Foscolo: Forse perché della fatal quiete – parafrasi e commento
Parafrasi
Forse è perché tu sei l’immagine della morte (= fatal quiete)che discendi in me così cara,
o Sera! Sia quando ti accompagnano
le nubi estive e i venticelli sereni,
sia quando dal cielo carico di neve fai discendere sulla terra
notti lunghe e tempestose,
tu discendi sempre cara ed occupi dolcemente
le vie più segrete del mio cuore.
Mi fai vagare di pensiero in pensiero sulle vie
che conducono al nulla eterno; ed intanto, questo tempo infelice
sta fuggendo e con lui se ne va la moltitudine
delle angosce con cui il tempo si consuma insieme a me;
e mentre io osservo la tua pace, va placandosi
lo spirito guerriero sempre ruggente dentro di me.
Commento
Il sonetto segue la struttura abab/abab/cdc/dcd. Nelle antologie scolastiche, esso è anche noto con il titolo Alla seraIl primo verso inizia con l’avverbio “Forse”, come se esso forse la conclusione di una lunga meditazione interiore del poeta che esce alla luce e prosegue con un’andatura lenta, prolungata anche dalla dieresi sulla parola “quïete”. Il poeta si rivolge alla sera riconoscendo per questo particolare momento della giornata la sua predilezione perché è l’immagine della morte definita come quiete concessa dal destino a tutti i mortali e quindi “fatal”. La sera è sempre cara al Foscolo, sia nella bella stagione che in quella invernale. I versi che ci rimandano ai due momenti dell’anno sono densi di immagini e di musicalità. Il verbo “corteggian”, la leggerezza delle nuvole estive e il venticello appena accennato suggeriscono immagini di grazia e di serenità a cui contribuisce anche l’enjambement “le nubi estive” del 4° verso. I vv. 5 e 6 creano l’immagine della cattiva stagione, indugiando su suoni cupi ( - u-, -m-), ricorrendo ad un prolungamento del ritmo con la dieresi su inquïete e sull’ enjambement all’inizio del 6° verso con la parola “tenebre”. A ben guardare, l’aria che annuncia la neve e le lunghe notti che ci rimandano alle ombre non descrivono un paesaggio esteriore, ma un modo con cui la sera invade e quindi prende possesso del cuore del poeta. Nelle due terzine, il poeta intende la morte coma una forma di annullamento definitivo, quindi in senso laicistico e non come passaggio o inizio di una nuova vita. Infatti, la sera consente al pensiero Foscolo di riflette sulla notte eterna al di là della quale esiste solo il nulla e mentre egli è assorto nelle sue meditazioni il tempo trascorre e con esso se ne vanno anche le angosce: questa riflessione va intesa nel senso che il tempo nel suo trascorrere, distrugge tutto, compresa la vita del poeta, fatta di affanni e dolori. Per “reo tempo” deve inteso non solo la vita del Foscolo, ma anche il periodo storico in cui egli è vissuto e quindi definito “reo” (= infelice, malvagio) perché mediocre e causa di tanta infelicità per quella generazione, di cui il poeta è uno dei rappresentanti più significativi. Nella contemplazione della sera, identificata nella morte, lo spirito agitato e tempestoso del poeta riesce a placarsi. L’immagine dello spirito ruggente, che sembra porsi in contrasto con la generale atmosfera malinconica del sonetto si ritrova in tutti i componimenti poetici del Foscolo.