Versione originale in latino
TULLIUS TERENTIAE SUAE, TULLIOLAE SUAE, CICERONI SUO SALUTEM DICIT.
Et litteris multorum et sermone omnium perfertur ad me incredibilem tuam virtutem et fortitudinem esse teque nec animi neque corporis laboribus defatigari. Me miserum! te ista virtute, fide, probitate, humanitate in tantas aerumnas propter me incidisse, Tulliolamque nostram, ex quo patre tantas voluptates capiebat, ex eo tantos percipere luctus! Nam quid ego de Cicerone dicam? qui cum primum sapere coepit, acerbissimos dolores miseriasque percepit. Quae si, tu ut scribis, fato facta putarem, ferrem paullo facilius, sed omnia sunt mea culpa commissa, qui ab iis me amari putabam, qui invidebant, eos non sequebar, qui petebant. Quod si nostris consiliis usi essemus neque apud nos tantum valuisset sermo aut stultorum amicorum aut improborum, beatissimi viveremus: nunc, quoniam sperare nos amici iubent, dabo operam, ne mea valetudo tuo labori desit. Res quanta sit, intelligo, quantoque fuerit facilius manere domi quam redire; sed tamen, si omnes tribunos pl. habemus, si Lentulum tam studiosum, quam videtur, si vero etiam Pompeium et Caesarem, non est desperandum. De familia, quomodo placuisse scribis amicis, faciemus. De loco, nunc quidem iam abiit pestilentia, sed, quamdiu fuit, me non attigit. Plancius, homo officiosissimus, me cupit esse secum et adhuc retinet. Ego volebam loco magis deserto esse in Epiro, quo neque Piso veniret nec milites, sed adhuc Plancius me retinet: sperat posse fieri, ut mecum in Italiam decedat; quem ego diem si videro et si in vestrum complexum venero ac si et vos et me ipsum recuperaro, satis magnum mihi fructum videbor percepisse et vestrae pietatis et meae. Pisonis humanitas, virtus, amor in omnes nos tantus est, ut nihil supra possit: utinam ea res ei voluptati sit! gloriae quidem video fore. De Q. fratre nihil ego te accusavi, sed vos, cum praesertim tam pauci sitis, volui esse quam coniunctissimos. Quibus me voluisti agere gratias, egi et me a te certiorem factum esse scripsi. Quod ad me, mea Terentia, scribis te vicum vendituram, quid, obsecro te—me miserum!—, quid futurum est? et, si nos premet eadem fortuna, quid puero misero fiet? Non queo reliqua scribere—tanta vis lacrimarum est—, neque te in eundem fletum adducam; tantum scribo: si erunt in officio amici, pecunia non deerit; si non erunt, tu efficere tua pecunia non poteris. Per fortunas miseras nostras, vide, ne puerum perditum perdamus; cui si aliquid erit, ne egeat, mediocri virtute opus est et mediocri fortuna, ut cetera consequatur. Fac valeas et ad me tabellarios mittas, ut sciam, quid agatur et vos quid agatis. Mihi omnino iam brevis exspectatio est. Tulliolae et Ciceroni salutem dic. Valete. D. a d. VI. Kal. Decembr. Dyrrhachio. Dyrrhachium veni, quod et libera civitas est et in me officiosa et proxima Italiae; sed, si offendet me loci celebritas, alio me conferam, ad te scribam.
Traduzione all'italiano
TULLIO A TERENZIA, A TULLIOLA E AL FIGLIO CICERONE
Dalle lettere di molti e dalla viva voce di tutti mi giunge notizia che sei di una forza d'animo e d'una energia
incre dibili e che non ti lasci stancare ne dalle fatiche fisiche ne da quelle morali. O mia disgrazia! Con queste tue
virtù, con la tua fedeltà, la tua rettitudine, la tua umanità vederti piombata in cosi grandi angosce per colpa mia; e
vedere la nostra Tulliola ricavare motivo di pianto da un padre, da cui era abituata a ricevere tante soddisfazioni! E
che dovrei dire del nostro figliolo? Appena raggiunta l'età della ragione ha subito le più crudeli sofferenze e miserie.
