Pillaus
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Versione originale in latino


Vide igitur, ne, etiamsi divinationem tibi esse concessero, quod numquam faciam, neminem tamen divinum reperire possimus. Qualis autem ista mens est deorum, si neque ea nobis significant in somnis quae ipsi per nos intellegamus, neque ea quorum interpretes habere possimus? Similes enim sunt dei, si ea nobis obiciunt, quorum nec scientiam neque explanatorem habeamus, tamquam si Poeni aut Hispani in senatu nostro loquerentur sine interprete. Iam vero quo pertinent obscuritates et aenigmata somniorum? Intellegi enim a nobis di velle debebant ea quae nostra causa nos monerent.
"Quid? PoÎta nemone, physicus obscurus?" Ille vero nimis etiam obscurus Euphorion; at non Homerus; uter igitur melior? Valde Heraclitus obscurus, minime Democritus; num igitur conferendi? Mea causa me mones quod non intellegam: quid me igitur mones? Ut si quis medicus aegroto imperet ut sumat
    "terrigenam, herbigradam, domiportam, sanguine cassam",

potius quam hominum more "cocleam" diceret. Nam Pacuvianus Amphio
    "quadrupes, tardigrada, agrestis, humilis, aspera,
    capite brevi, cervice anguina, aspectu truci,
    sviscerata, inanima cum animali sono"

cum dixisset obscurius, tum Attici respondent:
    "non intellegimus, nisi si aperte dixeris."

At ille uno verbo: "testudo". Non potueras hoc igitur a principio, citharista, dicere?

Traduzione all'italiano


Attento, dunque: anche se un giorno ti avrò concesso che la divinazione esiste - ma non lo farò mai -, rischieremo di non trovare nessun vero indovino. Di che sorta è, poi, codesta provvidenza degli dèi, dal momento che nei sogni non ci indicano né cose che siamo capaci di comprendere da noi, né cose per le quali possiamo ricorrere a un interprete degno di fede? Se gli dèi ci mettono innanzi dei segni dei quali non abbiamo né conoscenza né qualcuno che ce li spieghi, si comportano come cartaginesi o spagnoli i quali venissero a parlare nel nostro senato senza interprete. E insomma, a che servono le oscurità e gli enigmi dei sogni? Gli dèì avrebbero dovuto volere che noi comprendessimo ciò di cui ci preavvisavano per il nostro bene. "Ma," tu dirai, "forse nessun poeta, nessun filosofo della Natura è oscuro?" Certo, quel famoso Euforione è oscuro anche troppo; ma non lo è Omero: quale dei due è miglior poeta? È estremamente oscuro Eraclìto, non lo è per nulla Democrito: si può fare tra loro un paragone? Per il mio bene mi dai un avvertimento che io non sono in grado di capire: con che frutto, dunque, mi avverti? Sarebbe come se un medico prescrivesse a un malato di prender come cibo

    "la nata dalla terra, strisciante sull'erba, portatrice della propria casa, priva di sangue"

invece di dire, come diciamo tutti, "lumaca". E dopo che l'Anfione della tragedia di Pacuvio ha detto in modo assai oscuro:
    "Una bestia quadrupede, dal cammino lento, selvatica, bassa di statura, ruvida, dalla testa corta, dal collo simile a quello d'un serpente, dall'aspetto truce, privata delle viscere, inanimata eppure capace di emettere un suono come un essere animato,"

gli attici replicano:
    "Non comprendiamo, se non lo dici apertamente."

E quegli, allora, con una sola parola: "una tartaruga." Non avresti dunque potuto, o citaredo, dire ciò fin dal principio?

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