Pillaus
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Versione originale in latino


Equidem sic arbitror, etiamsi multa fallant eos, qui aut arte aut coniectura divinare videantur, esse tamen divinationem; homines autem, ut in ceteris artibus, sic in hac posse falli. Potest accidere ut aliquod signum dubie datum pro certo sit acceptum, potest aliquod latuisse aut ipsum aut quod esset illi contrarium. Mihi autem ad hoc, de quo disputo, probandum satis est non modo plura, sed etiam pauciora divine praesensa et praedicta reperiri. Quin etiam hoc non dubitans dixerim, si unum aliquid ita sit praedictum praesensumque, ut, cum evenerit, ita cadat, ut praedictum sit, neque in eo quicquam casu et fortuito factum esse appareat, esse certe divinationem, idque esse omnibus confitendum.
Quocirca primum mihi videtur, ut Posidonius facit, a deo, de quo satis dictum est, deinde a fato, deinde a natura vis omnis divinandi ratioque repetenda.
Fieri igitur omnia fato ratio cogit fateri. Fatum autem id appello, quod Graeci e)imarme)nhn , id est ordinem seriemque causarum, cum causae causa nexa rem ex se gignat. Ea est ex omni aeternitate fluens veritas sempiterna. Quod cum ita sit, nihil est factum quod non futurum fuerit, eodemque modo nihil est futurum cuius non causas id ipsum efficientes natura contineat. Ex quo intellegitur ut fatum sit non id quod superstitiose, sed id quod physice dicitur, causa aeterna rerum, cur et ea, quae praeterierunt, facta sint et, quae instant, fiant et, quae sequuntur, futura sint. Ita fit ut et observatione notari possit quae res quamque causam plerumque consequatur, etiamsi non semper (nam id quidem adfirmare difficile est), easdemque causas veri simile est rerum futurarum cerni ab iis qui aut per furorem eas aut in quiete videant.

Traduzione all'italiano


Questo è, in verità, il mio parere: sebbene molte volte coloro che hanno fama di indovini esperti nell'osservazione dei segni o nella previsione del futuro cadano in errore, tuttavia la divinazione esiste; gli uomini, del resto, possono sbagliarsi in quest'arte, come in tutte le altre. Può accadere che un segno dato come dubbio sia interpretato come sicuro; può rimanere inosservato un segno, o un altro contrastante col primo. Ma per dimostrare la tesi che io sostengo è sufficiente che si accerti l'esistenza, nemmeno di una maggioranza di previsioni e predizioni avveratesi ma anche solo di una minoranza. Anzi, non esiterei a dire che, se un unico fatto qualsiasi è stato predetto e presentito in modo che, venuti al punto, si verifichi con esatta conformità alla predizione, né in questa coincidenza alcunché possa apparire dovuto al caso, la divinazione esiste senz'altro, e tutti devono ammetterlo.
Perciò mi sembra che, come fa Posidonio, ogni capacità e maniera di divinare debba essere fatta risalire innanzi tutto alla divinità (riguardo alla quale abbiamo già detto abbastanza), in secondo luogo al fato, in terzo luogo alla natura. Che tutto avvenga per determinazione del fato, la ragione ci costringe ad ammetterlo. Chiamo fato quello che i greci chiamano heimarménè, cioè l'ordine e la serie delle cause, tale che ogni causa concatenata con un'altra precedente produca a sua volta un effetto. Questa è la verità sempiterna, svolgentesi da tutta l'eternità. Stando così le cose, nulla è accaduto che non dovesse accadere, e del pari nulla accadrà le cui cause, destinate a produrre appunto quell'effetto, non siano già presenti nella natura. Da ciò si comprende che il fato è da concepire, non superstiziosamente ma scientificamente, come la causa eterna in virtù della quale le cose passate sono avvenute, le presenti avvengono, le future avverranno. Per questo, grazie all'osservazione, da un lato si può nella maggior parte dei casi indicare quale effetto risulterà da una data causa (nella maggior parte dei casi, non sempre, poiché un'affermazione così perentoria sarebbe arrischiata); d'altro lato, è verosimile che le medesime cause degli eventi futuri siano scòrte da coloro che hanno visioni in stato di esaltazione o in sogno.

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