Sistema di monitoraggio della carica per un autoveicolo elettrico a pannelli fotovoltaici
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INTRODUZIONE
Per ottenere la trasformazione dell’energia solare in elettrica si sfrutta quindi il
cosiddetto effetto fotovoltaico, ovvero si costruisce una grande giunzione P-N (il
pannello appunto che quindi altro non è che un diodo particolare), e quando un fotone
(una particella elementare di luce oppure un’onda elementare di radiazione luminosa)
colpisce tale giunzione può essere riflesso oppure assorbito ed in tal caso, se ha
sufficiente energia, la cede ad un elettrone spingendolo nella banda di conduzione e
creando quindi una coppia elettrone-lacuna (come accade in un diodo normale)
siccome nella giunzione per costruzione è presente un campo elettrico, l’elettrone e la
lacuna saranno spinte in direzioni opposte creando un flusso di carica e cioè una
corrente unidirezionale (si ricorda che per convenzione il verso della corrente è quello
delle cariche positive cioè delle lacune).
Quando il pannello si trova al buio si comporterà invece come un normale diodo
e quindi la caratteristica del pannello (I-V) è la seguente:
Figura 1.3 caratteristica di funzionamento di un pannello fotovoltaico
Il punto intersezione tra V e I è il punto di massima potenza generata (la
m m
caratteristica si sposta verso il basso all’aumentare della radiazione incidente) perciò la
cella viene in genere usata in conduzione inversa. V è la tensione a vuoto mentre I è
op sc
la corrente di cortocircuito, entrambe danno potenza nulla (perché per ognuno di
questi due valori la grandezza duale assume valore 0).
- 9 - INTRODUZIONE
Nella trazione elettrica per ottenere sempre la massima potenza dai pannelli si
sfrutta come anticipato un sistema MPPT che sfrutta un convertitore ad alta frequenza
di commutazione e un sistema di trasformatori.
Questo sistema che sfrutta un trasformatore flyback DC/DC consente di
“inseguire” il punto di massima potenza durante l’arco della giornata.
.
1.3 Vantaggi e svantaggi rispetto agli ICEV
I principali vantaggi degli autoveicoli elettrici sono:
• Una maggiore efficienza del motore elettrico rispetto al motore
endotermico (il primo ha in media un rendimento intorno al 90% mentre il secondo
può arrivare attorno al 25%); se però consideriamo, come sarebbe più corretto l’intero
processo di produzione dell’energia che va dalle materie prime fino alle ruote
dell’automobile si nota che il processo produttivo dell’energia elettrica è più lungo
rispetto a quello del combustibile (benzina o gasolio), quindi in linea generale questo
elevato rendimento è bilanciato in negativo dal basso rendimento delle centrali
elettriche che producono l’energia elettrica necessaria a far funzionare il motore (si
ricorda che in un sistema “in serie” il rendimento totale, essendo il prodotto dei singoli
rendimenti è più basso del più basso dei rendimenti stessi). Normalmente comunque
l’efficienza di un veicolo elettrico, anche considerando la produzione di energia alla
fonte è leggermente maggiore di quella di un veicolo a combustione interna.
- 10 - INTRODUZIONE
• La totale assenza di emissioni (anche sonore), infatti un motore elettrico
non emette gas di scarico di alcun tipo e quindi si considera che con la totale
elettrificazione degli autoveicoli il livello totale di anidride carbonica emessa
nell’atmosfera verrebbe dimezzato e quello di diossido d’azoto ridotto quasi a zero (gli
NO sono in parte responsabili del buco nell’ozono); tuttavia ci sarebbe da considerare
X
l’aumento di produzione di energia dalle
centrali termoelettriche che sono le più diffuse, ciò provocherebbe (visto che la
maggior parte delle centrali è a carbone) un aumento di emissioni di anidridi solforica
e solforosa,responsabili delle piogge acide, fatto tuttavia facilmente arginabile con
misure di controllo e che comunque non intacca la convenienza dei veicoli elettrici per
la salvaguardia dell’ambiente.
• Il minor costo (al kWh) dell’energia elettrica rispetto al costo (al litro) del
carburante, soprattutto vista la progressiva riduzione delle scorte di petrolio (restanti
per altri 50 anni circa) e alla loro concentrazione in poche zone del pianeta (soprattutto
nei Paesi della Lega Araba o OPEC). Senza contare anche il minor costo di
manutenzione del motore elettrico rispetto a quello endotermico (nel quale sono
presenti pistoni, glifi, ecc…). - 11 - INTRODUZIONE
I veicoli elettrici hanno però anche alcuni svantaggi che ne limitano
pesantemente l’utilizzo e la commercializzazione:
• Elevato costo di impianto, condizionato soprattutto dal pacco batterie, che è
molto più grande (e quindi anche più pesante di quello di un veicolo a combustione
interna), e in misura minore dal convertitore elettronico di potenza. Questo problema
si potrà risolvere una volta avviata la produzione di massa ma fino ad allora il costo di
un autoveicolo elettrico sarà maggiore.
•
• Bassa autonomia, che è forse il fattore più significativo, visto che le batterie
hanno un ciclo di scarica intorno alle 9-12 ore e pertanto è spesso necessario lasciare
l’autoveicolo in carica (tra l’altro per l’operazione è necessario utilizzare una presa
industriale) ed è poco pratico in caso di lunghi viaggi.
• Basse prestazioni, in termini di accelerazione, velocità di punta, numero di giri
e coppia del motore, rispetto ad un veicolo con motore endotermico, specie in salita.
• Mancanza di infrastrutture come stazioni “di rifornimento” per la carica delle
batterie e di ricambi facilmente reperibili per la parte elettronica di potenza del
veicolo. - 12 - INTRODUZIONE
.
1.4 L’autoveicolo Panda Elettra
Figura 1.4 autoveicolo Panda Elettra.
