovamente, congiungendo con tale forza capo e coda sul suo davanti, che (il dannato) non poteva con esse fare alcun movimento.

Ahi Pistoia, Pistoia, perché non decidi di ridurti in cenere in modo da non esistere più, dal momento che superi nel fare il male i tuoi fondatori ?

In nessuno dei tenebrosi cerchi infernali vidi mai un dannato così superbo verso Dio, neppure colui (Capaneo) che precipitò dall’alto delle mura di Tebe.

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Caco e la sua storia

Quello fuggì senza più dire parola; ed io scorsi un centauro gonfio d’ira avanzare gridando: " Dov’è, dov’è quel ribelle ? "

Non credo che la Maremma abbia tante serpi, quante quello aveva sulla groppa fin dove cominciano le fattezze umane.

Sopra le sue spalle, dietro la nuca, stava un drago con le ali aperte; e questo investiva col fuoco chiunque s’imbatteva in lui,

Virgilio disse: " Costui è Caco, il quale nella spelonca sul monte Aventino molte volte fu autore di sanguinose stragi.

Non percorre la medesima strada dei suoi simili (posti a guardia del primo girone dei violenti) a causa del furto che compì con l’inganno della grande mandria che ebbe a portata di mano;

per questo le sue azioni scellerate ebbero termine sotto la clava di Ercole, il quale probabilmente gli assestò cento colpi, mentre egli non riuscì a sentirne nemmeno dieci ".

Mentre diceva queste cose, ecco che Caco passò oltre e tre ombre vennero sotto il luogo in cui ci trovavamo, delle quali né io né Virgilio ci accorgemmo,

se non quando gridarono: "Chi siete?": onde il nostro discorrere cessò, e da quel momento in poi facemmo attenzione soltanto a loro.

Io non li riconoscevo; ma accadde, come suole accadere casualmente, che uno di loro dovesse fare il nome di un altro,

dicendo: "Dove sarà rimasto Cianfa? ": per la qual cosa io, affinché Virgilio prestasse attenzione, gli feci segno di tacere.


La leggenda di Cianfa

Del fiorentino Cianfa, appartenente alla famiglia dei Donati, capi dei Neri, consígliere del capitano dei popolo per il sesto di porta San Piero nel 1282, un antico commentatore scrive che "sempre si dilettò di furare bestie e di robare bottiglie e votare cassette"; ma, a parte questa caratterizzazione faceta che sa di leggenda, si conosce ben poco di questo personaggio.

La metamorfosi del serpente

Se tu ora, lettore, sei restio a credere ciò che dirò, non sarà cosa strana, dal momento che io, che ne fui spettatore, consento a malapena a me stesso di crederlo.

Mentre tenevo gli occhi rivolti verso di loro, ecco che un serpente con sei piedi si scaglia contro uno di loro, e aderisce a lui interamente.

Con i piedi centrali gli serrò il ventre, e con quelli anteriori gli afferrò le braccia; poi gli morsicò entrambe le guance;

stese i piedi posteriori lungo le cosce, e fra queste infilò la coda, e la tese nuovamente su per il suo dorso.

Edera non fu mai a tal punto stretta ad un albero, come il mostro spaventoso avvinse le sue membra a quelle dei dannato.

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Dopo che si fusero insieme come fossero stati di cera calda, e mescolarono i loro colori, né l’uno né l’altro sembrava più quello di prima,

come sulla superficie della carta si muove, precedendo la fiamma, un colore scuro che non è ancora nero e non è più bianco.


La fusione delle forme

Dopo la violenta aggressione, nettamente scandita in ciascuno dei suoi termini, per cui la distinzione tra agente e paziente si ripropone, nelle terzine 52 e 55, in ciascun verso "I’ispirazione, secondando il fatto, da plastica si fa pittorica" (Momigliano). Dopo la similitudine dell’ellera che suggella, definendolo visivamente, l’impeto del serpente, le distinzioni si attenuano, i due principii di individuazione si offuscano, i due corpi si fondono, le due forme si perdono in un che d’indefinito e mai visto. Questo secondo tempo della metamorfosi è espresso, sintatticamente, dal sostituirsi della terza persona plurale nei versi 61-62, alla terza persona singolare delle terzine 52 e 55. "Non c’è più né aggredito né aggressore; alla rapida, aspra, tagliente precisione di principio del quadro succede una lentezza e una pietà nascosta", per cui, ad esempio, la similitudine del papiro, così riposata e mesta in confronto a quella dell’ellera, termina con una parola - more - la quale, "più che al quadro, ci fa pensare al sentimento, all’agonia di quelle due forme vive invasate l’una nell’altra, all’angoscia inespressa dello spirito umano che muore confuso colla bestia" (Momigliano).

La trasformazione di Agnolo

Gli altri due lo osservavano attentamente, e ciascuno gridava: " Ahimè, Agnolo, come, ti trasformi ! Vedi che ormai non sei né due figure né una sola ".


