Versione originale in latino
Quae cum ille dixisset, tum ego rursus quasi ab alio principio sum exorsus dicere. "Non ignoro," inquam, "Quinte, te semper ita sensisse, ut de ceteris divinandi generibus dubitares, ista duo, furoris et somnii, quae a libera mente fluere viderentur, probares. Dicam igitur de istis ipsis duobus generibus mihi quid videatur, si prius et Stoicorum conclusio rationis et Cratippi nostri quid valeat videro. Dixisti enim et Chrysippum et Diogenem et Antipatrum concludere hoc modo: "Si sunt di neque ante declarant hominibus quae futura sint, aut non diligunt homines, aut quid eventurum sit ignorant, aut existumant nihil interesse hominum scire quid sit futurum, aut non censent esse suae maiestatis praesignificare hominibus quae sint futura, aut ea ne ipsi quidem di significare possunt. At neque non diligunt nos (sunt enim benefici generique hominum amici), neque ignorant ea quae ab ipsis constituta et designata sunt, neque nostra nihil interest scire ea quae futura sunt (erimus enim cautiores, si sciemus), neque hoc alienum ducunt maiestate sua (nihil est enim beneficentia praestantius), neque non possunt futura praenoscere. Non igitur di sunt nec significant nobis futura. Sunt autem di; significant ergo. Et non, si significant futura, nullas dant vias nobis ad significationum scientiam (frustra enim significarent), nec, si dant vias, non est divinatio: est igitur divinatio." 0 acutos homines! Quam paucis verbis confectum negotium putant! Ea sumunt ad concludendum, quorum iis nihil conceditur. Conclusio autem rationis ea probanda est, in qua ex rebus non dubiis id quod dubitatur efficitur.
Traduzione all'italiano
Quando egli ebbe detto ciò, io a mia volta, quasi rifacendomi di nuovo dall'inizio, così presi a dire: "Non ignoro, Quinto, che tu hai sempre pensato così: sei stato dubbioso sulle altre forme di divinazione, hai ritenuto vere soltanto queste due, dell'esaltazione profetica e del sogno, che sembrano derivate dalla mente libera dal gravame del corpo. Dirò, dunque, il mio parere anche su questi due generi di divinazione; ma prima cercherò di esaminare il valore dell'argomentazione logica degli stoici e del nostro Cratippo. Hai detto che Crisippo, Diogene stoico e Antipatro argomentano così: "Se gli dèi esistono e non fanno sapere in anticipo agli uomini il futuro, o non amano gli uomini, o ignorano ciò che accadrà, o ritengono che non giovi affatto agli uomini sapere il futuro, o stimano indegno della loro maestà preavvertire gli uomini delle cose che avverranno, o nemmeno gli dèi stessi sono in grado di farle sapere. Ma non è vero che non ci amino (sono, infatti, benèfici e amici del genere umano), né è possibile che ignorino ciò che essi stessi hanno stabilito e predisposto, né si può ammettere che non ci giovi sapere il futuro (ché, se lo sapremo, saremo più prudenti), né essi ritengono che ciò non si confaccia alla loro maestà (niente è, difatti, più glorioso che fare il bene), né possono essere incapaci di prevedere il futuro. Dunque, dovremmo concludere, non esistono gli dèi e non ci predìcono il futuro. Ma gli dèi esistono; dunque predìcono. E se dànno indizi del futuro, non è ammissibile che ci precludano ogni mezzo di interpretare tali indizi (ché darebbero gli indizi senza alcun frutto), né, se essi ci forniscono quei mezzi d'interpretazione, è possibile che non vi sia la divinazione. Dunque c'è la divinazione." Oh, uomini acuti! Come credono che in poche parole l'affare sia bell'e sbrigato! Per giungere alla loro conclusione, dànno per accettate delle premesse nessuna delle quali vien data loro per buona. Si deve approvare la conclusione di un ragionamento solo se il problema controverso viene risolto partendo da premesse sicure.