L’autoveicolo che sarà oggetto della tesi è la FIAT Panda Elettra, le cui
caratteristiche sono:
• Massa a pieno carico: 1300 kg
• Pacco batterie: 12 elementi da 6 V per un totale di 72 V. Le batterie originali
da 140 Ah al Piombo gel, sono state successivamente sostituite con modelli dello
stesso tipo ma da 210 Ah. - 13 - INTRODUZIONE
• Velocità di punta: 70 km/h e autonomia 80 km.
• Cambio a quattro rapporti (esclusa retromarcia).
Nel modello in esame sono stati aggiunti 4 pannelli fotovoltaici con le
caratteristiche seguenti e un sistema MPPT: .
1.4.1 Motori in c.c ad eccitazione serie
L’autoveicolo monta un motore in corrente continua con eccitazione in serie
della potenza di 9,2 kW il cui circuito equivalente è il seguente:
Figura 1.5 circuito equivalente di un motore in corrente continua ad eccitazione in serie.
- 14 - INTRODUZIONE
Come è noto dalla teoria questo tipo di motore sfrutta l’interazione tra il campo
magnetico generato dallo statore, che funge da induttore, e il campo magnetico di
armatura generato dal rotore nel quale convergono delle correnti prelevate dall’esterno
tramite un sistema di spazzole in carbonio che, strisciando su un collettore a lamelle
che ruota solidalmente al rotore, gli trasferiscono la corrente, al collettore sono poi
collegati gli avvolgimenti di rotore. La suddetta interazione genera una forza di
Lorentz e siccome sempre dalla teoria, per ogni conduttore in cui la corrente scorre in
un verso, ne esiste uno diametralmente opposto, in cui la corrente scorre in verso
opposto, si creeranno tante coppie di forze a due a due uguali e opposte che
manderanno in rotazione il rotore. Il campo elettrico che generato dall’eccitazione ha
la nota espressione:
E = K Φ n
Dove K è una costante della macchina, Φ indica il flusso di eccitazione e n è il
numero di giri al minuto del motore.
La coppia motrice generata dalla macchina ha invece l’espressione:
C = K
Φ I A
Dove si dimostra (tramite uguaglianza tra potenze) che K è uguale al precedente,
mentre I è la corrente di armatura.
A
Nel caso in esame il motore ha l’eccitazione in serie al circuito di armatura,
pertanto entrambi i circuiti sono percorsi dalla stessa corrente e si può dimostrare
matematicamente che la coppia erogata dalla macchina è inversamente proporzionale
alla velocità da essa assunta. Nel motore ad eccitazione in serie come si vede in figura
è possibile unificare tutte le resistenze dei due circuiti (eccitazione e armatura) in
un’unica resistenza totale, in particolare nella figura è visibile un reostato di
avviamento anch’esso in serie (che si può anche inglobare con la resistenza totale) che
serve per fornire alla macchina la coppia di spunto sufficiente a farla partire (dato che
la coppia è direttamente proporzionale alla resistenza di armatura bisogna che allo
in parallelo.
spunto essa sia posta al valore massimo), e un reostato di eccitazione R C
- 15 - INTRODUZIONE
In questo modo la potenza erogata dalla macchina (che essendo meccanica è il
prodotto tra la coppia e la velocità) rimane costante.
Proprio questa ultima caratteristica di questo tipo di motore ne consente un vasto
uso nella trazione elettrica, infatti la caratteristica meccanica di questa tipologia di
motori è la seguente:
Figura 1.6 caratteristica meccanica del motore ad eccitazione in serie.
In realtà la caratteristica è una iperbole che ha un asintoto orizzontale nell’asse x
e uno verticale per un valore negativo di velocità che è possibile calcolare.
Se ci troviamo in salita ad esempio il mezzo (nel nostro caso la Panda) rallenta
perché il terreno oppone una coppia resistente più elevata, e quindi dalla caratteristica
si vede che ci spostiamo in punti in cui i valori di coppia generata sono più elevati,
viceversa se siamo in discesa la reazione vincolare del terreno favorisce il moto del
mezzo che quindi accelera e nella caratteristica ci spostiamo in punti in cui la coppia è
più bassa in modo da mantenere costante la potenza meccanica e salvaguardare il
motore. - 16 - INTRODUZIONE
.
1.4.2 Chopper ad un quadrante
Il motore in corrente continua fornisce anche il vantaggio di essere facilmente
pilotabile tramite convertitori DC/DC ad elevata frequenza di switching come i
chopper.
Nel caso dell’autoveicolo Panda Elettra il pilotaggio del motore avviene
attraverso un chopper ad un quadrante detto così perché nel piano cartesiano che ha in
ascisse la corrente e in ordinate la tensione ci troviamo nel primo quadrante, cioè in
una zona in cui sia la tensione che la corrente sono positive (la macchina pilotata
funziona da motore). Il chopper montato sulla Panda utilizza dei transistor MOSFET
(Metal Oxide Semiconductor Field Effect Transistor) ma ne esistono di vario genere
come ad esempio ad IGBT (già citati in precedenza).
Lo schema circuitale del chopper a un quadrante (compreso del circuito
equivalente della macchina in c.c.) è il seguente:
S R L
V 1 E
V 2
Figura 1.7 schema circuitale del chopper ad un quadrante
- 17 - INTRODUZIONE
Dallo schema si nota la presenza di uno switch S che serve a rappresentare il
transistor di potenza, infatti la freccia indica il verso in cui il dispositivo permette il
passaggio della corrente. È presente anche un diodo in contrapposizione per consentire
il passaggio della corrente anche durante il periodo in cui lo switch è aperto.
