Anteprima
Vedrai una selezione di 7 pagine su 28
L'età della macchina, effetti della rivoluzione industriale sull'architettura dei primi del Novecento Pag. 1 L'età della macchina, effetti della rivoluzione industriale sull'architettura dei primi del Novecento Pag. 2
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
L'età della macchina, effetti della rivoluzione industriale sull'architettura dei primi del Novecento Pag. 6
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
L'età della macchina, effetti della rivoluzione industriale sull'architettura dei primi del Novecento Pag. 11
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
L'età della macchina, effetti della rivoluzione industriale sull'architettura dei primi del Novecento Pag. 16
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
L'età della macchina, effetti della rivoluzione industriale sull'architettura dei primi del Novecento Pag. 21
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
L'età della macchina, effetti della rivoluzione industriale sull'architettura dei primi del Novecento Pag. 26
1 su 28
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

CAPITOLO 2: L'IMPORTANZA DELLA FABBRICA

"L'uomo che costruisce una fabbrica, costruisce un tempio"

Calvin Coolidge

Protagonista principale della rivoluzione industriale fu la fabbrica. Questa, assunse numerosi

significati durante tutto il suo sviluppo. All’inizio infatti venne vista come immagine di modernità, poi

come modello da applicare a tutti gli aspetti della vita sociale e di conseguenza venne vista come

elemento di innovazione, come un’icona oppure ancora come strumento promozionale. Nei

paragrafi seguenti si spiegheranno tutti questi aspetti in modo tale da fornire un breve

inquadramento della storia della fabbrica moderna.

Verso il 1840 l’energia a vapore era diventata sinonimo di modernità, di dominio tecnologico ma

anche di sconvolgimenti sociali. Essa diede un nuovo impulso al concetto estetico di sublime,

all’immaginario visivo romantico ma allo stesso tempo, per i più tradizionalisti generò ansia per

l’ignoto. Proprio per questo i primi anni della rivoluzione industriale furono caratterizzati da

speranze e preoccupazioni(non a caso i primi architetti industriali furono attenti ad adottare uno

stile architettonico classico, in linea con la tradizione, per le facciate delle industrie pubbliche come

ad esempio il primo mulino azionato da una macchina a vapore, l’ Albion Mill). La fabbrica, inoltre,

divenne subito un soggetto degno di interesse artistico che poteva competere con chiese, castelli,

rovine. Tutti erano affascinati dalla potenza della fabbrica ma soprattutto della macchina che

riusciva a produrre grandi quantità di prodotti in pochissimo tempo rispetto ad un uomo. Con il

passare del tempo la fiducia verso questi stabilimenti aumentò, anche grazie al potenziale

economico intravisto da alcuni imprenditori, e gli industriali abbandonarono pian piano lo stile

classico arrivando ad un tipo di edificio più funzionale e solido, più adatto ad ospitare i macchinari

ed i processi che ospitava. Immagine e realtà ora andavano di pari passo. Anche nel diari di

Schinkel, importante architetto tedesco, era presente questo stupore nei confronti delle fabbriche,

infatti si legge “Solo qui i macchinari e gli edifici sono commisurati ai miracoli dei tempi moderni e

si chiamano fabbriche. […]Edifici così ingombranti sono collocati in posizioni sopraelevate a

6

dominare la zona circostante.”

6 Darley, Fabbriche – Origine e sviluppo dell'architettura industriale, Pendragon, Bologna, 2003, cap 1 pag 15-27.

Dopo un primo momento di fiducia però la fabbrica assunse un’immagine negativa dovuta a tutti i

fumi di scarico che annerivano il cielo delle città. Il fumo, infatti, che anneriva l’orizzonte in molti

dipinti non era più un velo pittoresco e affascinate ma un’insidia minacciosa; l’inquinamento da

fumo era diventato inaccettabile. Eppure, malgrado l’immagine minacciosa della fabbrica il vanto

nel progresso e delle conquiste tecnologiche forniva un contrappeso positivo. Il linguaggio astratto

delle macchine e l’eccitazione per quella che sarà chiamata l’”era delle macchine” era trasmessa

7

con forza, a volte anche come metafora per una critica sociale e politica.

