Pillaus
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Versione originale in latino


Moderationem vero clementiamque cum in administratione tum in victoria belli civilis admirabilem exhibuit. Denuntiante Pompeio pro hostibus se habiturum qui rei publicae defuissent, ipse medios et neutrius partis suorum sibi numero futuros pronuntiavit. Quibus autem ex commendatione Pompei ordines dederat, potestatem transeundi ad eum omnibus fecit. Motis apud Ilerdam deditionis condicionibus, cum, assiduo inter utrasque partes usu atque commercio, Afranius et Petreius deprehensos intra castra Iulianos subita paenitentia interfecissent, admissam in se perfidiam non sustinuit imitari.
Acie Pharsalica proclamavit, ut civibus parceretur, deincepsque nemini non suorum quem vellet unum partis adversae servare concessit. Nec ulli perisse nisi in proelio reperientur, exceptis dum taxat Afranio et Fausto et Lucio Caesare iuvene; ac ne hos quidem voluntate ipsius interemptos putant, quorum tamen et priores post impetratam veniam rebellaverant et Caesar libertis servisque eius ferro et igni crudelem in modum enectis bestias quoque ad munus populi comparatas contrucidaverat. Denique tempore extremo etiam quibus nondum ignoverat, cunctis in Italiam redire permisit magistratusque et imperia capere; sed et statuas Luci Sullae atque Pompei a plebe disiectas reposuit; ac si qua posthac aut cogitarentur gravius adversus se aut dicerentur, inhibere maluit quam vindicare. Itaque et detectas coniurationes conventusque nocturnos non ultra arguit, quam ut edicto ostenderet esse sibi notas, et acerbe loquentibus satis habuit pro contione denuntiare ne perseverarent, Aulique Caecinae criminosissimo libro et Pitholai carminibus maledicentissimis laceratam existimationem suam civili animo tulit.

Traduzione all'italiano


Diede prova di moderazione e di ammirevole clemenza, sia nella conduzione della guerra civile, sia nell'uso dellá vittoria. Pompeo dichiarò che avrebbe considerato nemici tutti quelli che si fossero rifiutati di difendere lo Stato. Cesare proclamò che avrebbe annoverato fra i suoi amici sia gli indifferenti sia i neutrali. Tutti coloro ai quali aveva conferito i gradi su raccomandazione di Pompeo furono lasciati liberi di passare al nemico. Presso Ilerda, Afranio e Petreio avevano avviato trattative di resa e tra le due armate si erano stabilite fitte relazioni di affari; tutto ad un tratto, presi dai rimorsi, fecero massacrare i soldati di Cesare sorpresi nel loro accampamento. Cesare tuttavia non se la sentì di imitare la perfidia commessa nei suoi confronti. Alla battaglia di Farsalo raccomandò di risparmiare i cittadini, poi concesse ad ognuno dei suoi uomini di tenere un solo prigioniero di parte avversa, a scelta. Nessun pompeiano, dopo la battaglia, fu messo a morte, ad eccezione soltanto di Afranio, Fausto e Lucio Cesare il giovane. E pare che non siano stati uccisi per sua volontà; i primi due, ad ogni modo, avevano ripreso le armi dopo aver ottenuto il perdono e il terzo, non contento di aver selvaggiamente trucidato col ferro e col fuoco i liberti e gli schiavi di Cesare, aveva anche fatto sgozzare le bestie acquistate per uno spettacolo pubblico. Infine, negli ultimi tempi, anche tutti coloro ai quali non aveva ancora concesso il perdono, ebbero l'autorizzazione a ritornare in Italia e a esercitare le magistrature e i comandi; fece rimettere ai loro posti le statue di Silla e di Pompeo che il popolo aveva abbattuto. In seguito preferì scoraggiare, piuttosto che punire coloro i cui pensieri e le cui parole gli erano ostili. Così, quando scoprì congiure e riunioni notturne, si limitò a rendere noto con un editto che ne era al corrente. Nei confronti di coloro che lo criticavano aspramente si accontentò di ammonirli in pubblica assemblea a non insistere troppo. Sopportò con signorilità che la sua reputazione fosse offesa da un violentissimo libro di Aulo Cecina e dai versi particolarmente ingiuriosi di Pitolao.

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