Durante il periodo di chiusura dello switch (tale periodo è definito t ) la
on
che è continua,
corrente circola verso il motore a cui è applicata tutta la tensione V
1
infatti il diodo è polarizzato inversamente, in questo modo inoltre la corrente carica
l’induttanza e cresce (è molto importante che il periodo totale della commutazione,
somma del t e del t sia molto più piccolo della costante di tempo del circuito τ = R
on off
L perché in questo modo è possibile approssimare tale crescita con un andamento
lineare). Nell’istante di apertura (definito t ) il diodo è polarizzato direttamente e
off
lascia scorrere la corrente (generata dall’induttanza che si sta scaricando) nello stesso
verso in modo che la macchina continui a lavorare da motore, in questo caso la
tensione applicata alla macchina è la tensione ai capi del diodo che è trascurabile.
Tutto questo avviene migliaia di volte al secondo (ad esempio il chopper della
Panda ha una frequenza di switch, che è l’inverso del periodo, di 16,7 kHz), con
l’effetto di far arrivare alla macchina una tensione praticamente costante di valore
medio: =δ V essendo δ= t /t il duty cycle del sistema
V 2 1 on off
La corrente che otterremo ha invece un valore medio pari a:
I = δ V /R
2 1
Essa presenterà anche una ondulazione residua (o ripple) definita come la
differenza tra il picco massimo e il minimo di corrente ad ogni periodo, che assume un
valore pari a: ( )
δ δ
V . . 1 − .
T
1
∆I = dove T =t +t è il periodo di commutazione.
2 on off
L - 18 - INTRODUZIONE
In genere per motori di grosse dimensioni, con costante di tempo meccanica
molto maggiore di quella elettrica questo ripple non sortisce alcun effetto ma per
motori più piccoli esso comporta un ripple di coppia e quindi può provocare
oscillazioni.
In definitiva è possibile modificare il valore medio della tensione applicata alla
macchina e della corrente che ne percorre l’armatura (e quindi modificare coppia e
velocità) agendo sul Duty Cycle, nel caso della Panda ciò avviene premendo il pedale
dell’acceleratore, il quale è fondamentalmente un potenziometro da 5 kΩ che fornisce
una tensione proporzionale all’angolo del quale si sposta il pedale. Questa tensione
viene poi inviata ad un PWM (Pulse width modulation) che la confronta con una onda
triangolare (la portante) e fornisce all’uscita un impulso positivo, se la tensione
modulante (cioè quella che arriva dal pedale) è maggiore della portante e negativo in
caso contrario. Gli impulsi che escono dal PWM andranno a pilotare i gate dei 16
MOSFET che compongono il chopper del veicolo.
- 19 - INTRODUZIONE
Di seguito è riportato uno schema elettrico semplificato del sistema Motore-
Convertitore dell’autoveicolo: A D +72V
2 2
A D B+
1 1
MOSFET DR
PWM Dbody
B-
0
POTENZIOMETRO
5KΩ
Figura 1.8 schema elettrico semplificato del convertitore presente sulla Panda Elettra.
Nello schema si nota la presenza di un secondo diodo denominato diodo di
recupero (DR) che serve per l’inversione della corrente in caso di frenata per
recuperare parte dell’energia spesa durante la stessa mantenendo però la macchina in
c.c. nel funzionamento da motore. Per fare questo il sistema sfrutta 4 teleruttori, in
modo che nella condizione di marcia in avanti 2 di essi siano chiusi e gli altri due
siano aperti, mentre in frenatura le posizioni si invertono e tramite il diodo DR circola
una corrente di verso opposto anche se il chopper è ad un solo quadrante.
- 20 - INTRODUZIONE
.
1.5 Cenni sulle batterie al piombo
Come accennato in precedenza il pacco batterie originale della Panda Elettra era
composto da 12 batterie da 6V e da 140 Ah al piombo-acido e sono poi state sostituite
con batterie da 210 Ah, questa tipologia di accumulatori utilizza elettrodi in Piombo
(catodo) e come elettrolita acido
spugnoso (anodo) e diossido di piombo PbO 2
solforico in soluzione acquosa (H SO ) in quantità di 4,5 mol/l.
2 4
Figura 1.9 Spaccato di una batteria al Piombo-acido.
Siccome la differenza di potenziale tra anodo e catodo in una pila di questo tipo
è di 2 V in ogni batteria sono presenti 3 elementi in serie per fornire i 6 V.
Normalmente è presente anche una lega di Piombo allo scopo di inibire l’elettrolisi
dell’acqua perché essa produce Idrogeno e Ossigeno provocando pericolo di
esplosioni.
Più in particolare nella fase di scarica la reazione anodica di ossidazione (si
definisce così una reazione chimica che porta ad un aumento del numero di
ossidazione del reagente principale) è la seguente:
+ -
4-
Pb + HSO -> PbSO + H + 2e
4 - 21 - INTRODUZIONE
La struttura anodica è, come detto, altamente porosa al fine di aumentare la
2 per Ah di capacità della batteria.
superficie di contatto dei reagenti a circa 150 m
Man mano che procede la fase di scarica la resistenza interna degli elettrodi
aumenta sia per la formazione di solfato di piombo (PbSO ) sia per il progressivo
4
consumo di acido solforico che comporta una riduzione di ioni liberi portatori di
carica.
La reazione catodica è:
4-
+ -
PbO + 3H + HSO + 2e -> PbSO + 2H O
2 4 2
Essa è una reazione di riduzione in quanto il reagente principale vede abbassarsi
il suo numero di ossidazione.
