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da cui si ricava la tensione incognita v :
o
1 1
= + − −
v v v I V
( )
o a b o TH
2 2
Sostituendo infine nella i e nella i ottiene:
D1 D2
1 1
= − +
i g v v I
( )
D
1 t b a o
2 2
1 1
= − +
i g v v I
( )
D 2 t a b o
2 2
La tensione in uscita è allora espressa dalla relazione:
1 1
= − − −
v E g R v v RI
( )
outa t a b o
2 2
1 1
= − − −
v E g R v v RI
( )
outb t b a o
2 2
Assumendo infine E = ½ RI si ottiene il risultato desiderato:
o
1
= − −
v g R v v
( )
outa t a b
2
1
= − −
v g R v v
( )
outb t b a
2
Generatore di corrente.
L’amplificatore differenziale di Fig. 10 fa uso di un generatore di corrente di valore I che
0
può essere realizzato mediante un transistore come indicato in Fig. 11.
Fig. 11: Struttura di un generatore di corrente a transistor.
Benché un transistor sia per propria natura un generatore di corrente quasi costante, esso
posto in serie all’elettrodo di
deve essere utilizzato in concomitanza con un resistore R r
6
Source per migliorarne le prestazioni. Tale resistore ha infatti lo scopo di rendere il valore
della corrente di Drain costante e soprattutto indipendente dal parametro g che per
t
propria natura è scarsamente affidabile. L’equazione che regge il funzionamento del
circuito in esame è infatti:
= +
V V R I
r GS d 0
da cui segue:
= −
V V R I
GS r d 0
Sostituendo allora nella solita espressione della corrente di Drain si ha:
= − −
I g V R I V
( )
0 t r d 0 TH
che risolta rispetto a da:
I
0
−
(
V V )
= r TH
I g
0 t +
1 g R
t r
Quest’ultima, se vale la condizione diventa:
g R >> 1
t r
−
(
V V )
= r TH
I 0 R r
ovvero una corrente di valore dipendente dalla tensione di riferimento , dalla resistenza
V
r
e dal parametro del transistore che si può ritenere abbastanza costante.
R V
r TH
Amplificatori operazionali.
Il circuito differenziale visto nel precedente paragrafo è l’elemento base mediante il quale
si realizza un amplificatore di largo impiego pratico che assume la denominazione di
amplificatore operazionale.
Esso si ottiene ponendo in cascata circuiti differenziali, come indicato in fig. 12, e
n
pertanto ha una amplificazione complessiva pari a:
v 1
= n
out ( g R )
t
−
( v v ) 2
a b
che se è sufficientemente grande assume valori che normalmente superano il milione. Il
n
numero di stadi n normalmente usato non supera comunque 2 o 3 sia perché si tratta di
valori più che sufficienti per gli scopi pratici, sia perché una amplificazione eccessiva
comporta problemi di stabilità ecc. 7
Fig. 12: Struttura dell’amplificatore operazionale e simbolo elettrico.
In pratica l’amplificatore operazionale il cui simbolo è mostrato in fig. 12 si può
considerare avente una Questo valore limite conferisce
amplificazione di valore infinito.
all’amplificatore operazionale una caratteristica peculiare. Tenendo infatti conto che nelle
applicazioni pratiche la tensione di uscita non può superare valori di qualche decina di
v out
volt si deve concludere che la tensione ai capi dei morsetti di ingresso non può che
(v -v )
a b
essere nulla. Questa regola nota anche col termine di si può così
corto circuito virtuale
riassumere:
1° regola dell’amplificatore operazionale: la tensione ai capi dei morsetti di ingresso è nulla.
A tale regola se ne può aggiungere un’altra e precisamente:
2° regola dell’amplificatore operazionale: la corrente assorbita dai morsetti di ingresso è nulla.
che in pratica è la duale della prima.
La seconda regola è dovuta al fatto che l’isolante posto in corrispondenza degli elettrodi
di Gate non lascia passare corrente continua ed inoltre, date le piccole dimensioni del
condensatore corrispondente, anche le correnti variabili eventualmente presenti a causa
delle variazioni veloci delle tensioni di ingresso, e sono normalmente di
Cdv /dt Cdv /dt
a b
valore molto piccolo e generalmente trascurabile.
8
Applicazioni degli amplificatori operazionali.
Qui di seguito viene riportato un elenco di applicazioni tipiche degli amplificatori
operazionali.
Montaggio potenziometrico
Questo circuito permette di amplificare positivamente un segnale senza assorbire corrente
dal generatore di ingresso.
Fig. 13: Montaggio potenziometrico dell’amplificatore operazionale.
