Versione originale in latino
Ipsum dehinc Silanum increpuit isdem quibus patruum eius Torquatum, tamquam disponeret iam imperii curas praeficeretque rationibus et libellis et epistulis libertos, inania simul et falsa: nam Silanus intentior metu et exitio patrui ad praecavendum exterritus erat. Inducti posthac vocabulo indicum qui in Lepidam, Cassii uxorem, Silani amitam, incestum cum fratris fiiio et diros sacrorum ritus confingerent. Trahebantur ut conscii Vulcacius Tullinus ac Marcellus Cornelius senatores et Calpurnius Fabatus eques Romanus; qui appellato principe instantem damnationem frustrati, mox Neronem circa summa scelera distentum quasi minores evasere.
Traduzione all'italiano
Passò poi ad attaccare direttamente Silano, con le stesse accuse già rivolte a suo zio Torquato, e cioè che si organizzava per l'esercizio del potere, affidando a liberti la responsabilità dei settori della contabilità, delle suppliche e della corrispondenza; accuse assurde e false al contempo: perché Silano, già guardingo per la diffusa paura e terrorizzato dalla rovina dello zio, era indotto a una cautela estrema. Si videro poi entrare in scena, col nome di informatori, delle persone incaricate di montare contro Lepida, moglie di Cassio e zia di Silano, l'accusa di incesto col figlio del fratello e di partecipazione a riti empi. Si trovarono coinvolti, come complici, i senatori Volcacio Tullino e Marcello Cornelio e il cavaliere romano Calpurnio Fabato, i quali, appellandosi al principe, sfuggirono alla condanna imminente e poi si sottrassero, quasi fossero di secondo piano, all'attenzione di Nerone, impegnato in delitti al massimo livello.