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2. STORIE DI SCUOLA DA UN’ITALIA LONTANA

2.1 STRUTTURA DELL’OPERA

Storie di scuola da un’Italia lontana è una raccolta di contributi ed interventi che

Raicich ha dedicato alle varie questioni della scuola italiana tra ‘800 e ‘900.

Il volume è uscito postumo quasi dieci anni dopo la scomparsa dell’autore, il

tutto grazie al lavoro di Simonetta Soldani che raccolse i vari saggi come da

volere dello stesso Raicich che, appena dieci giorni prima della propria morte,

lasciò scritto nelle sue disposizioni di raccogliere i suoi ultimi scritti in un volume

elencando sommariamente anche i testi che avrebbero dovuto farne parte.

Simonetta Soldani scrisse la prefazione al volume e curò la struttura dell’opera;

pur non rimanendo fedelissima ai suggerimenti dell’autore, decise di inserire i

saggi La maestra di campagna, La morte educante, L’educazione delle donne

all’indomani dell’Unità e altri interventi minori tenuti da Raicich negli anni

Ottanta. Sono stati invece omessi alcuni brevissimi testi che erano apparsi sulla

rivista Belfagor nei primi anni Ottanta e la Recensione al Catalogo della libreria

Italiana dell’Ottocento apparsa su Passato e Presente nel 1993.

Il libro è strutturato in tre parti: una prima sezione intitolata Nello specchio della

scuola primaria dedicata a problematiche inerenti l’ambito dei primi anni di

istruzione elementare e dove trova spazio il saggio inedito La maestra di

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campagna, testo molto significativo per comprendere il grado di arretratezza

dell’Italia pre 1860 e il ruolo subalterno delle maestre; La morte educante in cui

l’autore va a toccare una tematica alquanto sentita nella scuola elementare

ottocentesca come quella della morte e Scuola e lingua materna: le minoranze

di frontiera nell’Italia liberale in cui Raicich interviene sulle problematiche

riguardanti le diversità linguistiche e le collegate discriminazioni dei popoli di

frontiera.

La seconda sezione: Una nazione culturale alla prova è incentrata sulle vicende

della scuola secondaria con un occhio vigile sulla crisi della cultura classica,

crisi approfondita in saggi come Itinerari della scuola classica dell’Ottocento e

Hillebrand: scuole e università d’Europa a confronto.

Infine la terza sezione è una sorta di appendice che raccoglie una serie di brevi

interventi riguardanti le più disparate questioni, sono presenti testi autobiografici

come i ricordi dello stesso Raicich adolescente ne Il Collegium Tarsici a Fiume

(1938-1943) o riflessioni su temi caldi come l’attrito secolare tra Stato e Chiesa

all’indomani della Revisione del Concordato.

Storie di scuola da un’Italia lontana presenta una varietà nelle tematiche e nei

modi in cui esse sono state trattate nonché nei registri linguistici, ma tutto

riconducibile ad un filo conduttore rintracciabile nella cultura e nell’istruzione nei

suoi più disparati aspetti.

Lo stile dei vari saggi cambia così come sono eterogenee le fonti di cui Raicich

si è servito. L’autore ha utilizzato fonti storiche ufficiali come quelle dell’inchiesta

Scialoja, ma anche fonti letterarie come testi di Cantù, Settembrini, Serao, o

diari come quello della figlia di Alessandro D’Ancona, morta a soli tredici anni, o

ancora fonti scaturite dai propri labili ricordi di gioventù. Raicich è riuscito ad

addentrarsi, nelle sue ricerche, fino all’analisi di carteggi ufficiali attraverso dati

statistici, relazioni di Ministri, di ispettori o provveditori ma, d’altro canto, non si

è sottratto dall’analizzare minuziosamente anche epistolari o pagine profonde

come quelle di Matilde Serao o attraverso la suggestiva citazione di fatti di

cronaca come il suicidio della maestra Italia Donati, a cui più volte si rifà

l’autore nei propri interventi.

Ricorda Simonetta Soldani, nella sua preziosa prefazione a Storie di scuola da

un’Italia lontana, che la maggior parte dei testi raccolti nell’opera erano stati

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scritti fra la metà degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta, poco prima

della scomparsa dell’autore, e appartenenti tutti al periodo successivo alla

conclusione dell’esperienza di Raicich come direttore del Gabinetto Vieusseux

e al venir meno di ogni possibile riforma della scuola secondaria in cui così a

lungo Raicich aveva sperato e a cui aveva dedicato gran parte della sua attività

pubblica sia nelle vesti di uomo politico sia nelle vesti di direttore del Gabinetto

Vieusseux.

Raicich sperava in un ammodernamento del sistema, in un rinnovamento che

aveva lasciato ben sperare negli anni Settanta ma che si era poi arenato .

3. IL MONDO DELLA SCUOLA PRIMARIA E LA CONDIZIONE DELLA

DONNA NELL’ITALIA POST UNITARIA

La prima sezione di Storie di scuola da un’Italia lontana si focalizza su alcuni

punti riguardanti la scuola primaria al tempo dell’unità d’Italia, con alcune

digressioni al periodo preunitario e alcuni approfondimenti, che saranno più

volte ripresi nell’intero volume, sulla condizione della scuola dopo l’impresa di

Garibaldi.

Raicich in queste pagine si sofferma principalmente sul ruolo degli insegnanti,

sulla loro formazione assai precaria e spesso culturalmente inadatta ma

soprattutto si sofferma su una categoria di persone chiamate a svolgere il ruolo

di docenti delle prime scuole elementari: le donne.

