Versione originale in latino
- Rite igitur veteres, quorum monumenta tenetis
qui populos urbisque modo ac virtute regebant,
rite etiam vestri, quorum pietasque fidesque
praestitit et longe vicit sapientia cunctos,
praecipue colucre vigeiiti numine divos.
Haec adeo penitus cura videre sagaci,
otia qui studiis laeti tenuere decoris,
inque Academia umbrifera nitidoque Lyceo
fuderunt claras fecundi pectoris artis.
E quibus ereptum primo iam a flore iuventae
te patria in media virtutum mole locavit.
Tu tamen anxiferas curas requiete relaxans,
quod patriae vacat, his studiis nobisque sacrasti."
Tu igitur animum poteris inducere contra ea quae a me disputantur de divinatione, dicere, qui et gesseris ea, quae gessisti, et ea quae pronuntiavi, accuratissume scripseris? Quid quaeris, Carneades, cur haec ita fiant aut qua arte perspici possint? Nescire me fateor, evenire autem ipsum dico videre. "Casu," inquis. Itane vero? Quicquam potest casu esse factum, quod omnes habet in se numeros veritatis? Quattuor tali iacti casu Venerium efficiunt; num etiam centum Venerios, si quadringentos talos ieceris, casu futuros putas? Adspersa temere pigmenta in tabula oris liniamenta efficere possunt; num etiam Veneris Coae pulchritudinem effici posse adspersione fortuita putas? Sus rostro si humi A litteram impresserit, num propterea suspicari poteris Andromacham Enni ab ea posse describi? Fingebat Carneades in Chiorum lapicidinis saxo diffisso caput exstitisse Panisci; credo, aliquam non dissimilem figuram, sed certe non talem, ut eam factam a Scopa diceres. Sic enim se profecto res habet, ut numquam perfecte veritatem casus imitetur.
Traduzione all'italiano
- A ragione, dunque, gli antichi, dei quali voi custodite gli insegnamenti, e che con moderazione e virtù governavano popoli e città, - a ragione anche i vostri compatrioti, la cui religiosità e il cui ossequio ai numi superò tutti e di gran lunga li vinse la loro sapienza, onorarono più che mai gli dèi insigni per potenza. Questi insegnamenti, d'altronde, li intesero a fondo, con indagine sagace, coloro che lieti trascorsero in nobili studi il tempo libero da fatiche quotidiane, e che, nell'ombrosa Accademia e nel luminoso Liceo, diffusero le splendide dottrine del loro ingegno fecondo. Strappato ad essi fin dal primo fiorire della giovinezza, tu fosti collocato dalla patria in mezzo al faticoso mondo delle virtù attive. E tuttavia, dando un po' di tregua alle ansiose preoccupazioni della vita civile, hai consacrato a quegli studi e a noi il tempo che la patria ti lascia libero."
Tu dunque, che hai fatto quel che hai fatto e hai scritto con la massima esattezza i versi che or ora ho recitato, hai il coraggio di opporti a ciò che io dico sulla divinazione? Perché stai a domandare, Carneade, per qual motivo queste cose avvengano o con quale arte possano essere comprese? Io confesso di non saperlo, ma affermo che tu stesso devi riconoscere che avvengono. "Per caso", dici tu. Ma davvero può accadere per caso ciò che ha in sé tutti i caratteri della verità? Quattro dadi, lanciati a caso, dànno il "colpo di Venere"; ma se lancerai quattrocento dadi, e otterrai il colpo di Venere per tutte e cento le volte, crederai che ciò sia dovuto al caso? Dei colori schizzati a caso su una tavola possono produrre i lineamenti di un volto; ma crederai che schizzando colori a caso si possa ottenere la bellezza della Venere di Coo? Se una scrofa col suo grifo avrà tracciato sul terreno la lettera A, la crederai per questo capace di scrivere l'Andromaca di Ennio? Carneade immaginava che nelle cave di pietra di Chio, in seguito alla spaccatura di un macigno, fosse venuta in luce per caso la testa di un piccolo Pan: sono disposto a credere che si trattasse di una qualche forma somigliante, ma certamente non tale da potere essere giudicata opera di Scopa. Le cose, non c'è dubbio, stanno così: il caso non può mai imitare perfettamente la verità.