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Concetti Chiave

  • Le tecnologie del DNA ricombinante permettono di trasferire frammenti di DNA tra specie diverse, consentendo la manipolazione di geni per scopi di ricerca e applicazioni pratiche.
  • Gli enzimi di restrizione, scoperti nel 1972, sono fondamentali per tagliare il DNA in siti specifici, facilitando la manipolazione genetica e lo studio delle sequenze nucleotidiche.
  • La reazione a catena della polimerasi (PCR) è una tecnica chiave che consente l'amplificazione rapida di DNA, cruciale in medicina forense e per l'identificazione di mutazioni genetiche.
  • Il Progetto Genoma Umano, completato nel 2006, ha mappato la maggior parte del DNA umano, fornendo una base per la comprensione dei meccanismi genetici e delle malattie.
  • Le biotecnologie applicate a piante e batteri permettono di creare organismi geneticamente modificati con caratteristiche migliorate, sebbene vi siano preoccupazioni ambientali e di salute.

Grazie a nuove conoscenze scientifiche acquisite a partire dal 1975, gli scienziati hanno potuto avanzare le loro scoperte grazie alla tecnologia del DNA ricombinante. Questa tecnica consiste nel modificare segmenti di DNA e inserirli in altre cellule, spostando i geni da un sito all’altro.

Grazie a questa tecnologia, è possibile trasferire alcuni frammenti di DNA a specie differenti, poiché i geni producono sempre lo stesso polipeptide indipendentemente dall’organismo in cui vengono inseriti.

Questa tecnica permette agli scienziati di:

  • isolare segmenti di DNA per analizzarli e manipolarli;
  • copiare i segmenti;
  • scoprire la loro sequenza nucleotidica;
  • identificare i siti di inserimento.

Indice

  1. Funzionamento degli enzimi di restrizione
  2. Tecniche di clonaggio e PCR
  3. Sequenziamento del DNA e progetto genoma umano
  4. Biotecnologie e organismi geneticamente modificati
  5. Applicazioni delle biotecnologie in agricoltura
  6. Modifiche genetiche in animali e clonazione

Funzionamento degli enzimi di restrizione

Una delle scoperte fondamentali che hanno reso possibile questa tecnica è stata quella degli enzimi di restrizione, identificati nel 1972 da Hamilton Smith. Egli scoprì un gruppo di enzimi capaci di proteggere i batteri dai virus.

Gli enzimi di restrizione appartengono al gruppo delle endonucleasi, capaci di frammentare il DNA dei virus in prossimità di specifiche sequenze di basi azotate, chiamate siti di restrizione o sequenze di riconoscimento.

Ogni enzima di restrizione è specializzato nel riconoscere un determinato sito di restrizione. Per distinguere il DNA della cellula batterica da quello estraneo, il batterio protegge il proprio DNA attraverso un meccanismo di metilazione, ovvero l’aggiunta di un gruppo metile, che impedisce agli enzimi di restrizione di degradarlo.

Gli enzimi di restrizione tagliano entrambi i filamenti del DNA. Il taglio può essere netto (blunt ends), come avviene con l’enzima HpaI, oppure sfasato, generando estremità adesive (sticky ends). In quest’ultimo caso, i nucleotidi tagliati risultano spaiati su ciascuna estremità del frammento di DNA.

La scoperta delle estremità adesive ha permesso agli scienziati di avviare le prime manipolazioni genetiche.

Oggi è possibile tagliare una molecola di DNA utilizzando un enzima di restrizione, ottenendo un frammento di restrizione la cui lunghezza dipende dall’enzima utilizzato.

Un’altra tecnica per sintetizzare uno specifico tratto di DNA consiste nell’uso di un mRNA stampo. Sfruttando l’enzima trascrittasi inversa, si ottiene un DNA complementare (cDNA). Successivamente, grazie all’azione della DNA polimerasi, si sintetizza il secondo filamento complementare, ottenendo così una sequenza di DNA a doppio filamento.

Tecniche di clonaggio e PCR

Per ottenere molte copie di frammenti di DNA, è utile sfruttare le capacità di duplicazione di plasmidi e virus. Grazie a un enzima, è possibile inserire un gene estraneo in un plasmide, modificandolo. Successivamente, i plasmidi modificati vengono introdotti in una coltura batterica, così quando le cellule batteriche si duplicano, i plasmidi si duplicano anch’essi. I plasmidi duplicati vengono poi isolati e trattati nuovamente con un enzima di restrizione. In questo modo otteniamo i nostri cloni (copie multiple) e i nostri vettori, capaci di trasportare un frammento di acido nucleico in un organismo.

