Versione originale in latino
Sed quid aut plura aut vetera quaerimus? Saepe tibi meum narravi, saepe ex te audivi tuum somnium: me, cum Asiae pro consule praeessem, vidisse in quiete, cum tu, equo advectus ad quandam magni fluminis ripam, provectus subito atque delapsus in flumen nusquam apparuisses, me contremuisse timore perterritum; tum te repente laetum exstitisse eodemque equo adversam ascendisse ripam, nosque inter nos esse complexos. Facilis coniectura huius somnii, mihique a peritis in Asia praedictum est fore eos eventus rerum qui acciderunt. Venio nunc ad tuum. Audivi equidem ex te ipso, sed mihi saepius noster Sallustius narravit, cum in illa fuga nobis gloriosa, patriae calamitosa in villa quadam campi Atinatis maneres magnamque partem noctis vigilasses, ad lucem denique arte [te] et graviter dormitare coepisse; itaque, quamquam iter instaret, tamen silentium fieri iussisse [se] neque esse passum te excitari; cum autem experrectus esses hora secunda fere, te sibi somnium narravisse: visum tibi esse, cum in locis solis maestus errares, C. Marium cum fascibus laureatis quaerere ex te quid tristis esses, cumque te tu patria vi pulsum esse dixisses, prehendisse eum dextram tuam et bono animo te iussisse esse lictorique proxumo tradidisse ut te in monumentum suum deduceret, et dixisse in eo tibi salutem fore. Tum et se exclamasse Sallustius narrat reditum tibi celerem et gloriosum paratum, et te ipsum visum somnio delectari. Nam illud mihi ipsi celeriter nuntiatum est, ut audivisses in monumento Mari de tuo reditu magnificentissumum illud senatus consultum esse factum, referente optumo et clarissumo viro consule, idque frequentissimo theatro incredibili clamore et plausu comprobatum, dixisse te nihil illo Atinati somnio fieri posse divinius.
Traduzione all'italiano
Ma a che scopo continuare con altri esempi, ed esempi antichi? Spesso io ti ho raccontato un mio sogno, spesso me ne hai raccontato uno tuo. Io, quando ero, come proconsole, governatore della provincia d'Asia, vidi in sogno te che andavi a cavallo verso la riva di un gran fiume, ti slanciavi d'un tratto e, scivolato giù nel fiume, non ricomparivi più, mentre io, atterrito, ero preso da tremore. Poi, all'improvviso, tu riemergevi con aspetto lieto e, su quello stesso cavallo, risalivi l'altra sponda del fiume, e noi ci abbracciavamo. Era facile l'interpretazione di questo sogno, e in Asia gli esperti mi predissero ciò che poi in effetti accadde. Ed eccomi al tuo sogno: l'ho udito da te direttamente, ma ancor più spesso me l'ha narrato il nostro Sallustio. Quando, in quell'esilio glorioso per noi, rovinoso per la patria, tu ti trovavi in una casa di campagna del territorio di Atina e per gran parte della notte eri rimasto sveglio, verso l'alba, finalmente, ti abbandonasti ad un sonno greve e profondo. E sebbene il tempo stringesse, tuttavia Sallustio ordinò che si facesse silenzio e non permise che ti svegliassero. Quando poi ti svegliasti verso le otto del mattino, gli narrasti un sogno: ti era sembrato che, mentre vagavi mestamente in un luogo deserto, Gaio Mario, coi fasci ornati di alloro, ti domandasse perché eri addolorato; e avendogli tu detto che eri stato con la violenza cacciato via dalla patria, egli ti strinse la mano, ti esortò a star di buon animo, ordinò al littore più vicino a lui di condurti al tempio da lui fatto costruire e ti disse che in quello avresti trovato la salvezza. Sallustio narra di avere allora esclamato che il destino ti riserbava un ritorno prossimo e glorioso, mentre tu stesso apparivi rasserenato da quel sogno. Anche a me fu ben presto riferito che tu, quando apprendesti che nel tempio edificato da Mario era stata presa quella splendida decisione del senato sul tuo richiamo dall'esilio su proposta del console di allora, uomo eccellente e ragguardevolissimo, e che il decreto era stato accolto con incredibili grida di gioia e applausi dal popolo assiepato nel teatro, dicesti che nulla avrebbe potuto accadere di più presàgo di quel sogno che avevi avuto presso Atina.