Se io le credessi, come scrivi tu, causate dal destino avverso, le sopporterei un po' meglio; ma la responsabilità di
tutto è integralmente mia, che pensavo di essere amato da chi mi odiava e che non prestavo attenzione a chi invece
si volgeva a me. Se avessi fatto buon uso della ragione e non avessi dato tanto retta alle chiacchiere di amici o
stupidi o disonesti vivrei adesso sereno. Ma ore che degli amici ci ingiungono di sperare per il meglio, mi darò da
fare perché la mia salute possa rispondere alle pene che ti dai per me. Mi rendo conto delle dimensioni della cosa e
quanto fosse più facile restare in patria piuttosto che tornarvi! Se pero abbiamo dalla nostra tutti i tribuni della
plebe; se l'interessamento di Lentulo - nella sue posizione di console designato - non è solo apparente; se vi si
aggiungono anche Pompeo e Cesare, non bisogna disperare.
Circa la servitù si farà come tu mi scrivi che hanno deciso gli amici. Da queste parti l'epidemia adesso e oramai
passata, ma per quanto e durata ne sono rimasto illeso. Plancio, che e uomo di una cortesia squisita, insiste per avermi con sé e ancora mi trattiene. Io volevo stare in un posto più isolato, in Epiro, dove non potessero arrivare né
Pisone - per l'anno prossimo governatore della Macedonia - né i suoi soldati; ma Plancio ancora mi trattiene:
spera che si possa combinare in modo da partire insieme con me per l'Italia. Se mai vedrò un tal giorno e se mai
riuscirò ad abbracciarvi e a recuperare a un tempo il mio e il vostro decoro, mi sembrerà d'aver colto il frutto più
cospicuo del vostro affetto per me e del mio per voi.
L'affabilità, l'umanità, i sentimenti del nostro genero Pisone nei contronti di voi tutti sono tanto grandi che niente
può superarli. Volesse il cielo che ne ricavasse soddisfazione! Perché quanto a gloria vedo che non gliene
mancherà. Non ti ho fatto alcun rilievo a proposito di mio fratello Quinto, ma vi avrei voluti tutti stretti l'uno
all'altro il più possibile, specie ora che siete tanto pochi. Ho ringraziato quelli che tu volevi che ringraziassi e ho
scritto che tu me ne avevi informato.
Terenzia cara, mi dici che hai intenzione di vendere un'intera proprietà: ma ti supplico, dal fondo della mia
disperazione, di considerarne le conseguenze... E se il destino dovesse continuare a perseguitarci, che sarà del
nostro disgraziato ragazzo? Non resisto a scrivere oltre: sono sopraffatto dalla commozione e non vorrei fare
piangere anche te. Mi limito a questo: se potremo contare su amici fedeli, denaro non ne mancherà; se gli amici
verranno me no, col tuo denaro non ce la farai mai. In nome delle nostre deplorevoli condizioni, guarda che non
roviniamo del tutto un ragazzo gia in rovina: se potrà contare su qualcosa che lo sottragga al bisogno immediato, a
ottenere il resto gli occorrerà solo un minimo di coraggio e un minimo di buona sorte. Cerca di star bene e mantieni
i contatti necessari per farmi sapere quel che succede e quel che fate voi. Ma oramai ho ben poco da aspettarmi. Un
pensiero a Tulliola e Cicerone. Addio.
Durazzo, 26 novembre.
Sono venuto a Durazzo sia perché è una città libera e in cui conto delle aderenze, sia perché è il punto più vicino
all'Italia; ma se, trattandosi di un posto di gran passaggio, dovesse verificarsi qualche inconveniente, mi trasferirò
altrove e te ne terrò informata per lettera.