Infine la reazione complessiva della scarica (reazione di ossidoriduzione o
redox) è la seguente:
PbO + Pb + 2H SO -> 2PbSO + 2H O
2 2 4 4 2
Durante la carica invece avvengono le reazioni inverse di queste, e cioè il solfato
, Pb e H SO a patto di fornire tensione alla batteria
di piombo è riconvertito in PbO
2 2 4
in senso inverso a quella erogata, le reazioni che avvengono in questo caso sono:
− −
+ −
PbSO + 2 H O → PbO + 4 H + SO + 2 e all’anodo
4 2 2 4
− −
−
PbSO + 2 e → Pb + SO al catodo
4 4
2 PbSO + 2 H O → Pb + PbO + 2 H SO complessiva
4 2 2 2 4
Normalmente le batterie al piombo acido sono dette anche ad elettrolita libero
perché l’acido è libero di scorrere all’interno della batteria con il rischio di fuoriuscita
dello stesso, altro fattore negativo per queste tipologie di accumulatori è il fatto che
nonostante le precauzioni prese si ha comunque la formazione di Idrogeno e Ossigeno
quando la batteria si avvicina alla massima carica e ancora di più quando è
- 22 - INTRODUZIONE
sovraccarica (ecco perché in genere si cerca di non superare il limite convenzionale
è un composto molto poco solubile in acqua e
dell’80% di carica). Infine il PbSO 4
quindi si rischia, quando la batteria è eccessivamente scarica (o è scarica per molto
tempo), che si formino dei veri e propri grumi bianchi (visibili bene anche a occhio
nudo) che se troppo grossi non si riesce a riconvertire nei reagenti originali neanche
fornendo energia elettrica alla batteria.
Molto più efficienti da questo punto di vista sono le batterie al piombo-gel, nelle
quali l’elettrolita non è liquido ma gelificato e perciò non è libero di muoversi
all’interno della batteria, oppure è intrappolato in un setto assorbente.
Figura 1.10 batteria VRLA (Valve regulated sealed lead-acid) al piombo-gel.
- 23 - INTRODUZIONE
Nella figura seguente mostriamo invece il pacco batterie posteriore
dell’autoveicolo Panda Elettra:
Figura 1.11 Vano batterie posteriore dell’autoveicolo Panda Elettra.
- 24 - I MODELLI IN SIMULINK DI MATLAB
Capitolo II
PROVE SPERIMENTALI .
2.1 Il sistema di acquisizione NI compact RIO
Il termine cRIO sta per compact Reprogrammable Input Output, il che vuol dire
che l’apparecchio è un sistema riprogrammabile (tramite il software LabVIEW Real-
Time 8.5) di acquisizione, ma anche di controllo. Data la sua struttura compatta e
robusta in ghisa, è particolarmente adatto alle applicazioni Real-Time anche in
condizioni di lavoro gravose (ad esempio nel caso della trazione elettrica, in cui è
soggetto a vibrazioni), in un range di temperatura che va da -40 a 70°C.
È composto di tre parti principali:
Il processore centrale
•
• Lo chassis con gli alloggiamenti per i vari moduli per l’interfaccia con il
sistema da controllare.
I moduli di input e output analogici o digitali
• - 25 - PROVE SPERIMENTALI
Il cRIO utilizzato per l’esperimento è visualizzato in figura:
Figura 2.1 vista del I cRIO.
Nella foto sono stati evidenziati il processore centrale (a destra), lo chassis (in
basso) e il modulo di acquisizione ni 9205 della National Instruments alloggiato nello
chassis del cRIO (a sinistra). - 26 - PROVE SPERIMENTALI
.
2.1.1 Il processore centrale NI cRIO 9014
Figura 2.2 processore centrale del I cRIO
Il cRIO 9014 è il cuore dell’intero sistema e ha una memoria volatile DRAM da
128 MB e una non volatile da 2 GB e può essere connesso al computer che lo pilota
tramite connessione Ethernet, tramite porta seriale RS232, oppure tramite USB 2.0.
Esso inoltre supporta i protocolli di connessione TCP/IP, UDP, Modbus/TCP per
condividere dati con il PC tramite il classico sistema del Client/Server ma anche i
protocolli HTTP e FTP.
La porta USB 2.0 può eventualmente essere utilizzata per collegare al sistema
una memoria supplementare come ad esempio una memoria flash o un hard disk
esterno.
Il processore può essere poi connesso a qualsiasi chassis a 4 o 8 slot della serie
NI cRIO 901x, il cui sistema FPGA integrato controlla ciascun modulo I/O ad esso
collegato e trasferisce i dati al processore tramite un bus dedicato.
Il processore utilizza un sistema operativo LabVIEW Real-Time (VxWorks),
che consente di assemblare e configurare rapidamente il sistema cRIO per
l’applicazione desiderata. - 27 - PROVE SPERIMENTALI
.
2.1.2 Lo chassis
Figura 2.3 chassis del I 9014.
Esso è anche un sistema di controllo integrato FPGA (field-programmable gate
array), da collegare al processore del cRIO fornendo la possibilità di comunicare con
un massimo di 8 moduli di input e output (analogici o digitali) ma portando a 20 W il
consumo della macchina (normalmente sarebbe 6 W). .
2.1.3 Il modulo di acquisizione analogica NI 9205
Figura 2.4 moduli di acquisizione serie C della ational Instruments.
- 28 - PROVE SPERIMENTALI
Si tratta di un modulo di acquisizione analogica di tensione della serie C della
National Instruments a 32 canali di acquisizione Single Ended (cioè con massa
comune) oppure 16 canali differenziali (il motivo per cui abbiamo scelto di utilizzare
questo modulo è proprio il fatto di avere dei canali differenziali, meno sensibili al
rumore e che consentono un circuito di collegamento più semplice). Ha una
risoluzione di 16 bit, un Sample Rate (frequenza di campionamento) di 250 kS/s
(kiloSamples/second) e un range di tensione selezionabile tra ±200 mV, ±1 V, ±5 V e
±10 V (che è il range scelto da noi perché va bene per le batterie che non superano i 7
V ma ci costringe per i pannelli fotovoltaici che hanno tensione di circa 17 V ad usare
dei convertitori LEM di tensione). Il modulo ha i terminali isolati da terra e consente
connessioni tramite D-SUB (che però riduce il range di tensione) oppure con uno
Spring Terminal come è stato fatto nel nostro caso.
Il collegamento con lo chassis avviene invece tramite una porta seriale posta
nella parte inferiore del modulo stesso.
