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Giuseppe Ungaretti - Il porto sepolto: commento e analisi
Nel cuore della Prima Guerra Mondiale, tra le trincee intrise di fango e sangue, Giuseppe Ungaretti scava con le parole come si scava una tomba. Il suo verso è breve, scarnificato, simile a un respiro spezzato nella nebbia, e Il porto sepolto è il manifesto oscuro della sua poetica. Una poesia breve, ma carica di abissi: come un frammento di pergamena ritrovato in un sarcofago sommerso. Tra i tanti significati della poesia c'è quello di esprimere il tentativo che il poeta fa di riportare alla luce una verità sepolta, occulta. Questa è la verità che il poeta cerca di portare su come un sommozzatore cerca di comunicare al mondo la bellezza di un porto, che però resta sepolto.Il porto come approdo dell'anima
Il porto di cui parla non è luogo geografico, ma approdo dell’anima, rifugio perduto e sommerso. È qualcosa che “si cela / nelle profondità / oscure”, proprio come un segreto arcano che solo pochi possono intuire. Il poeta non è un semplice scrittore, ma un necromante che cerca di evocare dal fondo del silenzio una verità sepolta da secoli. La poesia è così un atto rituale, un’incursione nei meandri della coscienza, dove la luce è scarsa e ogni parola pesa come una reliquia.C’è un’atmosfera notturna, quasi cimiteriale, in questi versi. Ungaretti non racconta, non descrive: evoca. Le sue parole sono frammenti di una visione gotica, come visioni affiorate in sogno da una memoria collettiva ferita. Il “porto sepolto” è anche metafora dell’identità perduta dell’uomo moderno, sradicato, spaesato, immerso in un mondo che ha smarrito ogni certezza. Non ci sono fari, né bussole, solo un “segreto” che si intuisce appena e si perde subito, come una nave fantasma nella nebbia.
Il poeta si presenta come “colui che scruta / negli occhi degli altri / la morte”. Qui l’uomo è trasfigurato in spettro, e l’altro in specchio in cui si riflette la fine. Il contatto umano è rarefatto, spettrale: ogni soldato è un sopravvissuto che porta addosso il lutto di chi non ce l’ha fatta. Ungaretti, come un poeta-vampiro, si nutre di questi silenzi, li distilla, e con essi costruisce i suoi versi, che sono lapidi e preghiere insieme.