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CAP 4. LA NOTAZIONE NEUMATICA E GUIDO D’AREZZO.
Storia della compilazione di un manoscritto liturgico.
I celebranti, che non erano cantori specialisti, avevano bisogni di segni che facessero capire
quando cominciare una cadenza dopo aver cantato una lunga porzione di testo. Perciò vennero
applicati i neumi.
Nella notazione moderna , le note vengono posizionate sul pentagramma in rapporto alla loro
altezza sonora. La scrittura neumatica invece non usava un rigo musicale, in quanto non si
proponeva di prescrivere quale nota andasse cantata ma come. Era inutile escogitare un sistema
che indicasse l’altezza delle note quando tutti i cantori conoscevano bene, a memoria e sin da
piccoli le melodie liturgiche. Ciò che poteva venir dimenticato era no le sfumature dell’esecuzione.
L’abbazia di San Gallo viene considerata la più importante centro di scrittura musicale del X sec.
l’attenzione del neumista si appuntava circa il modo di esecuzione, rivelato dalla diversa pressione
esercitata sullo stilo. Il segno corrispondeva a due note ugualmente veloci e leggere, il segno
con l’energico angolo acuto, implicava un accento sulla prima nota, il segno il contrario; con il
segno tutte e due le note avevano un peso specifico maggiore del normale..
Durante il tracciato sonoro, ai neumi venivano aggiunte delle lettere, dotate di significato melodico:
s (in alto), e (alla stessa altezza), i (più in basso), ecc.i neumi assumevano una forma detta
liquescenza se corrispondevano a consonanti o gruppi di consonanti che rendevano il suono
timbricamente più scuro.. questa scrittura è detta adiastematica perché non indica le altezze
sonore e perché non è vincolata al rigo musicale.
In alcuni monasteri francesi si privilegiò anche una scrittura che privilegiava l’altezza dei suoi, detta
diastematica, che finì per prendere il sopravvento.
Intorno all’anno 1000, il monaco italiano Guido d’Arezzo escogitò un metodo per imparare a
leggere all’impronta un canto nuovo, senza bisogno del tramite umano. Egli propose l’impiego del
rigo musicale, composto da un certo numero di linee su cui era possibile posizionare le note. Così
ogni suono aveva il suo posto sul rigo musicale, dopo naturalmente aver stabilito il posto occupato
da ogni nota. Suggerì due metodi: segnare alcune linee con una lettera-chiave tratta dalla
notazione alfabetica, oppure colorare con inchiostro alcune delle linee a secco.
Il rigo musicale si diffuse in tutta Europa. Il tipo più usato fu quello a 4 linee (tetragramma), ancora
oggi usato per il canto gregoriano. Il pentagramma iniziò a comparire intorno al XIII sec nei
manoscritti polifonici della Francia del Nord. Anche la forma dei neumi cambiò, ingrandendosi e
squadrandosi, soprattutto per la notazione gregoriana che è detta appunto quadrata.
In questo modo chiunque poteva apprendere musica direttamente da un libro.
CAP 8. ARS NOVA ITALIANA
Storia dell’Italia musicale nel 200 e nel 300.
Il duecento musicale italiano è orientato verso una pratica non scritta. Testimonianze del repertorio
sacro extraliturgico di tradizione orale sono le laude, canti in volgare, monodici, di struttura strofica,
eseguite in occasione di processioni. Abbiamo conservati più manoscritti che riportano solo i testi
delle laude che non quelli corredati di intonazione. La fonte musicale più importante è il Laudario di
Cortona (1297) appartenente a una confraternita di laudesi, cioè a un gruppo di fedeli che si
riunivano per cantare laude. Un’altra fonte è il Codice Magliabechiano di Firenze, più tardo, in cui
adoperano una notazione musicale quadrata.
Importante è anche il Cantico delle di san Francesco d’Assisi del XIII sec, considerato quasi il
progenitore delle laude duecentesche. La leggenda perugina riporta Francesco che compone una
melodia e la insegna ai suoi compagni, facendolo diventare dunque il primo compositore di musica
in lingua italiana. La figura è sicuramente ripresa da quello trobadorica, che già tra XII-XIII sec
erano presenti nelle corti italiane diffondendo la moda del cantare e poetare in provenzale.
Nel trecento troviamo invece un nutrito corpus di musiche polifoniche in volgare. I primi importanti
esempi sono a Padova e Bologna, centri dotati di università in cui avvenivano molti scambi
internazionali.
Si definisce ars nova italiana la musica polifonica composta nella penisola durante il 300. Proprio
nella città di Padova nacque uno tra i più importanti musicisti dell’ars nova italiana: Marchetto da
Padova che compose un mottetto politestuale in latino che fu probabilmente eseguito il 25 marzo
1305 per l’inaugurazione della Cappella degli Scrovegni a Padova.
Scrisse in collaborazione col filosofo Sifante da Ferrara due trattati sulla notazione: il Lucidarium
(1309-18) e il Pomerium (1321-26). Il suo sistema di notazione ammetteva tanto la suddivisione
ternaria quanto quella binaria. La suddivisione binaria era ritenuta tipica italiana, mentre quella
ternaria tipica francese, tant’è che al momento dell’esecuzione era possibile notare un
cambiamento di notazione. Nel tardo 300 i due criteri si fusero dando luogo ad un unico sistema di
scrittura, detto di notazione mista o di maniera o ars subtilior.