Il circuito di input di un canale del modulo si può schematizzare nel modo
seguente:
Figura 2.4 circuito di input di un canale dell’I 9205 in modalità differenziale.
. - 29 - PROVE SPERIMENTALI
Da esso si evince che le acquisizioni vengono muxate e mandate ad un
amplificatore differenziale prima di passare all’ADC vero e proprio (analogic-digital
converter) che lo manda poi allo chassis e quindi al processore della macchina. Il
piedino COM serve per la misura in RSE (Referenced Single-Ended) cioè per
utilizzare tutti i 32 canali per eseguire misure prendendolo come riferimento, mentre il
piedino AISENSE serve ad eseguire misure di tipo NRSE (Non-Referenced Single-
Ended) che invece utilizza il piedino AISENSE come comune il quale corrisponde al
negativo dell’amplificatore fornendo quindi un segnale meno soggetto al rumore.
Il collegamento tra i moduli e lo chassis avviene tramite porta seriale posta nella
parte interna inferiore dello chassis.
2.2 Programmazione del sistema di acquisizione per la
.
Panda
Per pilotare e programmare le apparecchiature della National Instruments, la
stessa ha realizzato il software LabVIEW che consente con una intuitiva interfaccia
grafica e senza conoscere linguaggi di programmazione dedicati di eseguire anche le
operazioni più complesse disponendo delle librerie dedicate a ciascun componente
(non solo il cRIO, che utilizza le librerie Real-Time 8.5, ma anche ad esempio i
moduli Field Point già utilizzati in passato, oppure ancora i sistemi NIDAQ, e altro
ancora).
Una simulazione o una acquisizione/controllo in LabVIEW, viene realizzato in
file con estensione .vi (Virtual Instruments), i quali sono composti di due parti
principali:
• Il Front Panel
Il Block Diagram Panel
•
Il primo è il pannello che è asservito al controllo e alla visualizzazione dei
risultati dell’esperimento utilizzando manopole virtuali, led e oscilloscopi o diagrammi
di vario genere (incluse tabelle e matrici). Il suo funzionamento è del tutto simile al
software Control Desk di pilotaggio della dSPACE.
- 30 - PROVE SPERIMENTALI
Il secondo è invece un ambiente grafico molto simile all’applicazione Simulink
di MATLAB con la possibilità quindi di creare uno schema a blocchi dell’operazione
che si vuole far eseguire al programma, creando anche strutture complesse (ad
esempio una struttura retroazionata o una condizionata, cioè quella che in
programmazione si definisce un “IF”) e anche di salvare le forme d’onda in varie
tipologie di file (dai file di misura .lvm fino anche alle spreadsheet di Excel o ai file di
tipo .zip) o anche di caricare eventuali forme d’onda già acquisite e salvate in passato.
Prima di poter installare il software del sistema operativo del cRIO nella
macchina bisogna stabilire una comunicazione tra la macchina stessa e il computer che
la pilota. Dato che per collegare il PC con la macchina abbiamo utilizzato un cavetto
di rete RJ45 abbiamo utilizzato il classico protocollo ethernet. Per realizzare la
connessione ethernet (di cui il PC sarà il server e il cRIO sarà il client) si è utilizzato il
Project Explorer, un componente facente parte del Measurement and Automation
Explorer (MAX) che consente di pilotare le apparecchiature NI. Nella figura seguente
si può vedere il Project Explorer.
Figura 2.5 Schermata principale del Project Explorer
Per prima cosa si deve impostare la connessione ethernet stabilendo l’indirizzo
IP (internet protocol) del cRIO (qui identificato come RT Target). Il cRIO deve avere
un indirizzo IP con lo stesso Subnet Mask del computer, ad esempio se l’indirizzo IP
del computer è 255.127.15.3 quello del cRIO deve essere 255.127.15.x dove x è un
numero da 1 a 255. - 31 - PROVE SPERIMENTALI
Una volta seguita questa procedura il cRIO si riavvierà e sarà visibile nel menu
ad albero come RT Target. A questo punto è possibile installare il sistema operativo
nella memoria della macchina direttamente dal menu del Project Explorer e seguire le
istruzioni a schermo. A questo punto è stato possibile installare il modulo NI9205
semplicemente alloggiandolo nel suo slot e aggiungendolo nel menu ad albero del
Project Explorer. Abbiamo poi configurato il modulo appena aggiunto in modo da
farlo funzionare in modalità differenziale e settando il range di tensione a ±10 V.
Tutti i VI che si trovano all’interno del sottomenu RT CompactRIO Target sono
stati caricati in automatico all’interno della memoria della macchina al momento della
compilazione del progetto. In particolare quello che è stato denominato FPGA.vi è
stato caricato nello chassis (cioè nell’FPGA) e quello denominato Host.vi è stato
caricato nel processore centrale (cioè nel RT Target). Mentre il file Salvataggio.vi si
trova (e agisce) nella memoria del computer.
La parte più semplice del codice è l’FPGA.vi che consiste solo di un blocco per
acquisire le grandezze dai piedini del modulo NI9205.
Figura 2.6 Block Diagram del file FPGA.vi
- 32 - PROVE SPERIMENTALI
I collegamenti tra i vari blocchi vengono chiamati dal software “wires” cioè cavi
o conduttori. In figura si vede la schermata del Block Diagram del file. Tutto ciò che si
trova all’interno della cornice grigia (struttura while) viene attivato nel momento in cui
si avvia l’esperimento e spento premendo il pulsante STOP evidenziato in basso a
destra , oppure premendo il pulsante rosso di arresto generale del VI (la National
Instruments consiglia di usare questo metodo solo in caso di errore grave
nell’esecuzione del VI). Il grande blocco viola a sinistra serve da riferimento nel
software per il modulo che si sta utilizzando (i nomi dei piedini del modulo sono
indicati come uscite del blocco con la dicitura AIx dove AI sta per analogic input e x
indica il numero del piedino). Come si vede, anche in modalità differenziale in uscita
dal blocco ci sono tutti i 32 canali. I blocchetti in blu sono degli indicatori numerici,
ciascuno collegato ad un canale.
