Versione originale in latino
Non ita multo post Iuniam Claudillam M. Silani nobilissimi viri f(iliam) duxit uxorem. Deinde augur in locum fratris sui Drusi destinatus, prius quam inauguraretur ad pontificatum traductus est insigni testimonio pietatis atque indolis, cum deserta desolataque reliquis subsidiis aula, Seiano hoste suspecto mox et oppresso, ad spem successionis paulatim admoveretur. Quam quo magis confirmaret, amissa Iunia ex partu Enniam Naeviam, Macronis uxorem, qui tum praetorianis cohortibus praeerat, sollicitavit ad stuprum, pollicitus et matrimonium suum, si potitus imperio fuisset; deque ea re et iure iurando et chirographo cavit. Per hanc insinuatus Macroni veneno Tiberium adgressus est, ut quidam opinantur, spirantique adhuc detrahi anulum et, quoniam suspicionem retinentis dabat, pulvinum iussit inici atque etiam fauces manu sua oppressit, liberto, qui ob atrocitatem facinoris exclamaverat, confestim in crucem acto. Nec abhorret a veritate, cum sint quidam auctores, ipsum postea etsi non de perfecto, at certe de cogitato quondam parricidio professum; gloriatum enim assidue in commemoranda sua pietate, ad ulciscendam necem matris et fratrum introisse se cum pugione cubiculum Tiberi[i ] dormientis et misericordia correptum abiecto ferro recessisse; nec illum, quanquam sensisset, aut inquirere quicquam aut exequi ausum.
Traduzione all'italiano
Non molto dopo sposò Giunia Claudilla, figlia di M. Silano, uno dei personaggi più nobili. In seguito destinato come augure al posto di suo fratello Druso, fu elevato al pontificato, prima di entrare nelle sue funzioni, testimonianza insigne resa alla sua pietà filiale e al suo carattere; quando la corte imperiale si trovò spopolata e priva degli altri suoi membri e Seiano era già sospetto e prossimo alla caduta, cominciò a nutrire a poco a poco qualche speranza di successione. Per meglio assicurarsela, quando Giunia gli morì di parto, sedusse Ennia Nevia, la moglie di Macrone, allora prefetto delle coorti pretoriane, promettendole anche di sposarla se si fosse impadronito del potere, promessa che garantì sia con un giuramento, sia con uno scritto autografo. Per mezzo di Ennia si guadagnò l'amicizia di Macrone e, come credono alcuni, fece avvelenare Tiberio, poi, quando ancora respirava, diede l'ordine di togliergli l'anello. Poiché però Tiberio aveva l'aria di volerlo trattenere, gli fece gettare sul viso un cuscino e arrivò perfino a strozzarlo con le sue mani: un liberto che per l'atrocità del delitto non aveva potuto fare a meno di gridare, fu subito messo in croce. Questa versione non ha niente di inverosimile, perché secondo alcuni autori lui stesso confessò in seguito di aver, se non eseguito, certo meditato un tempo questo parricidio; egli continuamente infatti si fece vanto, esaltando il suo amore filiale, di essere penetrato, con un pugnale in mano, nella camera dove dormiva Tiberio, per vendicare l'assassinio di sua madre e dei suoi fratelli, e di essersi ritirato, gettando l'arma, per un senso di pietà. L'imperatore si sarebbe accorto di ciò, ma non avrebbe osato condurre la minima inchiesta e nemmeno punirlo.