Il calcolo del guadagno (rapporto tra tensione continua in uscita ed in ingresso) si può
G
fare anzitutto supponendo che l’amplificazione dell’operazionale non assuma valori
A
infiniti e quindi non sia valida la prima regola descritta nel precedente capitolo. In questa
ε
ipotesi ai capi degli ingressi apparirà una tensione che per quanto piccola non è
trascurabile. Si ha allora (vedi fig. 13):
ε
−
v
= in
i R
1
Assumendo invece valida la seconda regola (correnti nulle all’ingresso) si ottiene:
ε
−
v v
=
in out
+
R R R
1 1 2
ε
Sostituendo e rielaborando si ricava infine:
= v /A
out
+
v R R 1
=
out 1 2 +
R R 1
v R + 1 2
in 1 1 R A
1 ∞
Ammesso che si vede subito che il guadagno del circuito potenziometrico
A→ G
diventa:
+
R R
= 1 2
G R
1 9
È infine facile verificare che la precedente relazione è valida se ossia se il
G << A,
guadagno G, richiesto al circuito, è molto inferiore rispetto all’amplificazione A
dell’operazionale utilizzato. Come si vede il valore di ottenuto dipende solo dai
G
componenti esterni che possono essere scelti particolarmente stabili e precisi garantendo
così un elevato standard qualitativo al dispositivo realizzato.
Montaggio invertitore
Benché questo circuito presenti lo svantaggio, rispetto a quello potenziometrico, di
assorbire corrente dal generatore di ingresso esso è la base di gran parte delle applicazioni
dell’amplificatore operazionale, alcune delle quali verranno descritte nel seguito.
Fig. 14: Montaggio invertitore dell’amplificatore operazionale.
Anche per questo montaggio è possibile un calcolo simile al caso precedente per valori di
non particolarmente elevati. Si ha infatti (vedi fig. 14):
A ε
−
v
= in
i R
1
Assumendo valida la seconda regola (correnti nulle all’ingresso) si ha:
ε ε
− −
v v
=
in out
R R
1 2
ε
Sostituendo e rielaborando si ottiene infine:
= -v /A
out
v R 1
= −
out 2 R 1
v R + +
2
in 1 1 ( 1
)
R A
1
∞
Se il guadagno del circuito invertitore diventa:
A→
R
= − 2
G R
1 ≅ | |
che è valida in generale se ossia, anche in questo caso, se il guadagno
(R /R +1) G << A,
2 1
richiesto al circuito è molto inferiore all’amplificazione dell’operazionale utilizzato.
Montaggio sommatore
Questo circuito, che consente di fare la somma pesata di due tensioni, è una applicazione
del circuito invertitore visto in precedenza. Esso sfrutta il fatto che le correnti inviate dalle
10
tensioni di ingresso e alle rispettive resistenze ed si sommano nella resistenza
v v R R R.
1 2 1 2
Ovviamente il numero di tensioni sommabili è, entro certi limiti, arbitrariamente grande.
Fig. 15: Montaggio sommatore dell’amplificatore operazionale.
Senza entrare in dettagli relativi al caso di valori di non particolarmente elevati si
A
possono assumere valide entrambe le regole dell’amplificatore operazionale e scrivere:
v v
= +
1 2 (in conseguenza della prima regola)
i R R
1 2
e quindi: v
v v
+ = − out
1 2 (in conseguenza della seconda regola)
R R R
1 2
da cui si ottiene:
R R
= − +
v ( v v )
out 1 2
R R
1 2
La somma pura e semplice (cambiata di segno) si ottiene quando R =R =R.
1 2
Montaggio sottrattore
Questo montaggio sfrutta entrambi gli ingressi dell’amplificatore operazionale per
ottenere la differenza pesata di due tensioni. Qui per semplicità si riporta il caso
particolare in cui le resistenze sono state scelte di valore tale da ottenere la differenza pura
(e non quella pesata):
Fig. 16: Montaggio sommatore dell’amplificatore operazionale.
la tensione sul morsetto di ingresso non invertitore si può scrivere:
Indicando con v o 11
−
v v
= o
1 (in conseguenza della prima regola)
i R
1
ed inoltre
− −
v v v v
=
1 o 0 out (in conseguenza della seconda regola)
R R
1 2
Sempre in conseguenza della seconda regola si ha:
R
= − 2
v v
o 2
+
R R
1 2
da cui sostituendo segue:
R
= − −
2
v ( v v )
out 1 2
R
1
Montaggio integratore
Anche questo circuito che consente di fare l’integrale rispetto al tempo di una tensione è
una applicazione del circuito invertitore. Si ottiene infatti sostituendo la resistenza con
R 2
un condensatore C.
Fig. 17: Montaggio integratore dell’amplificatore operazionale.