Tramite questi indicatori numerici il codice in Real-Time (cioè quello che risiede
nel processore del cRIO) legge l’acquisizione dall’FPGA (espressa in bit) e ce la
restituisce. Il modulo NI9205 ha un suo fattore di scala interno espresso in µV/LSB
variabile in funzione del range di tensione scelto e che nel nostro caso è di 328 questo
vuol dire che per ogni bit restituito dai canali del modulo, esso misura 328 µV.
- 33 - PROVE SPERIMENTALI
La parte più complessa del codice è rappresentata dall’Host.vi che non può
essere avviata prima di aver compilato e avviato la parte in FPGA perché fa
riferimento agli indicatori numerici di cui si è parlato prima.
Figura 2.7 Block Diagram relativo al file Host.vi
Il blocco Millisecond Multiple in basso a destra collegato ad un controllore
numerico di colore blu serve ad eseguire il down sampling, ovvero, invece di far
campionare il modulo alla frequenza di 250000 campioni al secondo, è possibile
impostare tramite il controllo numerico un tempo di attesa tra un campionamento e il
successivo (espresso in multipli di un millisecondo) per ridurre la frequenza di
campionamento. Il blocco in alto a sinistra con la dicitura FPGA Target RIO0 è il
riferimento agli indicatori numerici dell’FPGA.vi.
- 34 - PROVE SPERIMENTALI
Il blocco rosa con un simbolo di occhiali e con l’indicazione di tutti i canali di
acquisizione del modulo serve leggere e restituirci le forme d’onda acquisite dal
modulo che verranno mostrate come uscite del blocco stesso. Essendo in modalità
differenziale alcuni piedini sono considerati come positivi e altri come negativi (per
l’ordine dei piedini abbiamo fatto riferimento al manuale di istruzioni del modulo NI
9205), per ottenere i segnali reali ricavati dai 16 canali differenziali al segnale in uscita
bisogna quindi fare la differenza tra il segnale in uscita dal piedino positivo e quello in
uscita dal negativo. I 16 segnali ottenuti sono stati poi inviati ad un blocco “merge
signals”, che ha un funzionamento simile al multiplexer presente in Simulink cioè
unisce i segnali per far si che si possano “muovere” utilizzando solo un collegamento.
L’insieme dei segnali così ottenuto è stato mandato a dei blocchi che servono da
guadagno con la possibilità anche di dividere i segnali per il guadagno invece di
moltiplicarli (è infatti presente uno switch che consente di commutare ta il prodotto e
la divisione). Dopodichè il segnale è inviato ad un oscilloscopio virtuale per essere
visualizzato nel front panel del file. Nel sistema è presente anche un blocco con la
dicitura Delay Time che serve a rallentare l’acquisizione di un fattore che si può
imporre dall’esterno, ad esempio perché la visualizzazione delle forme d’onda è
troppo rapida e può risultare difficile da osservare. È stato aggiunto anche un blocco
Elapsed Time che funge da cronometro resettabile eventualmente usando un
interruttore. È presente anche un filtro passa basso di tipo Butterworth (il blocco con la
dicitura filter) allo scopo di rimuovere le armoniche superiori e migliorare la qualità
del segnale acquisito.
Infine si possono notare dei blocchi con un simbolo “?!”, il primo (quello con le
frecce) serve a unire gli errori generati dai blocchi a cui è collegato, mentre il secondo
serve a generare un messaggio in caso di errore in uno dei due blocchi (messaggio
visualizzabile nel Front Panel e che descrive l’errore).
- 35 - PROVE SPERIMENTALI
Il Front Panel del file Host.vi è visibile nella figura seguente:
Figura 2.8 Front Panel del file Host.vi
Nella schermata in figura si può vedere al centro lo “schermo” dell’oscilloscopio
virtuale con i canali suddivisi ognuno con un proprio asse dei tempi e un proprio asse
delle ampiezze. A destra si può vedere il messaggio di errore che quando non ci sono
errori è vuoto mentre quando il file è stoppato presenta l’aspetto che ha in figura. A
sinistra sono visibili le barre e gli interruttori con cui è possibile controllare
l’acquisizione, impostando ad esempio il guadagno e il tempo di attesa tra i
campionamenti.
La terza ed ultima parte del codice LabView realizzato per l’acquisizione è come
detto l’unica presente esclusivamente nella memoria del PC (gli altri file si trovano
anche nella memoria del cRIO e lavorano in essa).
- 36 - PROVE SPERIMENTALI
La necessità di salvare su file di misura (che Labview genera come file con il
suffisso .lvm) ci ha portato alla creazione del file Salvataggio.vi infatti per il fatto che i
file Host.vi e FPGA.vi lavorano nella memoria del cRIO se si tenta di salvare le
misurazioni direttamente dall’host, essi vengono salvati nella memoria interna non
volatile del cRIO rimanendo inaccessibili se non tramite un Browser restando
comunque inutilizzabili per i nostri scopi. Per poter salvare i file nell’Hard Disk del
PC bisogna per prima cosa creare tramite il Project manager una variabile condivisa
(che il software salverà sottoforma di libreria con il suffiso .lvl) dopodiché in Host.vi
tramite il blocchetto con al suo interno la scritta “Acquisizione” (che è il nome della
variabile condivisa creata) si dice al programma di scrivere il segnale acquisito nella
variabile condivisa e quindi nel file Salvataggio.vi con un blocco analogo gli si dice di
leggere dalla variabile condivisa.