Il clonaggio è la tecnica che permette di creare in laboratorio più copie di DNA, mentre la clonazione si riferisce alla duplicazione di un individuo. In modo simile, possiamo usare i virus come vettori, poiché i vettori plasmidici sono in grado di trasportare segmenti di DNA con al massimo 10.000 paia di basi azotate, mentre i virus possono clonare segmenti con un numero maggiore di basi azotate.

Il processo di reazione a catena della polimerasi (PCR) fu scoperto da Kary Mullis, che vinse il Premio Nobel per questa invenzione. La sua intuizione fu geniale: per duplicare le catene complementari, bisogna separare i due filamenti tramite denaturazione (riscaldando il DNA). Successivamente, sono necessari due primer per attivare la DNA polimerasi. Attraverso due brevi frammenti di DNA, è possibile copiare la sequenza della catena. Mullis ipotizzò che questo processo potesse essere ripetuto più volte per ottenere numerose copie identiche in breve tempo.

Il problema iniziale era che, riscaldando il DNA per denaturarlo, la DNA polimerasi veniva disattivata. Dopo alcune ricerche, scoprì che la DNA polimerasi del batterio Thermus aquaticus è in grado di sopravvivere in ambienti termali ad alte temperature. Utilizzò quindi la DNA polimerasi di questo batterio per i suoi esperimenti. In una provetta, mise insieme il DNA stampo, i primer e la Taq polimerasi, e li introdusse in un termociclatore che regola la temperatura in base alla fase del processo.

Il processo funziona in questo modo: si alza la temperatura per denaturare la doppia elica, poi si abbassa la temperatura per permettere ai primer di legarsi ai tratti complementari dei singoli filamenti di DNA, e infine la DNA polimerasi inizia l’allungamento. Il ciclo di denaturazione, appaiamento e allungamento viene ripetuto circa trenta volte per amplificare la molecola iniziale fino a quasi un miliardo di copie.

Questo processo è estremamente utile in medicina forense, per esempio, per ricostruire il profilo genetico di una persona a partire da una goccia di sangue, o per individuare mutazioni che causano malattie genetiche o tumori.

Sequenziamento del DNA e progetto genoma umano

Lo sviluppo delle tecniche per tagliare il DNA in frammenti più piccoli e per produrne copie multiple ha reso possibile il sequenziamento del DNA, che è essenziale in medicina per diagnosticare malattie ereditarie e per analizzare il genoma di agenti patogeni. Il sequenziamento del DNA consente di determinare la sequenza nucleotidica del DNA, un’operazione fondamentale per comprendere i meccanismi genetici alla base di molte patologie.

Il primo metodo di sequenziamento è stato sviluppato dal chimico britannico Frederick Sanger negli anni Settanta ed è conosciuto come metodo a terminazione di catena. Questo approccio prevede la sintesi di un nuovo filamento di DNA in provetta, utilizzando una DNA polimerasi e un primer per attivare la sintesi. Oltre ai tradizionali nucleotidi del DNA (dNTP), vengono introdotti dei dideossinucleotidi trifosfato (ddNTP), che sono nucleotidi sintetici privi di un gruppo ossidrilico in posizione 3’, impedendo così l’allungamento della catena. Questi ddNTP sono legati a molecole fluorescenti di colori differenti, che permettono di identificare i frammenti prodotti durante il sequenziamento.

Durante la sintesi del DNA, i dNTP e ddNTP vengono incorporati in modo casuale, ma a causa della carenza di ddNTP rispetto ai dNTP, di tanto in tanto un ddNTP viene incorporato, interrompendo la sintesi del filamento. Di conseguenza, si ottengono frammenti di DNA di lunghezze diverse, ognuno dei quali termina con un ddNTP specifico. Questi frammenti vengono separati tramite elettroforesi capillare, un processo in cui i frammenti di DNA vengono separati in base alla loro lunghezza. Il sequenziamento viene poi ricostruito analizzando la sequenza dei colori che passano davanti a un rivelatore, determinando così la sequenza nucleotidica.

Fino agli anni Novanta, questo processo di sequenziamento era manuale, richiedendo l’analisi separata di ogni tipo di ddNTP per poi ricostruire le sequenze. Con il progresso della tecnologia, il sequenziamento è stato automatizzato, e oggi i sequenziatori moderni permettono di analizzare simultaneamente numerosi campioni (sequenziamento in tandem), aumentando l’efficienza e la precisione del processo.

Tuttavia, con il metodo di Sanger, è possibile sequenziare solo circa 150 coppie di basi per volta. Poiché il genoma umano contiene circa 3,2 miliardi di basi, per sequenziarlo completamente è necessario suddividerlo in milioni di frammenti. Un ulteriore problema è quello di riordinare le sequenze ottenute per ricostruire l’intero genoma, un processo complesso che richiede l’uso di sofisticati algoritmi di allineamento delle sequenze.

