Concetti Chiave
- Il termine jihad deriva dalla radice araba j-h-d, che significa "sforzarsi" o "impegnarsi", con molteplici interpretazioni nel contesto religioso e culturale.
- I versetti coranici 2.190-193 e 22.39-40 sono spesso citati nel dibattito sul jihad, enfatizzando la limitazione e il contesto della difesa contro l'oppressione.
- L'interpretazione di termini polisemici come "qatilu", "i’tada", e "fitna" è cruciale per comprendere le diverse letture del Corano riguardo al combattimento.
- Figure come Khomeini, Shari’ati e Qutb hanno reinterpretato concetti coranici per sostenere l'islamismo politico, ponendo l'accento sugli "oppressi" come eredi della Terra.
- Il fondamentalismo islamico giustifica il combattimento come risposta all'ingiustizia subita, promuovendo l'idea che gli oppressi abbiano il dovere di ribellarsi per ottenere giustizia terrena.
La radice araba j-h-d indica “sforzarsi”. Quindi il significato originario del termine jihad è appunto “impegnarsi”, darsi da fare, sforzarsi appunto. Chiaramente esistono molti modi di compiere il jihad sulla via di Dio, come si scopre leggendo gli hadith: il parto, il pellegrinaggio e, ovviamente, la guerra. Al riguardo si possono analizzare tre gruppi di versetti:
o Versetti 2.190-193
Nei primi 12 anni di missione a Mecca, non si era mai opposta resistenza violenta alle persecuzioni. Soltanto giunto a Medina Muhammad riceve l’ordine di combattere e si hanno i primi versetti rivelati relativamente al combattimento. Si identificano alcuni termini di importanza cruciale:
a. qatilu: “combattete (sulla via di Dio)”. Chiaramente e logicamente non si usa il termine jihad, ma propriamente il verbo che indica il gesto del combattere. Per i musulmani il Corano è ipsissima verba dei, quindi è impensavile che Dio usi le parole a caso. Se viene utilizzato il verbo qatilu al posto di jihad, un motivo sicuramente c’è.
b. i’tada: “non oltrepassare i limiti”. Si tratta di un verbo polisemico, che significa anche “aggredire”. In questo secondo caso il tono della frase cambia nettamente, così come la gravità degli atti da mettere in pratica. In ogni caso si dice chiaramente che non bisogna vivere in uno stato aprioristico di guerra continua.
c. fitna: “scandalo”, ma anche in questo caso si tratta di un termine (estremamente) polisemico. Viene tradotto, in altri contesti, come “scima”, oppure, nel nostro caso, anche come “persecuzione”. Usando quest’ultima accezione è molto significativo dal punto di vista musulmano, perché significa che bisogna combattere i meccani in quanto persecutori.
Questi quattro versetti, nel loro insieme, offrono un testo che è un continuo dire: “fate, ma fermatevi”, “combattete, ma non eccedete”, “uccidete, ma non presso il sacro tempio”, eccetera. C’è la struttura schematica del “fa, ma”. Ad una prima lettura si ha sì l’impressione dell’invito a combattere, ma l’analisi strutturale fa invece emergere una realtà più limitativa.
Nel versetto 193 si esprime la frase “e la religione sia quella di Dio”, indicata con il termine din. Sembra quindi un’invito al combattimento fino alla costrizione alla conversione. In altre parti del Corano però, si invita a non imporre costrizioni nella fede, indicata anche qui come din. Quindi una dimostrazione di promozione della tolleranza religiosa.
Il problema quindi si riduce a determinare quale sia la vera religione di Dio. Analizzando il testo coranico, si trova un passo in cui Muhammad, durante il “pellegrinaggio dell’addio”, specifica l’Islam come din. Ma quale Islam? Non quello storico dell’ancora inesistente impero islamico, ma l’Islam come monoteismo, religione naturale (fitra). Il versetto 193 quindi può escludere l’Islam in senso storico e invece intendere come fedeli tutti i “credenti nel monoteismo”.
Il problema si presenta altre volte nel testo, con passaggi che spesso vengono interpretari in chiave jihadista estremista. Si afferma la necessità di uccidere gli “idolatri”, cioè i mushrikin, letteralmente gli “associatori”. Con idolatri si intende probabilmente i pagani meccani, non gli altri monoteisti. Inoltre il termine “si convertono” è originariamente tabu, cioè anche “si pentono”.
Considerando il meccanismo dell’abrogazione, questa parte è molto significativa perché compare in una di quelle che vengono considerate come le ultime sure rivelate, quindi il suo contenuto annullerebbe i versetti più pacifisti. L’uccisione dei miscredenti diventa legittima. La teoria della dialogicità di Abu Zayd però rende insensato il discorso dell’abrogazione.
o Versetti 22.39-40
Potrebbero essere i primi versetti rivelati che rendono lecito il combattimento, contestualizzato ai musulmani che hanno dovuto emigrare da Mecca a Medina perché perseguitati. Anche in questo caso il termine utilizzato per indicare il combattimento è qatilu, ed è permesso come atto soltanto perché “hanno subito ingiustizia”, cioè il verbo passivo zulimu33. Il significato in sintesi è questo: si autorizza al combattimento chi ha subito ingiustizia, ma non si tratta di una necessità a priori, quanto piuttosto una limitazione concettuale molto precisa. Concetto che viene ripetuto anche nel versetto 40, specificando inoltre che l’essere stati scacciati dai meccani è avvenuto ghayr haqq (“senza diritto”) da parte loro, quindi si ha subito un torto.