La storia di Agnolo Brunelleschi

Su Agnolo Brunelleschi, appartenente a nobìle famiglia fiorentina passata dal partito ghibellino a quello dei Guelfi neri, non abbiamo notizie precise, a parte quelle, umoristiche e poco attendibili, contenute in una chiosa anonima: "infino picciolo votava la borsa al padre e alla madre, poi votava la cassetta alla bottega, e imbolava; poi da grande entrava per le case altrui, e vestiasi a modo di povero, e faciasi la barba di vecchio; e però il fa Dante così trasformare per li morsi di quello serpente come fece per furare".

La fusione delle teste

Le due teste erano già divenute una sola, allorché ci apparvero due aspetti fusi in un unico volto, nel quale erano due esseri che avevano smarrito la propria fisionomia.

Il tema della perdizione

Il tema della tristezza e della pietà, implicito al di là della perspicuità visiva dei termini nelle immagini della cera e del papiro, ed esplicitamente denunziato dal verbo, more con il quale si chiude il verso 66, riaffiora nell’espressione perduti alla fine del verso 72. Il suo significato immediato è: "confusi in modo da non essere più riconoscibili". Ma altri significati, appartenenti non più alla sfera delle cose visibili, fondano questa confusione che gli occhi registrano e della quale la mente prende atto con terrore: la "perdizione" di questi due esseri, prima che fisica, è stata metafisica e morale: solo in quanto morti e dannati (morti quindi due volte, alla vita fisica e a quella dello spirito) essi possono perdere la propria individualità confondendosi l’uno nell’altro.


La fusione delle membra

Dall’unione di quattro strisce (le braccia dell’uomo ed i piedi anteriori del serpente) ebbero origine le braccia; le cosce, le gambe, il ventre e il petto divennero membra mai vedute prima d’allora.

Ogni sembianza precedente era li cancellata: la figura deforme aveva l’aspetto di due cose e di nessuna; e così se ne andò con lenta andatura.

Come il ramarro sotto la grande sferza del sole nei giorni della Canicola (dal 21 luglio al 21 agosto), nel passare da una siepe all’altra, sembra un fulmine se attraversa la strada,

così appariva, nel dirigersi verso i ventri degli altri due, un piccolo serpente infuriato, scuro e nero come un granello di pepe;

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e trafisse ad uno di loro quel punto del corpo attraverso il quale, quando siamo nel grembo materno, riceviamo il cibo; poi cadde disteso per terra davanti a quello.

Il trafitto lo guardò, ma non disse nulla; anzi, con i piedi immobili, sbadigliava proprio come se fosse preso da sonno o febbre.

Egli guardava il serpente, e questo (guardava) lui; l’uno attraverso la ferita, e l’altro attraverso la bocca emettevano un fumo denso, e i due fumi si mescolavano incontrandosi.


La seconda metamorfosi

Il fumo è il veicolo attraverso il quale si opera la seconda metamorfosi di questo canto. Il Momigliano rileva che esso "è un elemento comune nelle scene magiche: la sua forma indeterminata è come la figurazione concreta della loro anima misteriosa". Il "senso della fascinazione" (durante tutte le fasi della loro reciproca trasformazione il serpente e l’uomo non cessano di guardarsi negli occhi) è reso musicalmente, nella terzina 91, dalla "simmetria tre volte ripetuta della prima parte del verso colla seconda, che incanta lo spirito colla monotonia lievemente sonnolenta del ritmo".

La sfida a Lucano e Ovidio

Più non si vanti Lucano per il passo in cui tratta dell’infelice Sabello e di Nassidio, e ascolti attentamente ciò che ora esce dalla mia fantasia.

Più non si vanti Ovidio a proposito di Cadmo e di Aretusa; poiché se nei suoi versi trasforma quello in serpente e quella in fonte, io non lo invidio;

mai infatti egli trasformò due esseri posti l’uno di fronte all’altro in modo che le forme di entrambi fossero in grado di scambiarsi la loro materia.

La metamorfosi secondo Dante

Nella Farsaglia di Lucano (IX, versi 761-804) è descritta la morte di due soldati romani nel deserto libico: Sabello, morso dal serpente "seps", divenne in brevissimo tempo cenere; Nassidio, morso dal serpente "prester", si dilatò fino al punto di scoppiare, trasformandosi così in una massa informe. Ovidio narra, nelle Metamorfosi, la trasformazione di Cadmo, il leggendario fondatore di Tebe. in serpente (IV, versi 563-603), e quella della Nereide Aretusa, la quale, inseguita dal fiume Alfeo, fu da Diana mutata in fonte (V, versi 572-641).

Dante sostiene, rispetto ai due modelli latini, l’originalità della propria invenzione poetica, basata sul reciproco trapasso delle forme da un essere all’altro. La terminologia filosofica (nature... forme... matera) dà rilievo al carattere miracoloso di questa metamorfosi. Essa avviene - come rileva il Mattalia - in deroga "da alcuni capitali postulati scientifico-dottrinali: che da una " forma " all’altra non c’è passaggio; che ogni mutamento o distruzione dei vincolo della " forma " con la sua materia comporta alterazione e morte dell’organismo; che una stessa materia non può esser soggetta contemporaneamente all’attività di due " forme "; e che la materia di un corpo, infine, infranto quel che gli scolastici chiamavano il principio d’individuazione, non può comportarsi come materia organizzata o, per l’intervento della forma, in via di organizzazione; e insieme come pura potenza o materia informe".