Nel 1990 fu avviato il Progetto Genoma Umano. L’obiettivo era mappare tutti i geni che compongono il genoma umano. Il progetto fu sostenuto da numerosi finanziamenti pubblici e privati, grazie all’azienda Celera Genomics, fondata da Craig Venter.

La prima bozza fu pubblicata nel 2000, e nel 2003 fu completata l’opera di mappatura del 99% del DNA umano. Successivamente, furono colmati i buchi e nel 2006 fu completata la mappatura di tutti i cromosomi umani.

Conoscere il genoma non significa comprenderlo; infatti, ci sarebbero voluti ulteriori anni di studio per sviluppare tecnologie in grado di sfruttarlo appieno.

Biotecnologie e organismi geneticamente modificati

La branca della scienza che mira a usare sistemi biologici per migliorare le condizioni di vita della nostra specie è la biotecnologia, termine inventato nel 1917; ma già da milioni di anni gli uomini selezionavano e incrociavano le piante con caratteristiche migliori.

Il ramo della biotecnologia si è ampliato nei settori agroalimentare, farmacologico e ambientale.

Il punto di partenza delle biotecnologie è il DNA ricombinante, che permette di avere il pieno controllo sulle caratteristiche che si vogliono ottenere. Gli organismi geneticamente modificati sono gli OGM (i geni vengono inseriti e spostati), distinti dagli organismi transgenici perché i geni inseriti provengono da un’altra specie.

Attraverso le biotecnologie, gli scienziati si rendono conto della possibilità di trasferire nei batteri i geni che codificano specifiche proteine; in questo modo, i batteri transgenici avrebbero funzionato come biofabbriche.

La prima proteina sintetizzata in una cellula batterica è stata la somatostatina (che viene prodotta nel pancreas). Gli scienziati ne conoscevano già la sequenza di amminoacidi e il gene che la codifica; quindi, lo hanno sintetizzato artificialmente e inserito nei plasmidi con le sequenze di regolazione. Poi i plasmidi sono stati introdotti in una coltura di batteri di Escherichia coli e, con la loro moltiplicazione, il plasmide ha dato origine a copie del gene della somatostatina. Successivamente, il gene è stato trascritto e tradotto nella proteina, che è stata isolata. È stato poi dimostrato che la proteina prodotta artificialmente è identica a quella umana.

Questa tecnica della sintesi batterica di proteine è utile dal punto di vista medico: per esempio, i pazienti diabetici, che in passato dovevano usare insulina di maiale o bovina, oggi possono contare sull’insulina prodotta in laboratorio. Alcuni scienziati californiani hanno individuato i segmenti di DNA che codificano le due catene polipeptidiche che compongono l’insulina, li hanno inseriti in plasmidi e poi introdotti nei lieviti. Dopo la trascrizione e la traduzione del gene, è stata ottenuta la proteina. Questa insulina è chiamata insulina ricombinante umana.

Inoltre, la tecnica del DNA ricombinante è sfruttata anche per produrre la renina, utilizzata nella produzione di formaggi.

Alcuni microrganismi sono in grado di produrre enzimi che modificano le sostanze inquinanti tossiche, rendendole innocue. Questo processo è chiamato biotrasformazione, e l’utilizzo di questi microrganismi è detto biorisanamento o biorimedio.

Ad oggi, si sta cercando di produrre artificialmente ceppi batterici capaci di ossidare gli idrocarburi del petrolio.

Applicazioni delle biotecnologie in agricoltura

L’uso delle biotecnologie nella produzione alimentare iniziò quando si riuscì a introdurre nel genoma della pianta di tabacco un gene per la resistenza a un antibiotico. Successivamente, le scoperte si sono ampliate, arrivando a rendere immuni le piante agli erbicidi e agli insetti.

Lo scopo degli erbicidi è eliminare le piante indesiderate in poche ore, ma nel caso della soia, essa deve sopravvivere a questi erbicidi. Per questo motivo, si inserisce una copia di un gene insensibile all’erbicida, permettendo così di ottimizzare i raccolti. Tuttavia, il problema di questa pratica è che gli erbicidi si accumulano nell’ambiente, con conseguenti danni per la salute umana.

Per rendere le piante resistenti agli insetti, viene introdotto nel loro genoma un gene di un batterio che produce la tossina Bt, letale per i parassiti ma innocua per la pianta, perché si attiva solo all’interno dell’apparato digerente del parassita e non in quello umano. Per questo motivo, non vi è alcun rischio per l’uomo.

L’innovazione non sta tanto nella tossina in sé, poiché in passato veniva nebulizzata sulle piante, ma nel fatto che ora sono le piante stesse a produrla autonomamente.

I ricercatori iniziarono a modificare frutta e verdura per conferire loro caratteristiche più vantaggiose. Un esempio è il pomodoro Flavr Savr, in cui è stato disattivato il gene responsabile della maturazione, rendendolo più durevole. Tuttavia, il sapore non era particolarmente buono.