Assumendo valide entrambe le regole dell’amplificatore operazionale si ha:
v
= in (in conseguenza della prima regola)
i R
ed inoltre
v dv
= −
in out (in conseguenza della seconda regola)
C
R dt
Integrando rispetto al tempo si ottiene infine:
t
1 ∫
= − +
v v dt v ( 0
)
out in out
RC 0
Si noti che è la carica iniziale del condensatore all’istante
v (0) t=0.
out
Il circuito integratore ora descritto ha il difetto di essere poco stabile. I morsetti di
ingresso (contravvenendo alla seconda regola) assorbono una corrente che, pur essendo
estremamente piccola, carica il condensatore C facendo così variare lentamente la tensione
in uscita anche in assenza di segnale in ingresso.
12
Amplificatore logaritmico.
Se al posto della resistenza del montaggio invertitore si utilizza un diodo a
R D
2
semiconduttore si ottiene un amplificatore in cui la tensione di uscita è proporzionale al
logaritmo dell’ingresso. Fig. 18: Amplificatore logaritmico.
Il diodo ausiliario viene aggiunto (polarizzato inversamente) in modo da assorbire una
D
o
corrente di saturazione che ha lo scopo di eliminare la del diodo Si ha infatti:
I I D.
o o
v
= in (in conseguenza della prima regola)
i R
ed inoltre v
− out
v = − +
V
in (in conseguenza della seconda regola)
( 1
)
I e I
T
o o
R
Semplificano e passando ai logaritmi si ottiene:
v
= − in
v V ln( )
out T RI o
Al circuito logaritmico si può associare il circuito esponenziale, riportato in fig. 19.
Fig. 19: Amplificatore esponenziale.
In questo caso si ha:
v in
v
− = − +
V
out ( 1
)
I e I
T
o o
R
da cui segue: 13
v
in
= − V
v RI e T
out o
L’amplificatore logaritmico e quello esponenziale possono essere utilizzati per effettuare il
prodotto o anche il quoziente di due tensioni come mostrato in fig. 20.
Fig. 20: Circuito moltiplicatore/divisore.
Il circuito di fig. 20 sfrutta il fatto ben noto che il logaritmo del prodotto di due numeri
(ovvero del loro quoziente) è eguale alla somma (ovvero differenza) dei singoli logaritmi.
In tal modo si ha:
= + =
ln( ) ln( ) ln( )
v v v v v
o 1 2 1 2
da cui segue in uscita:
= =
v
v e v v
o
out 1 2
Ovviamente se invece di fare la somma dei logaritmi se ne fa la differenza, in uscita si
ottiene il quoziente .
v /v
1 2
Compressori ed espansori di dinamica.
Si tratta di montaggi simili all’amplificatore logaritmico in cui però al posto di un solo
diodo a semiconduttore se ne usano due posti in parallelo e orientati l’uno opposto
all’altro, come indicato in fig. 21.
Fig. 21: Circuito compressore di dinamica.
In questo caso si ha:
v v
−
out out
v = −
V V
in ( )
I e e
T T
o
R
Il legame tra e si ottiene graficamente ed è riportato in fig. 22.
v v
out in 14
Fig. 22: Caratteristica ingresso-uscita del un compressore di dinamica di fig. 21.
Esaminando tale figura si vede subito che, a causa dell’andamento particolare del legame
tra ingresso e uscita, le piccole oscillazioni di v emergono in uscita più amplificate di
in
quelle grandi. Il compressore di dinamica viene utilizzato per evitare che le piccole
oscillazioni di un segnale (ad esempio i sussurri di una conversazione telefonica) siano
sommerse dal rumore quando esso viene inviato attraverso un mezzo di trasmissione
disturbato. Ovviamente una volta ricevuto il segnale, esso va inviato in un espansore di
dinamica come quello di fig. 23, che ne ripristina i livelli corretti, effettuando l’operazione
inversa. Fig. 23: Circuito espansore di dinamica.
Analisi armonica, rumore termico e filtri.
Si definisce periodica una funzione che si ripete sempre eguale a se stessa al di fuori di
f(t)
un intervallo di tempo e cioè soddisfa alla condizione essendo un intero
T f(t+nT)=f(t) n
qualsiasi. Per una funzione periodica vale la seguente formula di Fourier:
∞
∑
ω ψ ω ψ ω ψ ω ψ
= + + + + + + + = +
( ) sin( ) sin( 2 ) sin( 3 ) ... sin( )
f t A A t A t A t A n t
0 1 1 2 2 3 3 n n
=
n 0
15
ω π
dove è la frequenza angolare. In altre parole una funzione periodica si può
=2 /T ω