Il Block Diagram del file Salvataggio.vi è visibile in figura seguente:
Figura 2.9 Block Diagram del file Salvataggio.vi
- 37 - PROVE SPERIMENTALI
Come si vede il file è molto semplice essendo presente il blocco analogo a
quello presente nell’Host.vi (con la dicitura Acquisizione) tramite il quale il file legge
dalla variabile condivisa i segnali acquisiti e li manda al blocco “Write to
Measurement File” che consente di salvare il tutto come file del tipo .lvm. Sono
presenti anche un blocchetto che ci restituisce il percorso (impostabile) dove viene
creato il file, e un indicatore che rivela se e quando sta avvenendo il salvataggio e
anche un interruttore che abilita il salvataggio (nel caso ci siano momenti in cui non ha
senso salvare i dati ad esempio se la Panda Elettra dovesse restare parecchio tempo
ferma nel traffico). La prossima schermata mostra il Front Panel del file
Salvataggio.vi:
Figura 2.10 Front Panel del file Salvataggio.vi
Utilizzando il nuovo software LabVIEW Real-Time 8.6 della National
Instruments invece della versione 8.5 utilizzata da noi, sarebbero stati sufficienti solo
il codice in Host e quello sul PC, infatti il nuovo software fornisce la possibilità di
acquisire le grandezze direttamente dal Real-Time senza programmare l’FPGA, questo
grazie alla nuova caratteristica introdotta con questa nuova versione e che è chiamata
cRIO Scan Mode, tramite la quale direttamente in Real-Time, l’host individua,
riconosce e configura i canali di acquisizione (fino ad un massimo di 8) dei moduli
presenti nel sistema senza la necessità di programmarli in FPGA, ma con una
frequenza di campionamento non superiore ad 1kHz (più che sufficiente per i nostri
scopi) velocizzando la procedura di programmazione del sistema, in quanto non
richiede la lenta procedura della compilazione.
- 38 - PROVE SPERIMENTALI
.
2.2 Costruzione e cablaggio del sistema sulla Panda Elettra
Si è detto in precedenza che per la ricarica delle batterie e per l’implementazione
dell’algoritmo MPPT per l’inseguimento del punto di massima potenza dei pannelli
fotovoltaici si sono utilizzati quattro convertitori flyback che erano già stati realizzati,
questi servono infatti perché i pannelli fotovoltaici sono 4 a tensione di 16,9 V nel
punto di massima potenza, mentre le batterie hanno una tensione massima di 8,5 V e
sono in numero di 12, perciò i convertitori non fanno altro che distribuire la corrente in
arrivo dai pannelli, nelle batterie, riducendo nel contempo la tensione e cercando
soprattutto di bilanciare la carica delle batterie, caricando maggiormente le batterie che
si sono scaricate di più, e cercando di far lavorare i pannelli sempre al loro punto di
massima potenza così da ottenere sempre la massima corrente possibile. I quattro
convertitori saranno inseriti all’interno di una scatola di policarbonato in cui abbiamo
montato una guida DIN miniaturizzata che ci è servita per costruire una morsettiera
DIN utilizzando dei connettori modulari. La scatola che abbiamo realizzato è visibile
in figura:
Figura 2.11 Fotografia della scatola per i convertitori.
- 39 - PROVE SPERIMENTALI
Sono visibili anche i 4 pressacavi che abbiamo inserito nella scatola.
I convertitori utilizzati sono composti, come più volte anticipato, da due parti
fondamentali:
• Il Microcontrollore MPPT
Il trsformatore flyback con i raddrizzatori al secondario.
•
Lo schema a blocchi è mostrato in figura:
Figura 2.12 Schema a blocchi di uno dei convertitori Flyback utilizzati nell’autoveicolo.
Gli algoritmi MPPT non fanno altro che fornire ai pannelli un carico variabile in
funzione dell’irraggiamento solare in modo che il prodotto V x I dei pannelli (e cioè la
loro potenza) resti costante e pari al valore massimo. Per questo tipo di operazioni
sono utilizzati principalmente i convertitori dc/dc ad elevata frequenza di switching, in
quanto capaci di variare agevolmente la tensione in uscita agendo sul Duty-Cycle.
Il compito del microcontrollore nel sistema è proprio quello di modificare il
Duty-Cycle del convertitore, e per fare ciò utilizza un algoritmo di tipo P&O
(Perturbate and Observe), ovvero si perturba il sistema e si osserva la risposta a tale
perturbazione, in questo modo si può prevedere la perturbazione successiva.
- 40 - PROVE SPERIMENTALI
Il procedimento è visibile in figura:
Figura 2.13 Funzionamento dell’algoritmo MPPT utilizzato.
In pratica, come nello schema a blocchi ciascun convertitori ha un ingresso e tre
uscite, in questo modo la regolazione di ogni pannello viene realizzata
indipendentemente dagli altri e quindi con maggiore facilità e precisione.
I convertitori di tipo flyback consentono l’equalizzazione della carica delle
batterie senza alcun intervento esterno ed in modo totalmente automatico. Infatti, è
noto che la batteria il cui SOC (State of Charge) è più basso fornirà ai suoi capi una
tensione più bassa, perciò il diodo ad essa collegato avrà un potenziale catodico più
basso rispetto agli altri e siccome il potenziale anodico è costante perché dato dal
trasformatore, il suddetto diodo avrà ai suoi capi una tensione diretta maggiore rispetto
agli altri, ma allora lascerà passare una corrente maggiore verso la batteria, che così si
caricherà più velocemente e tenderà ad assumere il SOC delle altre, a quel punto la
tensione diretta sul diodo si riduce perché il potenziale catodico è aumentato, e quindi
la corrente fatta passare dal diodo diminuisce portandosi allo stesso valore delle altre.
- 41 - PROVE SPERIMENTALI
All’autoveicolo è stato praticato un foro nel tettuccio in cui è stato inserito un
connettore circolare da pannello a 8 vie a cui è stato saldato un cavo a 8 poli che è
stato collegato alla morsettiera DIN e che servirà da collegamento tra i pannelli che
sono montati sul portapacchi e la scatola dei convertitori che invece si trova all’interno
del veicolo.
