Versione originale in latino
Saepe audivi ex maioribus natu, qui se porro pueros a senibus audisse dicebant, mirari solitum C. Fabricium, quod, cum apud regem Pyrrhum legatus esset, audisset a Thessalo Cinea esse quendam Athenis, qui se sapientem profiteretur, eumque dicere omnia, quae faceremus, ad voluptatem esse referenda. Quod ex eo audientis M'. Curium et Ti. Coruncanium optare solitos, ut id Samnitibus ipsique Pyrrho persuaderetur, quo facilius vinci possent, cum se voluptatibus dedissent. Vixerat M'. Curius cum P. Decio, qui quinquennio ante eum consulem se pro re publica quarto consulatu devoverat; norat eundem Fabricius, norat Coruncanius; qui cum ex sua vita, tum ex eius, quem dico, Deci, facto iudicabant esse profecto aliquid natura pulchrum atque praeclarum, quod sua sponte peteretur, quodque spreta et contempta voluptate optimus quisque sequeretur.
Traduzione all'italiano
Spesso ho sentito dire dai più anziani, i quali lo avrebbero appreso nella loro infanzia dai loro vecchi, che Caio Fabrizio non finiva di meravigliarsi del discorso che, all'epoca della sua ambasceria presso il re Pirro, aveva sentito dal tessalo Cinea: ad Atene viveva un tale che si professava saggio e nonostante ciò sosteneva che tutte le nostre azioni devono tendere al piacere. Alle parole di Fabrizio, Manlio Curio e Tiberio Coruncanio si auguravano che i Sanniti e lo stesso Pirro si persuadessero di tale teoria perché sarebbe stato più facile vincerli se si fossero dati ai piaceri. Manlio Curio era stato compagno di Publio Decio, l'uomo che, quando era console per la quarta volta, cinque anni prima del consolato di Curio, si era sacrificato per la patria. Lo aveva conosciuto anche Fabrizio, lo aveva conosciuto Coruncanio. Entrambi, a giudicare sia dalla loro vita sia dal gesto del Decio di cui parlo, credevano fermamente nell'esistenza di qualcosa di bello e nobile per natura, tale da essere ricercato per il suo valore intrinseco ed essere seguito da tutti i migliori nel disprezzo e nella condanna del piacere.