Versione originale in latino
Multa medici multa gubernatores, agricolae etiam multa praesentiunt, sed nullam eorum divinationem voco, ne illam quidem, qua ab Anaximandro physico moniti Lacedaemonii sunt, ut urbem et tecta linquerent armatique in agro excubarent, quod terrae motus instaret, tum cum et urbs tota corruit et e monte Taygeto extrema montis quasi puppis avolsa est. Ne Pherecydes quidem, ille Pythagorae magister, potius divinus habebitur quam physicus, quod, cum vidisset haustam aquam de iugi puteo, terrae motus dixit instare. Nec vero umquam animus hominis naturaliter divinat, nisi cum ita solutus est et vacuus, ut ei plane nihil sit cum corpore; quod aut vatibus contingit aut dormientibus. Itaque ea duo genera a Dicaearcho probantur et, ut dixi, a Cratippo nostro; si propterea quod ea proficiscuntur a natura, sint summa sane, modo ne sola; sin autem nihil esse in observatione putant, multa tollunt quibus vitae ratio continetur. Sed quoniam dant aliquid, idque non parvum vaticinationes cum somniisl, nihil est quod cum his magnopere pugnemus, praesertim cum sint, qui omnino nullam divinationem probent.
Ergo et ii, quorum animi spretis corporibus evolant atque excurrunt foras, ardore aliquo infiammati atque incitati cernunt illa profecto quae vaticinantes pronuntiant, multisque rebus inflammantur tales animi, qui corporibus non inhaerent, ut ii qui sono quodam vocum et Phrygiis cantibus incitantur. Multos nemora silvaeque, multos amnes aut maria commovent, quorum furibunda mens videt ante muto quae sint futura. Quo de genere illa sunt:
- "eheu videte!
iudicavit inclitum iudicium inter deas tris aliquis,
quo iudicio Lacedaemonia mulier, Furiarum una, adveniet."
Eodem enim modo multa a vaticinantibus saepe praedicta sunt neque solum >solutis< verbis, sed etiam
- "versibus quos olim Fauni vatesque canebant."
Similiter Marcius et Publicius vates cecinisse dicuntur; quo de genere Apollinis operta prolata sunt. Credo etiam anhelitus quosdam fuisse terrarum, quibus inflatae mentes oracla funderent.
Traduzione all'italiano
Molte previsioni giuste le fanno i medici, molte i naviganti, molte anche i contadini, ma nessuna di esse io chiamo divinazione: nemmeno quella famosa previsione con cui il filosofo della natura Anassimandro avvertì gli spartani di lasciare la città e le case e vegliare armati nei campi, poiché era imminente un terremoto: e in realtà tutta la città fu rasa al suolo e il contrafforte estremo del monte Taigeto fu divelto come la poppa di una nave. Nemmeno Ferècide, il famoso maestro di Pitagora, dovrà essere considerato come un profeta anziché come un filosofo della natura, per aver detto che erano imminenti dei terremoti dopo che ebbe esaminato dell'acqua attinta da un pozzo perenne. La divinazione naturale, l'anima umana non la compie se non quando è talmente sciolta e libera da non avere assolutamente alcun legame col corpo. Ciò accade soltanto ai vaticinanti e ai dormienti. Perciò questi due generi di divinazione sono ammessi da Dicearco e dal nostro Cratippo, come ho detto. Se essi li ammettono perché derivano dalla natura, diciamo pure che sono i più importanti, purché non gli unici; ma se ritengono che l'osservazione dei segni profetici non valga nulla, sopprimono molti indizi utili per la condotta della vita. Ma poiché concedono qualcosa e non di poco conto [le profezie in stato di esaltazione e i sogni], non c'è alcun motivo, per noi, di discutere violentemente con essi, tanto più che vi sono quelli che non ammettono alcuna divinazione!
Dunque quelli le cui anime, sprezzando il corpo, volano via e trascorrono fuori, infiammati ed eccitati da una sorta di ardore, vedono senza dubbio le cose che dicono nei loro vaticinii. Anime di questo genere, capaci di non rimanere attaccate ai corpi, sono infiammate da molte cause. Vi sono, per esempio, quelle che subiscono l'eccitazione di qualche voce melodiosa o dei canti frigi. Molte sono esaltate dalla vista dei boschi e delle foreste, molte dai fiumi o dai mari; e la loro mente, in un accesso di follia, vede il futuro molto prima che accada. A questo tipo di divinazione si riferiscono quei famosi versi:
- "Ahimè, guardate! Qualcuno ha giudicato un giudizio memorabile fra tre dèe; e per quel giudizio arriverà una donna spartana, una delle Furie."
Allo stesso modo molte profezie sono state spesso fatte da vaticinanti, e non solo in prosa, ma anche
- "coi versi che un tempo cantavano i Fauni e i vati."
Similmente i vati Marcio e Publicio cantarono oracoli, a quanto si dice; e allo stesso modo furono profferiti gli enigmi di Apollo. Credo anche che dalle fenditure della terra uscissero esalazioni che inebriavano le menti e le inducevano a effondere oracoli.