Oggi il fondamentalismo islamico viene dipinto come un movimento di terroristi che a priori vogliono uccidere gli infedeli. Leggendo le loro professioni d’intenti, essi rivendicano invece proprio una subita violazione di diritto. Il pensatore Qutb, matrice ideologica del radicalismo, affermava che non solo è lecito, ma necessario combattere, perché i musulmani hanno subito ingiustizia contro il diritto. Ispirandosi a questi versetti afferma l’obbligo al combattimento. Il fondamentalismo ha il filo conduttore che i musulmani sono oppressi quindi devono ribellarsi e compiere il jihad.
Nel versetto 40 è contenuto il polisemico verbo dafa’a, che ha interpretazioni non opposte ma neppure congruenti: “difendere” e “trattenere”. Differenza che cambia il senso della frase.
a. Nel primo caso Dio rende lecito il combattere i nemici per autodifesa
b. Nel secondo caso Dio impone di non combattere.
‘Azzam, il vero ideologo di Al-Qaeda, sceglie la prima interpretazione. Sono problematiche che spiegano, ma non giustificano l’ideologia dell’islamismo radicale. Non si tratta di una “irruzione” di irrazionalismo medievale, per esempio lo stesso ‘Azzam era professore universitario. Dietro il fondamentalismo c’è sempre una riflessione ed è pericoloso considerare le sue manifestazioni come pura espressione di irrazionalismo cieco. Le motivazioni esistono e trovano fondamento concettuale coranico, a prescindere dalla loro validità.
Si hanno tre importanti figure:
1. Khomeini, diretto protagonista della rivoluzione iraniana del 1979 (sciita)
2. Shari’ati, morto nel 1977, padre ispiratore della rivoluzione stessa (sciita)
3. Qutb, ideologo del fondamentalismo (sunnita)
Tutti pensatori radicali, tutti fanno riferimento al termine coranico mustad’afun, che è centrale nel discorso dell’islamismo politico contemporaneo. La sua radice rimanda al concetto di debolezza e nei versetti coranici è tradotto appunto come “debole”, mentre nell’elaborazione teoria dei tre personaggi citati è invece “oppressi”.
Nel testo viene anche accompagnato dalla radice j-h-d, che si esprime nel termine mujahidun, cioè coloro che combattono fino al martirio. Quindi si ha la jihad declinata in chiave bellica, ma non direttamente, quanto piuttosto indirettamente con il termine mujahidun. Dio ha preferenza per chi si impegna in questa azione. In occasione del Giorno del Giudizio, chi ha fatto torto a se stesso (“i seduti nelle loro case”) sarà interrogato dagli Angeli al riguardo di questo comportamento di inattività. La risposta sarà: “siamo stati mustad’afun sulla Terra”, nel senso di deboli. Quindi il non combattimento viene giustificato.
I tre pensatori invece interpretano questo termine come “oppressi”, che non ha giustificazione alcuna, quindi andranno cacciati all’inferno (come afferma Qutb). In ogni caso gli Angeli ribattono a ciò chiedendo il perché di non essersi ribellati in risposta all’oppressione. Si fa riferimento anche alla possibilità di emigrare nella “vastità della Terra di Dio”.
Il termine mustad’afun ricompare anche nel contesto ebraico in Egitto, sotto l’oppressione del Faraone. In questo ai mustad’afun arriva da Dio più che una promessa, ma piuttosto la garanzia che diverranno i “principi sulla Terra”. Si tratta, da precisare secondo Qutb, di un beneficio che deve avvenire su questa Terra, non nell’aldilà. Non c’è quindi una prospettiva escatologica per le anime di godere delle benedizioni paradisiache. Si tratta in qualche modo, come afferma Shari’ati, dell’idea dei socialisti rivoluzionari: gli “oppressi” che diventano gli “eredi della Terra”.
In sintesi, questo il nocciolo teorico dell’islamismo fondamentalista: viene dato il permesso di combattere a chi subisce ingiustizia, è necessario difendersi gli uni dagli altri per garantire il diritto. Gli oppressi non solo hanno il diritto di combattere, ma il dovere. Grazie a queste azioni, su questa Terra nel diventeranno gli “eredi”, quindi giustificati e premiati per il loro jihad, il loro sforzo bellico.
Domande da interrogazione
- Qual è il significato originario del termine jihad?
- Qual è il significato dei versetti 2.190-193 del Corano riguardo al combattimento?
- Come viene giustificato il combattimento nei versetti 22.39-40?
- Chi sono le figure chiave del pensiero radicale islamico menzionate nel testo?
- Qual è il concetto centrale dell'islamismo fondamentalista secondo il testo?
Il termine jihad deriva dalla radice araba j-h-d, che significa "sforzarsi" o "impegnarsi". Originariamente, indica l'atto di impegnarsi sulla via di Dio, che può includere vari aspetti come il parto, il pellegrinaggio e la guerra.
Nei versetti 2.190-193, si invita a combattere sulla via di Dio, ma con limitazioni. Si sottolinea l'importanza di non oltrepassare i limiti e di non vivere in uno stato di guerra continua. Il combattimento è permesso solo in risposta a persecuzioni.
Nei versetti 22.39-40, il combattimento è giustificato per coloro che hanno subito ingiustizia e sono stati scacciati senza diritto. È un atto permesso per autodifesa, non una necessità a priori.
Le figure chiave menzionate sono Khomeini, Shari’ati e Qutb. Tutti e tre sono pensatori radicali che hanno influenzato l'islamismo politico contemporaneo, interpretando il termine mustad’afun come "oppressi".
Il concetto centrale è che gli oppressi hanno non solo il diritto, ma il dovere di combattere contro l'ingiustizia. Attraverso il jihad, essi diventeranno gli "eredi della Terra", giustificati e premiati per il loro sforzo bellico.