Raicich nel corso delle sue innumerevoli ricerche e delle sua carriera di

studioso ha cercato in più modi di avvicinarsi all’universo femminile in chiave

scolastica rendendosi presto conto di quanti pochi studi fossero stati condotti

sulla questione.

Alla fine dell’Ottocento, ma anche oltre, l’istruzione consentita alle donne era

assai scarsa: il percorso di studi non era ancora omologato e non lo sarebbe

stato fino al dopo guerra e successivamente con l’avvento della media unica

che avrebbe anche garantito una uniformità sostanziale nei programmi

scolastici riservati ad ambo i sessi. 4

Si è sempre parlato poco dell’aspetto della cultura e della formazione delle

donne in Italia, donne chiamate a ricoprire il ruolo di maestre ma che spesso

non avevano i requisiti per istruire i fanciulli. Donne che loro stesse non

avevano potuto istruirsi se non attraverso una cultura basata solo ed

esclusivamente sui cosiddetti lavori donneschi, stessa istruzione che tali

insegnanti dovevano impartire alle bambine delle scuole primarie le quali erano

spesso e volentieri dispensate dalle disquisizioni di grammatica a favore di

pratiche prettamente sartoriali quali il ricamo, il cucito o il rammendo.

La scuola primaria post unitaria altro non era per le fanciulle che un luogo dove

imparare piccoli lavoretti che avrebbero garantito loro la possibilità di diventare

buone madri di famiglia e, nel caso di una vedovanza, di poter assicurarsi la

possibilità di sopravvivere sul fronte economico. A volte accadeva che, mentre

le bambine si adopravano a compiere queste attività, l’insegnante leggesse loro

qualche testo di grammatica ma in linea di massima le scolare non venivano

istruite in tal senso tanto che si ritrovavano alla fine del ciclo di studi a saper a

mala pena leggere senza essere in grado tuttavia di scrivere alcunché.

Le stesse insegnanti non erano incentivate a coltivare la propria istruzione,

spesso queste educatrici non erano in grado di insegnare altro che lavori di

ricamo ma così era sufficiente in quanto la società non richiedeva altra

istruzione al il sesso femminile. E laddove, come accadeva nelle campagna,

fosse stato necessario creare classi miste spesso le maestre erano chiamate

ad un lavoro straordinario dovendo insegnare ai fanciulli durante la mattina e

alle bambine nelle ore pomeridiane, ormai spossate dall’aver gestito una classe

maschile, sovente tutt’altro che rispettosa, per tutta la mattinata.

Da tutti questi punti si evince quanto fosse difficile la vita della donna ancora

dopo l’unificazione.

Ma quale era nello specifico la condizione delle maestre?

Oltre al fatto, già citato, della loro insufficiente formazione in chiave didattica, le

condizioni di vita ed economiche erano pressoché insostenibili. Lo stipendio di

un insegnante era molto basso tanto che non era nemmeno sufficiente al

proprio sostentamento. Ancor più nel caso delle maestre queste ultime erano

sottopagate rispetto agli uomini di pari ruolo a tal punto che molte di loro

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vivevano in abitazioni fatiscenti e rischiavano di morire di stenti, cosa che non

era molto rara all’epoca.

Il primo saggio dell’opera, La maestra di campagna, approfondisce

minuziosamente l’argomento dell’insegnamento femminile sottolineando come

la figura della maestra non avesse ancora avuto nella storiografia sociale uno

spazio adeguato, perfino dal punto di vista semantico la parola maestra non

aveva mai raggiunto il significato nobile del corrispondente maschile, tale

vocabolo era spesso stato declinato con valore spregiativo, quale persona di

mente ristretta, ottusa e pedante.

Per molto tempo, per troppo tempo, la figura della donna insegnante non aveva

avuto la giusta collocazione; ricorda Raicich quando Guido Mazzoni nel 1911

rispondendo ad una inchiesta sul femminismo giudicava che « il più grande

fatto del secolo XIX fosse stato l’affidamento alle donne della scuola primaria».

Ancora dopo l’Unità il mestiere dell’insegnante di scuola elementare era un

ruolo di subordine, tale compito era stato largamente affidato alle donne in

quanto, dati i bassi salari a volte nemmeno erogati, gli uomini in tempi migliori

si erano buttati a capofitto su attività più redditizie come quelle nella Pubblica

Amministrazione, e quindi non restava altro che affidare le cattedre vacanti a

coloro le quali non potevano aspirare ad altro mestiere.

Nel saggio viene approfondita e scandagliata la vita di una tipologia di

insegnante ancor più precaria: la maestra rurale che, maggiormente rispetto

alle colleghe più fortunate che operavano nelle città, doveva sopportare non

solo precarietà economica ma anche e soprattutto vessazioni tali da implicare

grossi problemi a livello psicologico.

La maestra doveva operare in zone remote del Regno, il più delle volte lontano

se non lontanissima dal proprio luogo natio, quindi già inquadrata come

straniera e in più portatrice di un sapere visto come minaccia delle tradizioni e

della mentalità che la straniera non poteva comprendere né interpretare. E,

così, spesso queste donne venivano discriminate, emarginate e costrette a

vivere in una lacerante solitudine o addirittura accusate di comportamenti

moralmente deplorevoli. &Egrav

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
13 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eliprato83 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Polimeni Giuseppe.