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Concetti Chiave

  • Dante si trova nel quinto Cerchio dell'Inferno, nella palude Stigia, che circonda la città di Dite, simbolo degli Eretici.
  • Gli Iracondi sono puniti nella palude, immersi nell'acqua sporca, dove litigano e si picchiano come in vita.
  • Flegias, demone traghettatore, guida le anime degli Eretici e porta Dante e Virgilio a Dite.
  • Dante incontra Filippo Argenti, un nemico personale, che tenta di trascinarlo nella palude.
  • Flegias interviene e gli altri Iracondi sopraffanno Filippo, che finisce per mordersi da solo.

Indice

  1. La Palude Stigia e gli Iracondi
  2. Flegias e il suo compito
  3. L'incontro con Filippo Argenti

La Palude Stigia e gli Iracondi

Nell’VIII Canto Dante si trova nel quinto Cerchio, precisamente nella palude Stigia, che circonda la città di Dite (vista come luogo invalicabile e chiuso dove erano rinchiusi gli Eretici – la città ha significato simbolico, infatti gli Eretici non cercavano il dialogo con la Chiesa).

All’interno di questa Palude si trovano gli Iracondi, cioè coloro che si concedono all’ira causando fastidi a se stessi e agli altri; l’ira era considerata un peccato d’incontinenza.

La loro pena consiste nel dover stare immersi nell’acqua sporca della palude, all’interno della quale loro litigano, si mordono e si picchiano così come avevano fatto prima di morire.

Flegias e il suo compito

All’interno della Palude c’è un Demone, Flegias, che ha il compito di traghettare le anime degli Eretici e anche di Dante e Virgilio all’interno della città di Dite.

L'incontro con Filippo Argenti

Dante non gli rivolge tanta attenzione, però parla con loro giusto per mostrare la loro bestialità; ad esempio egli incontra Filippo Argenti, un uomo politico di Firenze, probabilmente simpatizzante verso i Guelfi Neri e nemico dei Guelfi Neri, la cui famiglia ebbe contrasti con quella di Dante.

Dante prova ad iniziare a conversare con Filippo, che però cerca di tirarlo giù nella palude per poi attaccarlo, e allora Flegias lo inforca e gli altri Iracondi iniziano a picchiarlo e lui, sopraffatto dagli altri si morde da solo.

Seneca trattò argomenti riguardanti l’ira nel suo testo “De Ira”.

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