Da Bologna proveniva invece il musicista Jacopo da Bologna che lavorò per le corti di Verona e
Milano e si dedicò soprattutto al madrigale. Il madrigale trecentesco non è da confondere con
quello del 500. Era una composizione generalmente a due voci, d’impianto strofico, costituito da
due o più terzine di endecasillabi intonate tutte alla stessa musica. Alla fine della serie di strofe, il
componimento veniva concluso da una coppia di endecasillabi in rima baciata, detta ritornello,
cantata su una musica diversa da quella delle strofe. Questa forma fu chiamata madrigale perché
era il genere di musica in lingua madre. Quando descriveva scene di caccia, veniva detto caccia:
la musica imitava l’inseguimento di una preda sia con frequenti onomatopee che nel tessuto
polifonico stesso. Una voce intonava la melodia per prima poi partiva una seconda voce che
ripeteva nota per nota la precedente. Il punto di entrata della seconda voce doveva esser bene
calcolato in modo da non creare sgradevoli scontri sonori. Questo artificio è definito canone. Nella
caccia era spesso presente una terza voce diversa dalle altre, il tenor, che veniva eseguita da uno
strumento.
Firenze ebbe un consumo poetico-musicale prevalentemente monodico ed esteso
all’intrattenimento della classe borghese. I tre compositori fiorentini del 300 sono Lorenzo Masini,
Gherardello da Firenze e Francesco Landini, che però erano attivi soprattutto nella musica profana
polifonica. Il genere più frequentato a Firenze era la ballata. I musicisti di questo periodo legarono
fortemente la forma delle loro composizioni alla forma poetica dei testi. Contrariamente a quanto
accadeva in Francia, non ci risulta che venissero impiegati artifici matematici.
CAP 10. I COMPOSITORI FIAMMINGHI.
Storia di un processo: dalla varietà all’unità.
Il XIV sec è diviso in due grandi zone di influenza: la Francia con la sua ars nova incarnata dal
mottetto isoritmico politestuale e l’Italia, con il madrigale e la ballata. Tra la fine del 300 e inizio
400, le due tendenze andarono assimilandosi.
Nel 11378 la sede papale tornò a Roma, mentre ad Avignone continuarono ad essere eletti una
serie di antipapi che generarono il cosiddetto Scisma d’Occidente.
I compositori iniziavano a diventare veri e propri professionisti che si spostavano fra le varie corti
europee, quindi fu inevitabile la fusione dei singoli stili.
La ricchezza che si stava accumulando nelle Fiandre, permise la costruzione di grandi cattedrali e
l’istituzione di cantori professionisti stabili. I musicisti furono richiesti in tutta Europa e
egemonizzarono la produzione musicale di quel tempo.
Generalmente i fiamminghi vengono divisi in 6 generazioni a seconda di dove i vari gruppi offrirono
i loro servigi. La prima generazione per esempio visse al servizio dei Malatesta o presso la
cappella papale dei pontefici Martino V e IV, o dagli Estensi di Ferrara o i duchi di Savoia. La
seconda generazione è invece legata alla corte francese di Luigi XI. La terza generazione ritorna
alle corti italiane o nella cappella papale. Strettamente legato ai Medici fu Isaac, maestro dei figli di
Lorenzo in Magnifico, tra cui Leone X. La sesta generazione rimase intorno ad Amsterdam.
Accanto alle chanson profane i fiamminghi produssero moltissima musica sacra, dato che spesso
occupavano il ruolo di maestri di cappella.
Il mottetto stava giungendo a una graduale evoluzione: nato nel 200 come passatempo musicale di
un élite di intellettuale che frequentavano l’università di Parigi, i suoi testi erano di argomento
profano e in lingua francese. Il contenuto politico che spesso vi si annidava prese il sopravvento,
così nel XV sec divenne una composizione destinata alle cerimonie pubbliche, civili e religiose, e la
lingua usata fu il latino per dare maggiore solennità. Nel 500 diventerà poi la composizione sacra
per eccellenza. Il tramonto della politestualità va inquadrato con l’esigenza fiamminga
dell’unitarietà.
Si svilupparono artifici contrappuntistici: una frase anche rimanendo la stessa poteva cominciare
dalla fine tornando indietro (retrogradazione9, oppure si poteva disporre a specchio (moto
contrario). La melodia poteva essere presentata con valori ritmici maggiori (aumentazione) o più
veloci (diminuizione). L’apice dell’imitazione era costituito dal canone. Tipici erano i canoni
enigmatici, che il compositore scriveva ad una sola voce abbinandoci un indovinello per suggerire
la modalità di esecuzione delle altre voci. Il canone mensurale è invece l’artificio di cantare la
stessa melodia con due mensure diverse.
Stentò molto a scomparire la pratica del canto firmus, che si serviva di una melodia preesistente,
spesso gregoriana, affidata in valori ritmici molto lunghi alla voce di tenore. Su di essa si
costruivano liberamente le altre voci, con un proprio veloce andamento ritmico. Le messe
composte con tale metodo si dicono messe cicliche.
CAP 11. LA MUSICA NELLE CORTI UMANISTICHE.
Storia del doppio volto del mecenatismo.
Solitamente si considera mecenate la figura del ricco signore che per amore dell’arte e della
conoscenza commissionava opere trattando gli artisti come suoi pari. Questa descrizione non
coincide però con la realtà storica. Il rapporto fra committente e musicista è un rapporto padrone-
servo, in cui il mecenate offriva protezione in cambio della prestazione dei servizi.. nella corte
rinascimentale la musica rappresentava una sorta di status symbol e doveva esteriorizzare la