Versione originale in latino
Multa praeterea specie gravitatis ac morum corrigendorum, sed et magis naturae optemperans, ita saeve et atrociter factitavit, ut nonnulli versiculis quoque et praesentia exprobrarent et futura denuntiarent mala:
- Asper et immitis, breviter vis omnia dicam?
dispeream, si te mater amare potest.
Non es eques; quare? Non sunt tibi milia centum;
omnia si quaeras, et Rhodus exilium est.
Aurea mutasti Saturni saecula, Caesar:
incolumi nam te ferrea semper erunt.
Fastidit vinum, quia iam sitit iste cruorem:
tam bibit hunc avide, quam bibit ante merum.
Aspice felicem sibi, non tibi, Romule, Sullam
et Marium, si vis, aspice, sed reducem,
Nec non Antoni civilia bella moventis
non semel infectas aspice caede manus,
Et dic: Roma perit! Regnavit sanguine multo,
ad regnum quisquis venit ab exilio.
Quae primo, quasi ab impatientibus remedi[or]um ac non tam ex animi sententia quam bile et stomacho fingerentur, volebat accipi dicebatque identidem: "Oderint, dum probent." Dein vera plane certaque esse ipse fecit fidem.
Traduzione all'italiano
Inoltre, un po' per severità e per correggere i costumi, ma soprattutto per assecondare la sua natura, commise azioni così crudeli e atroci che alcuni, perfino in versi, gli rinfacciavano i mali presenti e anticipavano quelli futuri:
- Brutta bestia, vuoi che te la dica in breve?
Mi venga un colpo se tua madre può volerti bene.
Non sei cavaliere; perché? Non hai centomila sesterzi;
se vuoi saperlo, sei solo l'esiliato di Rodi.
Cesare, hai posto fine all'età d'oro di Saturno:
Finché vivrai, infatti, sarà sempre età del ferro.
Il vino lo ripugna, perché costui ha sete di sangue, ormai:
Di sangue si sazia, come un tempo di vino puro.
Romolo, guarda il felice Silla, felice non per te, ma per sé,
e se vuoi guarda anche Mario, ma al suo ritorno,
e così pure Antonio che scatena le guerre civili,
guarda le sue mani più di una volta insozzate di crimini,
ed esclama: Povera Roma! Con molto sangue ha regnato
chiunque dall'esilio sia giunto al comando.
In un primo tempo Tiberio voleva che si considerassero questi epigrammi opera di persone insofferenti delle sue riforme, che esprimevano non tanto il loro vero pensiero, ma il loro livore e la loro collera, e ripeteva spesso: "Mi detestino, purché mi approvino." In seguito però lui stesso dimostrò che erano pienamente giustificati.