Versione originale in latino
Imagines et elogia universi generis exsequi longum est: familiae breviter attingam. Qui prius Sulpiciorum cognomen Galbae tulit, cur aut unde traxerit, ambigitur. Quidam putant, quod oppidum Hispaniae frustra diu oppugnatum inlitis demum galbano facibus succenderit; alii; quod in diuturna valitudine galbeo, id est remediis lana involutis, assidue uteretur: nonnulli, quod praepinguis fuerit visus, quem galbam Galli vocent; vel contra, quod tam exilis, quam sunt animalia quae in aesculis nascuntur appellanturque galbae. Familiam illustravit Servius Galba consularis, temporum suorum et eloquentissimus, quem tradunt Hispaniam ex praetura optinentem, triginta Lusitanorum milibus perfidia trucidatis, Viriatini belli causam exstitisse. Eius nepos ob repulsa consulatus infensus Iulio Caesari, cuius legatus in Gallia fuerat, conspiravit cum Cassio et Bruto, propter quod Pedia lege damnatus est. Ab hoc sunt imperatoris Galbae avus ac pater: avus clarior studiis quam dignitate (non enim egressus praeturae gradum) multiplicem nec incuriosam historiam edidit; pater consulatu functus, quamquam brevi corpore, atque etiam gibber, modicaeque in dicendo facultatis, causas industrie actitavit. Uxores habuit Mummiam Achaiam, neptem Catuli proneptemque L. Mummi, qui Corinthum excidit; item Liviam Ocellinam ditem admodum et pulchram, a qua tamen nobilitatis causa appetitus ultro existimatur, et aliquando enixius post quam subinde instantis vitium corporis secreto posita veste detexit, ne quasi ignaram fallere videretur. Ex Achaica liberos Gaium et Servium procreavit, quorum maior Gaius attritis facultatibus urbe cessit, prohibitusque a Tiberio sortiri anno suo proconsulatum voluntaria morte obiit.
Traduzione all'italiano
Sarebbe troppo lungo elencare i gradi di nobiltà e i titoli di gloria di tutta questa stirpe, e allora farò cenno brevemente a quelli della sua famiglia. Non si sa con precisione per quale motivo il soprannome di Galba fu dato al primo dei Sulpici che lo portò, né da dove gli venne. Secondo alcuni ciò avvenne perché un Sulpicio, dopo aver a lungo assediato senza successo una città fortificata della Spagna, alla fine la incendiò con alcune torce imbevute di galbano; secondo altri perché, nel corso di una lunga malattia, fece uso regolare del "galbeo", vale a dire di una benda spalmata di medicamenti; altri ancora spiegano il soprannome dicendo che era molto grasso, cosa che in lingua gallica si traduce "galba", o che al contrario era magro come gli insetti che nascono nelle querce e che vengono chiamati "galbae". La famiglia fu illustrata dall'ex console Servio Galba, il più grande oratore del suo tempo che, governando la Spagna dopo aver rivestito la carica di pretore, dicono abbia provocato la guerra di Viriato, perché fece trucidare a tradimento trentamila Lusitani. Suo nipote, poiché fu bocciata la sua candidatura al consolato, divenne nemico di Giulio Cesare, del quale era stato luogotenente in Gallia, e cospirò contro di lui con Cassio e Bruto, e per questo fatto venne condannato in forza della legge Pedia. Da costui nacquero il nonno e il padre dell'imperatore Galba; suo nonno, più famoso per la sua cultura che per le sue magistrature (non andò infatti oltre la carica di pretore), pubblicò una storia molto vasta e piuttosto interessante. Suo padre, dopo essere stato console, svolse un'intensa attività come avvocato, benché fosse di piccola statura, perfino gobbo e di mediocre talento oratorio. Sposò Mummia Acaia, nipote di Catulo e pronipote di L. Mummio, il distruttore di Corinto; poi si unì in matrimonio con Livia Ocellina che, sebbene molto ricca e molto bella, gli avrebbe fatto lei stessa la dichiarazione, a quanto dicono, a causa della nobiltà di lui e ancor più volle sposarlo quando, davanti alle sue insistenti richieste, egli si denudò per mostrargli la sua deformità, perché non sembrasse abusare della sua ignoranza. Acaia gli diede due figli, Gaio e Servio; il maggiore, Gaio, lasciò Roma dopo aver dilapidato il proprio patrimonio e si diede la morte perché Tiberio gli proibì di partecipare, quando fu il suo turno, al sorteggio dei proconsolati.