Anche altri alimenti vengono modificati. In alcuni casi, l’introduzione di geni nelle cellule delle piante ha lo scopo di migliorare il prodotto, come nel caso del Golden Rice, un riso arricchito di vitamina A, fondamentale nei paesi più poveri.

L’uso delle piante nelle biotecnologie è vantaggioso perché sono pluripotenti, il che significa che da una sola cellula modificata può nascere un intero OGM.

Una difficoltà è rappresentata dalla spessa parete cellulare delle piante. Per ovviare a questo problema, si sfrutta Agrobacterium tumefaciens, un batterio che inserisce negli organismi vegetali infettati un frammento di DNA, creando un tumore in cui il batterio si moltiplica. Nei processi biotecnologici, i geni responsabili della formazione del tumore vengono silenziati e sostituiti con geni di interesse. Ad esempio, se si vuole rendere una pianta resistente agli insetti, si inserisce il gene per la produzione della tossina Bt; se invece si vuole migliorarne le caratteristiche nutrizionali, si aggiungono geni per la biosintesi di proteine.

Tuttavia, Agrobacterium tumefaciens non riesce a infettare le piante monocotiledoni, come grano e mais. Per questo motivo, si è sviluppato il metodo biolistico: consiste nel rivestire microproiettili di metallo con il DNA del gene da inserire e spararli nelle cellule. Solo alcuni frammenti di DNA raggiungono il nucleo, ma c’è il rischio che si integrino in una parte del genoma non trascrivibile, un aspetto che lo scienziato non può prevedere.

Modifiche genetiche in animali e clonazione

Il miglioramento delle tecniche ha consentito di applicare le conoscenze anche alle cellule animali, sia per cercare di curare malattie umane, sia per creare animali più vantaggiosi dal punto di vista industriale o della ricerca.

Questo processo è molto complesso, poiché può portare alla creazione di animali transgenici, cioè organismi che esprimono geni di altre specie. Infatti, il procedimento prevede la creazione del gene di interesse, la sua introduzione in cellule appropriate e la sua corretta espressione.

Con i topi knockout, gli scienziati studiano l’assenza di espressione di un determinato gene attraverso un processo chiamato knockout genico.

Per ottenere questo risultato, si inserisce in un plasmide una versione inattivata del gene di interesse, che viene poi introdotta in una cellula staminale di topo. Successivamente, la cellula modificata viene inserita in una blastocisti, dove si moltiplica e contribuisce alla formazione di un topo privo del prodotto proteico del gene inattivato.

Questo approccio permette ai ricercatori di studiare malattie con sintomi simili a quelli umani.

Il primo esperimento di clonazione di successo è quello della pecora Dolly. Il nucleo di una cellula somatica diploide di una pecora donatrice viene inserito in vitro in una cellula uovo privata del proprio nucleo, appartenente a un’altra pecora. L’embrione così ottenuto viene poi incubato nell’utero di una terza pecora. L’agnellino nato ha lo stesso corredo genetico della pecora donatrice.

Questo esperimento ha sollevato problemi etici, poiché si teme che possa essere l’inizio della clonazione umana. In realtà, oggi essa è vietata per scopi di tessuti, mentre è consentita solo per finalità terapeutiche o industriali.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il ruolo degli enzimi di restrizione nella manipolazione genetica?
  2. Gli enzimi di restrizione, scoperti da Hamilton Smith nel 1972, sono fondamentali per la manipolazione genetica poiché frammentano il DNA in siti specifici, permettendo di isolare e modificare segmenti di DNA.

  3. Come funziona la reazione a catena della polimerasi (PCR) e qual è la sua utilità?
  4. La PCR, scoperta da Kary Mullis, amplifica il DNA separando i filamenti e utilizzando primer e DNA polimerasi per creare copie multiple. È utile in medicina forense e per identificare mutazioni genetiche.

  5. In che modo le biotecnologie migliorano le piante e quali sono i rischi associati?
  6. Le biotecnologie migliorano le piante rendendole resistenti a erbicidi e insetti, ma l'accumulo di erbicidi nell'ambiente può danneggiare la salute umana.

  7. Qual è stato l'obiettivo del Progetto Genoma Umano e quali sono stati i suoi risultati principali?
  8. Il Progetto Genoma Umano, iniziato nel 1990, mirava a mappare tutti i geni del genoma umano. Nel 2003, il 99% del DNA umano era mappato, completando la mappatura di tutti i cromosomi nel 2006.

  9. Quali sono le implicazioni etiche della clonazione, come dimostrato dall'esperimento della pecora Dolly?
  10. L'esperimento della pecora Dolly ha sollevato preoccupazioni etiche riguardo alla clonazione umana, che è vietata per scopi di tessuti ma consentita per finalità terapeutiche o industriali.

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