Le risorse fisiche e sociali delle prime fabbriche e della sua forza lavoro erano nell’insieme

grossolane e improvvisate, li misere condizioni degli stabilimenti e dei luoghi di lavoro della fine del

XVIII e dell’inizio del XIX secolo si riflettevano nei pessimi alloggi e nella mancanza di benefici

accessori. Sistemazioni così rozze ignoravano i più alti standard delle prime imprese industriali

modello, ma proprio per questi eccessi avrebbero indicato nuovi esempi per il futuro. Il microcosmo

chiuso della fabbrica e della sua forza lavoro attirò subito l’attenzione dei teorici sociali e politici;

l’organizzazione di questa società in miniatura poteva essere presa da modello per

l’organizzazione urbana e sociale di un’intera città o nazione. Uno dei primi modelli da prendere in

considerazione fu proprio il progetto delle saline reali di Ledoux nella Francia orientale. Egli infatti

coniugò l’interesse artistico e architettonico con quello sociale ma anche governativo. In questo

progetto ideò una città costruita attorno ad un centro produttivo circondato da spazi verdi e da

territori fertili con edifici contenenti servizi pubblici, alloggi per operai e dirigenti. Il fulcro

diagrammatico quindi era incentrato su ordine sociale ed efficienza economica. Inoltre l’architetto

aveva già intuito che il benessere fisico e morale della forza lavoro era essenziale al processo, per

8

questo costruì alloggi e orti per gli operai .

Con l’arrivo del motore a vapore non ci fu più bisogno di collocare le fabbriche nei pressi di

cascate, il luogo veniva scelto in base alla vicinanza delle materie prime e alla facilità della

distribuzione. Con l’introduzione della luce e gas, più vivida e intensa, fu possibile lavorare in

ambienti estremamente più grandi, adeguati al peso e alle dimensioni sempre maggiori dei

macchinari adoperati. Iniziarono a servire edifici lunghi e bassi invece che alti e stretti, si iniziò a

cercare un tipo di tetto che permettesse l’illuminazione naturale dall’alto. La necessità incoraggiava

la sperimentazione.

Le prime fabbriche furono di nuova concezione anche per quanto riguarda il controllo dei tempi e

della qualità, della sicurezza, della contabilità e della pulizia. I cantieri navali e le fabbriche di

munizioni delle principali potenze europee furono le inconsapevoli avanguardie dell’edilizia

industriale, sia nella forma che nella tecnologia. La necessità di controllo di qualità e la presenza di

una forza lavoro disciplinata e organizzata li resero i banchi di prova ideali per il mondo

dell’architettura industriale civile. Si iniziò a cercare di migliorare l’ambiente indoor in modo tale da

rendere più produttivi gli operai quindi si perfezionò il meccanismo di illuminazione e di ventilazione

interna. Insomma, la fabbrica è stato un elemento stimolante per migliorare e applicare la

tecnologia in svariati campi. Tutte queste migliorie vennero poi applicate anche nel campo degli 9

edifici commerciali e residenziali in modo da permettere a tutti di beneficiare di queste innovazioni .

All’inizio del XX secolo l’esigenza di un nuovo approccio all’edilizia efficiente e funzionale

sganciato dalla tradizione stimolò la ricerca frenetica di modelli appropriati. La logica e l’ideologia

suggerivano che i prototipi dovessero essere le strutture industriali, icone assolutamente adatte a

svolgere un ruolo di proselitismo. I principali critici, fotografi e architetti del tempo si preoccuparono

di pubblicare immagini di una serie di edifici scelti accuratamente per illustrare le idee e gli esempi

da seguire. Questi esempi quindi divennero delle vere e proprie icone, degli esempi di precisione e

di maestria della linee moderne. Prime fra tutte fu proprio la fabbrica di turbine dell’AEG progettata

e realizzata da Bherens. Il timpano disadorno con il marchio della ditta e i plinti in cemento bugnato

conferivano all’edificio un aspetto monumentale. Altri edifici che divennero ben presto delle icone

dell’era della macchina furono: la fabbrica Fagus di Gropius, la fabbrica di cappelli di Luckenwalde

10

progettata da Mendelsohn, il Lingotto di Torino di Mattè-Trucco per la FIAT .

