Pillaus
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Versione originale in latino


Utebatur et versibus Graecis tempestive satis, et de quodam procerae statuae improbiusque nato:
    makra bibas, kradaon dolichoskion enchos.

et de Cerylo liberto, qui dives admodum ob subterfugiendum quandoque ius fisci ingenuum se et Lachetem mutato nomine coeperat ferre:
    ho Laches, Laches,
    epan apothanes, authis ex arches esei
    sy kerylos.

Maxime tamen dicacitatem adfectabat in deformibus lucris, ut invidiam aliqua cavillatione dilueret transferretque ad sales.
Quendam e caris ministris dispensationem cuidam quasi fratri petentem cum distulisset, ipsum candidatum ad se vocavit; exactaque pecunia, quantam is cum suffragatore suo pepigerat, sine mora ordinavit; interpellanti mox ministro: Alium tibi, ait, quaere fratrem; hic, quem tuum putas, meus est. Mulionem in itinere quodam suspicatus ad calciandas mulas desiluisse, ut adeunti litigatori spatium moramque praeberet, interrogavit quanti calciasset, et pactus est lucri partem. Reprehendenti filio Tito, quod etiam urinae vectigal commentus esset, pecuniam ex prima pensione admovit ad nares, sciscitans num odore offenderetur; et illo negante: Atqui, inquit, e lotio est. Nuntiantis legatos decretam ei publice non mediocris summae statuam colosseam, iussit vel continuo ponere, cavam manum ostentans et paratam basim dicens. Ac ne metu quidem ac periculo mortis extremo abstinuit iocis. Nam cum inter cetera prodigia Mausoleum derepente patuisset et stella crinita in caelo apparuisset, alterum ad Iuniam Calvinam e gente Augusti pertinere dicebat, Parthorum regem qui capillatus esset; prima quoque morbi accessione: Vae, inquit, puto, deus fio.

Traduzione all'italiano


Molto a proposito si serviva di versi greci, dicendo, ad esempio di un uomo di alta statura e mostruosamente sviluppato negli organi genitali:

    "Procede a grandi passi, brandendo una lancia dalla lunga ombra";

e del suo liberto Cerilo che, allo scopo di sottrarre, una volta morto, la sua enorme fortuna ai diritti del fisco, aveva cominciato a vantarsi di essere nato libero e a farsi chiamare Lachete:
    "O Lachete, Lachete, quando sarai morto, come prima sarai di nuovo Cerilo."

Ma soprattutto a proposito dei profitti indegni egli ostentava tutta la sua mordacità, per attenuarne il carattere odioso con qualche battuta e buttarli sullo scherzo. Quando uno dei suoi servitori favoriti gli domandò un posto di intendente per un uomo di cui si diceva fratello, egli prese tempo per rispondere e fece venire di persona il candidato. Dopo avergli fatto versare esattamente la somma che costui aveva pattuito con il suo protettore, lo nominò immediatamente e quando, più tardi, il servitore gli chiese notizie, gli rispose: "Cercati un altro fratello, perché quello che credevi il tuo, è divenuto il mio." Durante un viaggio, poiché un mulattiere era saltato a terra con la scusa di dover ferrare le sue mule, Vespasiano sospettò che volesse dare ad un tizio coinvolto in una causa, il tempo e la possibilità di avvicinarlo; allora gli chiese "quanto gli fruttassero quei ferri" e pretese una parte del guadagno. Poiché suo figlio Tito gli rimproverava di aver avuto l'idea di tassare anche le urine, gli mise sotto il naso la prima somma resa da questa imposta, chiedendogli "se fosse offeso dal suo odore" e quando Tito gli disse di no, riprese: "Eppure è il prodotto dell'urina." Quando una delegazione gli annunciò che si era deciso di erigergli a spese pubbliche una statua colossale, di prezzo considerevole, ordinò di farlo al più presto e mostrò loro il cavo della mano dicendo che "il basamento era già pronto". Anche il timore della morte e la sua minaccia pressante non gli impedirono di scherzare. Infatti quando, tra gli altri prodigi, il Mausoleo si era aperto improvvisamente e una cometa era apparsa nel cielo, egli dichiarò che il primo presagio riguardava Giunia Calvina, discendente di Augusto, e il secondo il re dei Parti che era ben chiomato. Anche al primo attacco della malattia disse: "Accidenti! credo che sto diventando un dio."

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