Versione originale in latino
Denique Flavium Clementem patruelem suum, contemptissimae inertiae, cuius filios etiam tum parvulos successores palam destinaverat abolitoque priore nomine alterum Vespasianum appellari iusserat, alterum Domitianum, repente ex tenuissima suspicione tantum non in ipso eius consulatu interemit. Quo maxime facto maturavit sibi exitium.
Continuis octo mensibus tot fulgura facta nuntiataque sunt, ut exclamaverit: "Feriat iam, quem volet." Tactum de caelo Capitolium templumque Flaviae gentis, item domus Palatina et cubiculum ipsius, atque etiam e basi statuae triumphalis titulus excussus vi procellae in monimentum proximum decidit. Arbor, quae privato adhuc Vespasiano eversa surrexerat, tunc rursus repente corruit. Praenestina Fortuna, toto imperii spatio annum novum commendanti laetam eandemque semper sortem dare assueta, extremo tristissimam reddidit nec sine sanguinis mentione.
Minervam, quam superstitiose colebat, somniavit excedere sacrario [...] negantemque ultra se tueri eum posse, quod exarmata esset a Iove. Nulla tamen re perinde commotus est, quam responso casuque Ascletarionis mathematici. Hunc delatum nec infitiantem, iactasse se quae providisset ex arte, sciscitatus est, quis ipsum maneret exitus; et affirmantem fore ut brevi laceraretur a canibus, interfici quidem sine mora, sed ad coarguendam temeritatem artis sepeliri quoque accuratissime imperavit. Quod cum fieret, evenit ut, repentina tempestate deiecto funere, semiustum cadaver discerperent canes, idque ei cenanti a mimo Latino, qui praeteriens forte animadverterat, inter ceteras diei fabulas referretur.
Traduzione all'italiano
Infine fece uccidere tutto ad un tratto, per il più leggero sospetto e quasi nell'esercizio stesso del consolato, suo cugino Flavio Clemente, personaggio assolutamente inattivo, di cui, pubblicamente, aveva destinato i figli, ancora piccoli, ad essere suoi successori e a perdere i loro nomi precedenti, per chiamarsi uno Vespasiano e l'altro Domiziano. Fu soprattutto questo delitto ad affrettare la sua morte.
Per otto mesi di seguito si intesero e si segnalarono tanti colpi di fulmine che gridò: "Ormai, colpisca chi vuole." La folgore si abbatté sul Campidoglio, sul tempio della famiglia Flavia, sulla sua casa del Palatino, proprio nella sua camera e perfino l'iscrizione che era stata fissata sul basamento della sua statua trionfale fu strappata dalla violenza dell'uragano e gettata in una tomba vicina. L'albero che, dal tempo in cui Vespasiano era ancora semplice cittadino, si era risollevato da terra, si schiantò di nuovo improvvisamente. L'oracolo della Fortuna a Preneste che durante tutta la durata del suo principato, ogni volta che gli raccomandava l'anno nuovo, gli aveva dato un responso favorevole, sempre lo stesso, gli predisse, l'ultimo anno, gli avvenimenti più funesti, non senza fare allusione al suo sangue.
Sognò che Minerva, per la quale aveva un culto superstizioso, usciva dal suo santuario e diceva di non poterlo più difendere, perché Giove l'aveva disarmata. Tuttavia niente lo impressionò così profondamente come il responso e l'avventura dell'astrologo Ascletarione. Poiché costui gli era stato denunciato e non aveva negato di aver divulgato ciò che aveva previsto con la sua arte, Domiziano gli chiese quale fine attendesse proprio lui, Ascletarione. Egli rispose che quanto prima sarebbe stato dilaniato dai cani e allora Domiziano lo fece uccidere subito, ma per dimostrare la vanità della sua scienza, ordinò anche di seppellirlo con la massima cura. Mentre veniva eseguito questo ordine, un uragano improvviso abbatté il sepolcro e alcuni cani fecero a pezzi il cadavere semicarbonizzato. A cena il mimo Latino, che, passando per caso, aveva visto il fatto, lo raccontò a Domiziano, tra gli altri avvenimenti della giornata.