Un altro connettore (complementare a quello inserito sul veicolo) è stato invece
saldato al cavo a 8 poli che è collegato ai 4 pannelli (in questo modo per disconnettere
i pannelli sarà sufficiente disconnettere il connettore).
Sono stati praticati anche 2 fori nel cassone delle batterie posteriori per poter
prelevare le tensioni delle batterie (siccome sono in serie è stato sufficiente portare
fuori solo 11 conduttori perché il morsetto negativo di una batteria coincide con il
positivo della batteria precedente) per riportare indietro le tensioni delle due batterie
anteriore invece si sono sfruttate le prese d’aria del cofano anteriore e della
ventilazione dell’abitacolo per far passare solo 2 conduttori evitando in questo modo
di praticare altri fori.
Nella fotografia seguente è mostrato il particolare del connettore inserito nel
tetto del veicolo:
Figura 2.14 particolare del connettore circolare da pannello inserito nel tettuccio della
Panda Elettra. - 42 - PROVE SPERIMENTALI
Di seguito è mostrato invece il bagagliaio del veicolo, in cui è alloggiato il vano
batterie posteriore:
Figura 2.15 Vano batterie posteriori dell’autoveicolo.
È visibile il cavo a 8 poli che scende dal connettore sul tetto, i cavi che escono
dal cassone metallico delle batterie e due cavi neri che arrivano dall’abitacolo. I cavi
sono stati numerati in ordine crescente da 0 (massa, di colore blu) a 12 a seconda del
punto che si è prelevato (più alto è il numero del conduttore, più “lontano” sarà quel
punto dalla massa) - 43 - PROVE SPERIMENTALI
2.3 Esecuzione delle misurazioni
Per esigenze di tempo non è stato possibile eseguire misure sull’autoveicolo in
moto così si sono eseguite delle misurazioni collegando uno dei quattro pannelli
all’ingresso di uno dei due convertitori e tre batterie da 6 V ciascuna all’uscita dello
stesso, in modo da simulare il reale funzionamento all’interno del veicolo quando
questo è fermo. Il pannello è stato poi lasciato al sole affinché erogasse potenza.
Le tre uscite del convertitore sono state inviate direttamente a 3 canali
differenziali del modulo NI 9205 mentre per quanto riguarda l’ingresso è stato
necessario utilizzare un partitore resistivo da 100 kΩ che riducesse la tensione ad un
terzo (la corrente di ingresso del modulo è di 100 pA ma esso ha una resistenza di
ingresso da 10 GΩ che risulta in parallelo al partitore perciò non è stato necessario
utilizzare resistenze molto elevate).
Nella figura seguente è visibile il convertitore flyback che è stato utilizzato per
la prova :
Figura 2.16 Convertitore flyback utilizzato nella misurazione
L’ingresso del convertitore è contrassegnato dal connettore di colore arancio, in
cui si intravede anche il partitore resistivo che è stato realizzato, mentre le uscite che
sono collegate alle batterie sono i connettori neri con i fusibili.
- 44 - PROVE SPERIMENTALI
Nella figura che segue invece è mostrato il pannello fotovoltaico che è stato
utilizzato per la prova.
Figura 2.17 Pannello fotovoltaico utilizzato per la misura.
- 45 - PROVE SPERIMENTALI
2.4 Risultati delle misurazioni
La prova è stata realizzata lasciando il pannello esposto alla luce del sole nel
periodo di tempo compreso tra le 13:00 e le 17:30 ed eseguendo in tempo reale le
acquisizioni delle tensioni in ingresso, in uscita e la corrente che scorre all’ingresso del
convertitore in modo da ricavare la potenza erogata.
Nelle schermate seguenti sono mostrate le forme d’onda ottenute dalle
acquisizioni:
Figura 2.18 tensioni alle 3 batterie nel periodo di tempo considerato.
Le tensioni sono costanti dato che l’aumento di carica conseguente all’utilizzo
del convertitore flyback è esiguo per via della relativamente breve durata della prova e
per la poca intensità dell’irraggiamento che è stato possibile captare.
È da rilevare la presenza di un lieve ripple (che in figura è stato accentuato dalla
scala utilizzata per l’asse delle ordinate) dovuto probabilmente a cariche elettrostatiche
presenti nell’atmosfera o alle piccole variazioni della temperatura durante le
misurazioni. - 46 - PROVE SPERIMENTALI
Nella figura seguente è invece mostrata la tensione all’ingresso del convertitore
ovvero quella del pannello:
Figura 2.19 Tensione in ingresso al convertitore.
Come si vede la tensione è parecchio incostante a causa del poco e discontinuo
irraggiamento che non ha consentito al convertitore di far raggiungere al pannello il
suo punto di lavoro.
Si notano tratti in cui la tensione crolla fino ad un valore di poco più di 3 V,
corrispondenti ai punti in cui si è captato il minimo irraggiamento, tratti in cui si arriva
intorno agli 8 V e tratti dove si raggiungono al massimo 10-12 V. In particolare si nota
il tratto finale in cui la tensione scende rapidamente fino a fermarsi a 3 V perché da
quel momento in poi il pannello non era più esposto al sole.
- 47 - PROVE SPERIMENTALI
In figura seguente è mostrata la corrente erogata dal pannello durante le prove:
Figura 2.20 corrente che scorre all’ingresso del convertitore.
La corrente è stata ricavata indirettamente dalla misurazione della tensione ai
del convertitore utilizzato ed è affetta da errori per la difficoltà con cui
capi della R sense
è stata ricavata, tra l’altro si è iniziato a riportare la misura da un certo istante in poi
perché prima di questo non si erano trovati valori attendibili.
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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher arthas86 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Electrical machines e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Catania - Unict o del prof Cacciato Mario.
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