Versione originale in latino
73. Mox Treviros ac Lingonas ad contionem vocatos ita adloquitur: “Neque ego umquam facundiam exercui, et populi Romani virtutem armis adfirmavi: sed quoniam apud vos verba plurimum valent bonaque ac mala non sua natura, sed vocibus seditiosorum aestimantur, statui pauca disserere quae profligato bello utilius sit vobis audisse quam nobis dixisse. Terram vestram ceterorumque Gallorum ingressi sunt duces imperatoresque Romani nulla cupidine, sed maioribus vestris invocantibus, quos discordiae usque ad exitium fatigabant, et acciti auxilio Germani sociis pariter atque hostibus servitutem imposuerant. Quot proeliis adversus Cimbros Teutonosque, quantis exercituum nostrorum laboribus quove eventu Germanica bella tractaverimus, satis clarum. Nec ideo Rhenum insedimus ut Italiam tueremur, sed ne quis alius Ariovistus regno Galliarum potiretur. An vos cariores Civili Batavisque et transrhenanis gentibus creditis quam maioribus eorum patres avique vestri fuerunt? Eadem semper causa Germanis transcendendi in Gallias, libido atque avaritia et mutandae sedis amor, ut relictis paludibus et solitudinibus suis fecundissimum hoc solum vosque ipsos possiderent: ceterum libertas et speciosa nomina praetexuntur; nec quisquam alienum servitium et dominationem sibi concupivit ut non eadem ista vocabula usurparet.”
Traduzione all'italiano
73. Così parla subito ai Treviri e ai Lingoni convocati in assemblea: “Né io mai ho esercitato l’arte oratoria, e anzi ho confermato con le armi il valore del popolo romano: ma giacché le parole presso di voi contano molto di più e il bene e il male non sono mai valutati in base alla loro natura, ma in base ai discorsi tendenziosi dei ribelli, io ho deciso di dire poche cose che, a guerra conclusa, sia più utile per voi aver udito che per noi aver detto. Gli ufficiali e i generali romani sono entrati nella terra vostra e degli altri Galli, non spinti da alcun desiderio, ma quando li chiamarono i vostri antenati, che le discordie interne logoravano fino alla rovina, e i Germani, chiamati in aiuto, avevano imposto la schiavitù egualmente agli alleati come ai nemici. È abbastanza chiaro con quante battaglie contro Cimbri e Teutoni, con quanto grandi fatiche dei nostri eserciti e con quale succedersi di eventi abbiamo condotto a termine le guerre germaniche. Né per questo motivo ci siamo insediati sul Reno, e cioè per proteggere l’Italia, ma perché nessun altro Ariovisto si impadronisca del regno delle Gallie. O forse credete di essere più cari a Giulio Civile e ai Batavi e alle genti transrenane di quanto non furono (stati cari) agli antenati di quelli i vostri padri e antenati? Fu sempre il medesimo il motivo per i Germani di passare nella Gallia, l’impulso irrazionale e l’avidità e il desiderio di cambiare dimora affinché, abbandonati le loro paludi e luoghi inospitali, si impadronissero di questo suolo fertilissimo e di voi stessi.
Al contrario però la libertà e le belle parole sono addotte come pretesto; e nessuno ha mai desiderato la schiavitù e la dominazione altrui, sì da non avere sulla bocca codeste medesime parole”.