7 G.Darley, Fabbriche – Origine e sviluppo dell'architettura industriale, Pendragon, Bologna, 2003, cap 2 pag 41-49.

8 G.Darley, Fabbriche – Origine e sviluppo dell'architettura industriale, Pendragon, Bologna, 2003, cap 4 pag 105-113.

9 G.Darley, Fabbriche – Origine e sviluppo dell'architettura industriale, Pendragon, Bologna, 2003, cap 5 pag 137-145.

10 G.Darley, Fabbriche – Origine e sviluppo dell'architettura industriale, Pendragon, Bologna, 2003, cap 6 pag 157-170.

La fabbrica è la migliore vetrina di se stessa, può veicolare, in base all’occorrenza, un immagine

moderna o legata alla tradizione. L’edificio può essere metafora potente o suggerire un’identità

aziendale, agire tramite particolari subliminali o segnali ben visibili ed espliciti.

La Grande Esposizione del 1851 dimostrò che, per eliminare la concorrenza, gli industriali

dovevano ricorrere a un mercato esibizionistico. L’uso di determinati particolari nelle fabbriche

diede vita a una sorta di “architettura parlante” che risvegliava l’interesse nel prodotto e fungeva da

mezzo pubblicitario. Come è intuibile, la facciata che dava sulle strade principali si dimostrò

un’arma promozionale estremamente efficacie per tutti gli stabilimenti. L’impressione che dava

l’edificio doveva eguagliare l’impressione che si voleva dare della fabbrica a che la guardava,

molto spesso infatti erano edifici autoreferenziali e monumentali.

Ovviamente questo tipo di ragionamento è applicato anche agli stabilimenti dei giorni nostri; basta

guardare edifici come la concessionaria Renault costruita da Foster & Partners, la “fabbrica” Vitra

a Basilea di Frank Gehry, la fabbrica di cosmetici dell’Oreàl di Valode & Pistre o infine la “fabbrica

11

trasparente” della Volkswagen vicino a Dresda realizzata dallo studio Henn .

CAPITOLO 3: L’ETÀ DELLA MACCHINA NEI PRIMI ANNI DEL 900 IN GERMANIA - DEUTSCHER

WERKBUND, BEHRENS, GROPIUS, BAUHAUS

..fabbriche, i primi frutti rassicuranti della nuova era

Le Corbusier

Lo slancio dell'industrializzazione del XX secolo aveva grandemente colpito un paese di recente

sviluppo industriale come la Germania la quale, volendo imporsi sul mercato internazionale,

studiava sistematicamente i prodotti della concorrenza e, attraverso una selezione tipologica e il

12

re-design, contribuiva a plasmare l'estetica della macchina del XX secolo . Gottfried Semper,

personaggio chiave nello sviluppo dell'architettura del XIX secolo, in occasione della Great

13

Exhibition del 1851 scrisse un famoso saggio intitolato "Weissenschaft, Industrie und Kunst" in

cui analizzava l'impatto dell'industrializzazione e dei consumi di massa su tutto il campo delle arti

applicate e dell'architettura e osservò l'influenza dei nuovi metodi e materiali sulla progettazione.

"[...] La sovrabbondanza di mezzi è il primo grande pericolo che l'arte deve affrontare.

Quest'espressione è invero illogica (non c'è una sovrabbondanza di mezzi, ma un'incapacità di

14

impadronirsene), ma si giustifica nella misura in cui riesce a esprimere la nostra situazione" .

Semper sollevò le principali questioni del secolo e gradualmente le sue idee divennero pa

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
28 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/18 Storia dell'architettura

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher milla_te di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'architettura e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico di Milano o del prof De Magistris Alessandro.