Versione originale in latino
Ad quartum a Cremona lapidem fulsere legionum signa Rapacis atque Italicae, laeto inter initia equitum suorum proelio illuc usque provecta. Sed ubi fortuna contra fuit, non laxare ordines, non recipere turbatos, non obviam ire ultroque adgredi hostem tantum per spatium cursu et pugnando fessum. [forte victi] haud perinde rebus prosperis ducem desideraverant atque in adversis deesse intellegebant. Nutantem aciem victor equitatus incursat; et Vipstanus Messala tribunus cum Moesicis auxiliaribus adsequitur, quos multi e legionariis quamquam raptim ductos aequabant: ita mixtus pedes equesque rupere legionum agmen. Et propinqua Cremonensium moenia quanto plus spei ad effugium minorem ad resistendum animum dabant. Nec Antonius ultra institit, memor laboris ac vulnerum, quibus tam anceps proelii fortuna, quamvis prospero fine, equites equosque adflictaverat.
Traduzione all'italiano
A quattro miglia da Cremona si videro d’un tratto luccicare le insegne delle legioni Rapace e Italica, fin là attratte dal successo iniziale della loro cavalleria. Ma quando si rovesciò la fortuna, non aprirono spazi tra le file ad accogliere i loro in scompigliata fuga, non contrattaccarono un nemico sfiancato da sì gran tratto percorso combattendo all’attacco. Queste truppe, guidate dal caso, che nel successo non avevan sentito il bisogno di un capo che le guidasse, ora, nel momento della sconfitta, capivano di averne bisogno. La cavalleria vittoriosa carica le linee avversarie già scosse, e sopraggiunge il tribuno Vipstano Messalla coi suoi ausiliari della Mesia e a ridosso molti legionari affiancati nella pur rapida corsa, sicché fanti e cavalieri insieme sfondarono le file delle due legioni ancora disposte in colonna. E le vicine mura di Cremona, se offrivano speranza di scampo, indebolivano la volontà di resistere. Antonio non forzò oltre: non poteva dimenticare quanta fatica e ferite avessero stremato cavalli e cavalieri in una battaglia così a lungo incerta, nonostante il successo finale.