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Sintesi
Daniela Molinari [Italia] Cartagena de Indias – Milano viaggio di sola andata?

Sei anni fa Maria Estrêla è arrivata in Italia con un volo in partenza da Cartagena de Indias (Colombia) e arrivo a Milano. Ho avuto l’insperata fortuna di fare la sua conoscenza, alcuni mesi fa, davanti al padiglione della Colombia a Expo 2015.
Siamo entrambe in ordinata fila, in attesa del nostro turno per entrare. A rompere il ghiaccio interviene il volontario addetto alla regolamentazione dell’ingresso, il quale gentilmente ci avvisa del tempo stimato per poter finalmente entrare nel padiglione. Ci scambiamo le nostre impressioni in merito alla lunga attesa da sopportare, al momento stimata in circa due ore. Noto che indossa una camicetta bianca e un maglioncino di cotone azzurro che di tanto in tanto sistema con le sue piccole mani. Alle orecchie, due perle bianche le illuminano la pelle olivastra. Di lei mi colpisce subito la notevole bellezza, tipica delle donne colombiane, grazie ad un mix di tratti somatici africani, europei e locali. Ha un’espressione molto dolce, passionale, fiera, orgogliosa, accentuata dai lunghissimi capelli corvini che le incorniciano l’ovale del volto per adagiarsi come flessuosi fuscelli sulle morbide spalle ed anche oltre. Non sta mai ferma nonostante l’immobilismo della lunga coda di persone intorno a lei. Sembra quasi danzare al ritmo di una frenetica cumbia(1) accompagnata dalle maracas(2). Il ritmo della musica deve avvertirlo scorrere nelle vene.
Per ingannare l’attesa iniziamo quella che poi si rivelerà una lunghissima chiacchierata durata fino al momento in cui abbiamo varcato la soglia d’ingresso. Il dialogo con lei scorre fluido e sincero, favorito in gran parte dalla scoperta dei numerosi interessi comuni a tutte e due ed anche dalla mia innata curiosità di scoprire, dalla sua viva voce, gli aspetti più esotici e segreti della cultura colombiana, un paese che nel mio immaginario mi ha sempre colpito e affascinato.
Con il passare del tempo Maria Estrêla si confida sempre di più, sembriamo due care amiche che si sono ritrovate per caso dopo molto tempo. Mi parla della sua vita, di quando viveva felice nel suo paesino arroccato sulle pendici delle Ande, a più di tremila metri sul livello del mare, in uno scenario unico e lussureggiante immerso in una natura vergine, non ancora contaminata dal progresso e dallo sfruttamento indiscriminato. Dei grandi sacrifici che ha dovuto affrontare quotidianamente per frequentare la scuola prima e il corso di specializzazione da infermiera poi.
A ventisei anni, la decisione di emigrare in Italia per fare la badante. Una sua amica le aveva detto che partiva per lavorare e che c’era posto anche per lei. Senza rifletterci troppo ha fatto il visto e dopo una settimana ha prenotato il volo.
Ora condivide con altre sue connazionali un appartamentino della periferia Sud di Milano. Si sposta ogni giorno in tram o in metropolitana per raggiungere il centro della città, mangia cibo italiano, adora il caffè e il cioccolato.
Quando è arrivata nel nostro Paese, Maria Estrêla non conosceva neanche una parola d’italiano. Nella struttura per anziani in cui all’inizio lavorava, non avevano bisogno delle sue parole. E quando c’era bisogno di comunicare con i pazienti, parlava con una collega napoletana che conosceva un po’ di spagnolo e per un anno le ha fatto da traduttrice. Nel frattempo si è rimboccata le maniche, ha frequentato due anni di scuola e oggi parla un italiano quasi perfetto, intervallato qua e là da qualche espressione in idioma spagnolo.
Dopo la scadenza del primo contratto a tempo determinato nella casa di riposo, ha cominciato a lavorare a domicilio. Soprattutto con anziani malati di Alzheimer. Come quello che assiste in questo periodo, per quarantotto ore la settimana. Stipendio: novecento euro il mese. Lo cura, gli somministra le medicine, pensa alla sua igiene e qualche volta, quando serve, sbriga le faccende di casa. Ha avuto esperienze con famiglie italiane meravigliose. Da lei, in Colombia, è diverso. L’Alzheimer non è così diffuso. Nel reparto di geriatria dove lavorava c’era un solo caso. In Colombia gli anziani lavorano fino a 80-90 anni.

