Versione originale in latino
Magnificam in publicum largitionem auxit Caesar haud minus grata liberalitate, quod bona Aemiliae Musae, locupletis intestatae, petita in fiscum, Aemilio Lepido, cuius e domo videbatur, et Pantulel divitis equitis Romani here ditatem, quamquam ipse heres in parte legeretur, tradidit M. Servilio, quem prioribus neque suspectis tabulis scriptum compererat, nobilitatem utriusque pecunia iuvandam praefatus. Neque hereditatem cuiusquam adiit nisi cum amicitia meruisset: ignotos et aliis infensos eoque principem nuncupantis procul arcebat. Ceterum ut honestam innocentium paupertatem levavit, ita prodigos et ob flagitia egentis, Vibidium Varronem, Marium Nepotem, Appium Appianum, Cornelium Sullam, Q. Vitellium movit senatu aut sponte cedere passus est.
Traduzione all'italiano
Le già vistose contribuzioni destinate a pubblici interventi vennero accresciute da Cesare con una altrettanto gradita generosità privata: i beni di Emilia Musa, facoltosa matrona morta senza testamento, che il fisco reclamava, li assegnò a Emilio Lepido, ritenuto a lei imparentato; e così passò l'eredità del ricco cavaliere romano Pantuleio, benché di una parte di essa fosse nominato erede, a Marco Servilio, che Tiberio vide designato, quale unico erede, in un anteriore e non sospetto testamento, sostenendo che quell'aiuto in denaro avrebbe portato vantaggio alla nobiltà di entrambi. E non volle accettare l'eredità di alcuno, se non proveniente da rapporti di amicizia. Respingeva quella di sconosciuti che, dispettosi verso altri parenti, per ciò appunto istituivano erede il principe. D'altra parte, mentre sovvenne alla dignitosa povertà di persone oneste, allontanò dal senato o lasciò che di loro iniziativa ne uscissero i dissipatori e quanti s'eran ridotti in miseria per vizio, come Vibidio Virrone, Mario Nepote, Appio Appiano, Cornelio Silla e Quinto Vitellio.