La trasformazione finale

(Le due nature) si corrisposero l’una all’altra secondo questa regola, il serpente divise la sua coda in forma di forca, e il trafitto unì insieme i suoi piedi.

Le gambe, e nel medesimo tempo le cosce, si fusero insieme a tal punto, che in breve la linea d’unione non mostrava più alcun segno che fosse visibile.

La coda divisa prendeva la forma che si perdeva nell’uomo, e la sua pelle diveniva morbida (come quella dell’uomo), mentre quell’altra s’induriva (come quella del serpente).

Vidi le braccia ritirarsi attraverso le ascelle, e i due piedi della bestia, che erano corti, allungarsi tanto quanto quelle si accorciavano.

Poi i piedi posteriori, attorcigliati l’uno all’altro, si trasformarono nel membro che l’uomo nasconde, e l’infelice dal suo membro aveva fatto uscire due piedi.

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Mentre il fumo ricopriva di nuovo colore sia l’uno che l’altro, e faceva spuntare il pelo sul serpente privandone l’uomo,

uno si alzò (quello che era serpente) e l’altro (quello che era uomo) piombò a terra, senza che per questo l’uno distogliesse dall’altro gli occhi malvagi, sotto i quali ognuno mutava volto.

Quello che era in piedi, ritirò il suo muso verso le tempie, e per l’eccessiva materia che in quella parte della testa si raccolse, vennero fuori dalle gote, che in precedenza ne erano prive, le orecchie:

ciò che di quell’eccesso di materia non si ritirò e rimase dov’era, formò il naso per il volto, e ingrossò le labbra quanto fu necessario.

Quello che stava disteso a terra, aguzzò il proprio volto, e ritirò le orecchie dentro la testa, come la lumaca fa con le sue corna;

e la lingua, che in precedenza aveva avuto tutta d’un pezzo e pronta a parlare, si divise, mentre quella biforcuta nell’altro divenne unita; e il fumo cessò.

Lo spirito che si era trasformato in serpente, fuggì sibilando per la bolgia, e l’altro parlando sputò dietro di lui.

Quindi gli voltò le spalle formale da poco, e disse all’altro (al ladro che non ha subìto metamorfosi): "Voglio che Buoso corra carponi per questo sentiero, come ho fatto io".

Vidi in tal modo i dannati della settima bolgia trasformarsI e scambiarsi le fattezze; e a questo proposito la straordinarietà dell’argomento valga a scusarmi, se il mio scrivere manca un poco di chiarezza.

E sebbene i miei occhi fossero alquanto disorientati, e l’animo sgomento, quei due non poterono allontanarsi tanto di nascosto,

che io non riuscissi a distinguere chiaramente Puccio Sciancato; ed era il solo, dei tre dannati che prima erano sopraggiuntí insieme, che non aveva subìto trasformazioni:

l’altro era quello a causa del quale, tu, Gaville, ti lamenti.

La storia di Puccio Sciancato

Del fiorentino Puccio Sciancato, appartenente alla famiglia ghibellina dei Galigai, una chiosa trecentesca dice che fu autore di "belli furti e leggiadri" e aggiunge che "fue cortese furo [ladro] a tempo, e però non era trasmutato, overo perché li suoi furti erano di die e non di notte".

Colui a causa dei quale Gaville, un borgo del Valdarno, si lamenta, è Francesco Cavalcanti, ucciso, secondo quanto narra l’Anonimo Fiorentino, in questa località; "per la qual morte i consorti di messer Francesco molti di quelli da Gaville uccisono e disfeciono; e però dice l’autore che per lui quella villa ancor ne piagne e per le accuse e testimonianze e condennagioni e uccisioni di loro, che per quella cagione ne seguìtarono".

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato del gesto di Vanni Fucci?
  2. Il gesto di Vanni Fucci, che alza i pugni con il pollice tra l'indice e il medio, è un atto di sfida e disprezzo verso Dio, esprimendo maligna soddisfazione e ribellione.

  3. Come viene punito Vanni Fucci per il suo gesto?
  4. Vanni Fucci viene immediatamente attaccato da serpenti che lo avvolgono e lo immobilizzano, impedendogli di parlare ulteriormente.

  5. Chi è Caco e qual è la sua storia?
  6. Caco è un centauro che, secondo Virgilio, fu autore di sanguinose stragi e fu ucciso da Ercole per il furto di una mandria, motivo per cui non percorre la stessa strada degli altri centauri.

  7. Cosa rappresenta la metamorfosi del serpente?
  8. La metamorfosi del serpente rappresenta una fusione fisica e simbolica tra il serpente e un dannato, illustrando la perdita di identità e la confusione tra le forme umane e bestiali.

  9. Qual è il tema centrale della fusione delle forme?
  10. Il tema centrale è la perdizione, sia fisica che morale, dei dannati, che perdono la loro individualità e si confondono l'uno nell'altro, simboleggiando la loro condizione di dannati eterni.

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