(1) Cumbia: musica popolare, un canto e una danza colombiana.
(2) Maraca: strumento a percussione di tipo idiofono (a suono indeterminato) che ha origine nel Sudamerica, dove era costituito da una zucca cava riempita di sassolini o semi secchi.
Vivono insieme alla famiglia, e se non hanno figli, ci sono i vicini di casa che badano a loro. Sono le persone più importanti della comunità. Sono i saggi. La loro voce conta più di quella dei giovani. Nessuno penserebbe mai di affidarli ad altre persone». Niente badanti. Lì, in Colombia, questo lavoro non esiste. Per Maria Estrêla è un’invenzione di noi italiani.
Eppure anche nella sua Colombia, dove non va da quattro anni, in attesa di ricevere la cittadinanza italiana (perché poi se la chiamano e non la trovano, deve cominciare tutto l’iter da capo e fare nuovi documenti), nelle città più grandi stanno nascendo strutture di accoglienza e cura per anziani.
Nonostante sia il suo lavoro, lei non capisce perché gli italiani abbiano smesso di occuparsi dei loro anziani. In Italia gli anziani che ha curato soffrono soprattutto la mancanza dei familiari. Quando i figli vengono a trovarli, la loro faccia cambia, si vede che stanno meglio. Ecco perché, ritiene che il suo lavoro sia molto importante soprattutto a livello umano. Oltre alle medicine, gli assistiti hanno bisogno di una carezza.
Molti suoi connazionali che si erano trasferiti in Italia o in Spagna per fare le badanti, con la crisi ora stanno tornando in Colombia per aprire nuove strutture per assistere gli anziani. Lei non è d’accordo. Per lei gli anziani vanno curati in casa dai familiari.
Sostiene di essere stata fortunata, perché quando è venuta in Italia, le hanno riconosciuto il titolo d’infermiera, ma ha tante amiche insegnanti, medici, avvocati, alle quali non sono stati riconosciuti i titoli e che ora fanno le badanti. Eppure nell’ultimo periodo anche questo lavoro traballa. Le famiglie non vogliono più spendere tanto e i contratti non sono rinnovati. Così molti colleghi stanno tornando nei loro paesi d’origine per stare vicino ai propri familiari.
Maria Estrêla parla della sua Colombia come di una terra immacolata. Dalle sue parole trapela un sentimento misto di nostalgia e malinconia per la terra natia che ha dovuto abbandonare e una malcelata tristezza per gli affetti più cari, ora distanti migliaia di chilometri. Racconta della sua anziana nonna, ottantasei anni, che ogni mattina saluta le piantine del suo giardino. Parla delle sue tre sorelle che si prendono cura di lei. Due o tre volte la settimana si sentono via Skype o per telefono. E poi dice nostalgica che vuole tornare in Colombia al più presto. Le mancano molto. Aspetta un altro anno per avere la cittadinanza, altrimenti ritorna. Nel 2011 stava per tornare, ma poi nella sua città è esploso il terrorismo politico e allora ci ha ripensato.
Il solo posto in cui si sente a casa, è Roma, dove va di tanto in tanto a trovare i suoi cugini. C’è lo stesso odore della sua terra. A volte prende l’autobus e si fa trasportare senza una meta. Non si è mai persa. Sogna di tornare sulle Ande, Maria Estrêla, di sentire ancora quel profumo dal vivo. Anche perché qui, in Italia, non si è fatta una famiglia come le sue connazionali. Non ha mai avuto un fidanzato italiano, non le è mai capitato. Magari troverà l’amore tornando in Colombia.
Questo inaspettato incontro con Maria Estrêla mi ha fatto molto riflettere, soprattutto nei giorni a venire. Ci siamo ripromessi di coltivare la nostra amicizia via Skype ogni fine settimana, in attesa di un’occasione per rivederci.
Dal suo racconto è emerso il quadro di una giovane donna, la cui bellezza interiore sovrasta di molto quella esteriore, seppure molto appariscente. Maria Estrêla considera il suo lavoro una missione. Nel suo lavoro l’aspetto umano riveste un carattere fondamentale. Lei, nei limiti del possibile, cerca di non lasciare mai i suoi assistiti soli con se stessi, con il loro pesante fardello di sofferenze fisiche e psichiche. Ha sempre una parola “dolce” con tutti. Sovente cerca di distrarre la loro mente dai guai quotidiani raccontando loro aneddoti e leggende legate in gran parte alla sua terra d’origine. Cerca di spronarli a essere più attivi, a non abbandonarsi all’apatia e alla rassegnazione. Si fa carico delle loro preoccupazioni, dei loro stati d’animo. È felice quando vede che tutto questo contribuisce ad alleviare almeno in parte la loro condizione. Per se stessa non ha grandi ambizioni, per vivere le basta quel poco che riesce a guadagnare con il suo lavoro. Nonostante ciò è sempre allegra, piena di gioia di vivere. E’ sempre in pace con se stessa, convinta che per essere felice nella vita basta poco. La felicità è essenzialmente una condizione mentale. Non serve a nulla nella vita inseguire il successo a tutti i costi, la ricchezza, a scapito magari delle piccole soddisfazioni quotidiane che ti fanno stare bene, in pace con te stesso e con il mondo in cui vivi.
Per tutto questo, per questa lezione gratuita di vita e di umanità non posso non ringraziare ancora una volta Maria Estrêla, questa piccola grande donna che ha avuto l'immenso coraggio di abbandonare, in gioventù, la sua terra, i suoi affetti più grandi, il suo mondo per venire qua da noi e contribuire al benessere fisico e spirituale dei nostri anziani, troppo spesso abbandonati a se stessi.


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