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Y

descrive le componenti del prezzo corrisponde a quello che viene chiamato come metodo del “full-cost

pricing” o metodo del mark-up. Qui la decisione del prezzo P del prodotto viene presa cercando di coprire

innanzitutto il costo unitario variabile V, cercando di coprire di coprire i costi unitari medi fissi, e cercando di

 

aggiungere un certo margine per l’imprenditore. Il valore è un valore arbitrario e deciso

dall’imprenditore a priori; ad esempio si può decidere che su ciascun prodotto venduto sia applicato un

ricarico del 10% che costituirà la redditività dell’impresa.

Per la decisione di prezzo questo è sicuramente il metodo più semplice, siccome è la semplice somma di tre

addendi; tuttavia il metodo prevede la necessità che sia definito a priori la quantità target che si spera sia

venduta (quello che prima era 80% CP). Questo perché il CUMF non è un valore certo: esso infatti è un valore

che dipende necessariamente dai volumi di vendita che saranno realizzati. Dunque, si parte da dati certi, che

;

sono i dati di costo, e si parte anche da un certo valore predefinito che costituisce la redditività tuttavia

non è detto che questi dati ex-post si confermino. Il problema infatti sta all’interno dei CUMF: non appena si

raggiunge il volume target che ci si era prefissati inizialmente, il CUMF non sarà più quello, ma sarà un altro

valore. Per esempio, ipotizziamo di vendere al 60% della CP. In questa situazione accade che avevo ipotizzato

un CUMF, ma invece me ne ritrovo uno più alto. Quindi ecco che il margine di redditività che si era deciso

fosse del 10%, non sarà più 10% perché verrà eroso; dunque andrà parzialmente a coprire i costi fissi.

Quindi, anche se in questo ragionamento la domanda di mercato non viene considerata (si ipotizza solo lo

sfruttamento della CP), di fatto ex-post non potrò prescindere da quello che sarà l’andamento della

domanda di mercato, e l’effettivo volume realizzato. Quindi, fare queste simulazioni per capire

eventualmente la redditività desiderata ha un certo significato e una sua importanza, tuttavia tutte queste

analisi non tengono in considerazione la domanda di mercato. Questo rende quindi inadeguato basare le

decisioni di prezzo solo mediante questo approccio. Infatti, vi è necessità di tenere conto del valore generato

per il cliente. Vedremo infatti più avanti una serie di approcci che ci consentono di passare da un’analisi

interamente basata sui costi ad una analisi che sia in qualche modo basata sulla domanda di mercato, e

quindi sulla disponibilità a pagare del consumatore.

Tuttavia, l’approccio cost-based non è completamente inutile, siccome è l’approccio più logico da cui partire

per prendere le decisioni di prezzo, dal momento che è un approccio che parte dai dati più certi che sono

quelli di costo. L’utilità dell’approccio cost-based consiste comunque nel determinare il “prezzo base” al di

sotto del quale non risulta ragionevole mantenere un prodotto sul mercato. In realtà non dovremmo parlare

di un prezzo base, ma di due di prezzi base: data la distinzione tra costi fissi e costi variabili, è possibile

identificare due orizzonti temporali diversi rispetto al quale andare ad ottimizzare il prezzo, ovvero il breve e

il lungo periodo. Ovvero, nel breve termine il limite inferiore del prezzo (cioè il prezzo base nel breve

termine) corrisponde ai costi variabili: nel breve termine posso concedere degli sconti ad alcuni clienti, ma

nella misura in cui il prezzo non scenda al di sotto del costo variabile di produzione, in modo comunque da

realizzare un margine positivo (nel breve termine devo andare a coprire almeno i costi variabili). Ciò può

andare bene nel breve termine, ma nel lungo termine è necessario andare a coprire anche i costi fissi; per

questo motivo è necessario che nel lungo periodo vengano coperti oltre ai costi variabili, anche i costi fissi.

Ovviamente nel lungo termine è necessario vendere ad un prezzo che consenta in più di ottenere una

redditività positiva.

Per capire il precedente concetto facciamo un esempio: immaginiamo il caso di un hotel. Ora ipotizziamo che

esso sfrutti mediamente la sua capacità produttiva al 60% (mediamente nell’arco di un anno 60 camere su

100 sono occupate, mentre le altre 40 sono vuote); tale valore indica chiaramente quali siano le quantità

vendute. Ora ipotizziamo che in bilancio si sia stimato un CUMT di 110 euro a camera, e supponiamo che si

sia stimato un costo variabile di 20 euro per camera (quello che viene chiamato costo marginale quotidiano).

Come vediamo il costo variabile V è relativamente molto basso se confrontato con il CUMT. Ovviamente se

vogliamo determinare il CUMF (costo unitario medio fisso) sottraiamo dal CUMT il valore del costo variabile

V. Il CUMF sarà quindi di 90. Da questi due dati definiamo quindi dei prezzi di riferimento per il lungo e per il

breve periodo. Cioè, il prezzo base per il lungo periodo è rappresentato da 110, ovvero i costi fissi unitari (90)

più i costi variabili unitari. Tale somma consente ci consente di essere quantomeno al pareggio quando si

mantiene questo tasso di occupazione del 60%. Il prezzo base per il breve periodo invece è rappresentato da

20, cioè i soli costi variabili unitari. Ciò sta a significare che se nel breve termine ho delle camere a

disposizione potrebbe convenirmi fare degli sconti e abbassare il prezzo addirittura sino a 20. Cioè, piuttosto

che lasciare invenduta una camera, che non mi frutterebbe alcun guadagno, mi conviene piuttosto accettare

il cliente last minute, e dagli la camera anche solo a 25 euro, siccome almeno 5 euro in più di margine li

faccio. Questa logica giustifica nel breve termine anche delle politiche di prezzo molto variabili. La presenza

di costi fissi unitari molto alti è quella che poi condiziona tutte le strategie di prezzo a livello alberghiero. Per

quanto riguarda la gestione di breve termine, in alcuni periodi dell’anno in cui si è sicuri che non si

riempiranno tutte le stanze (eccesso di offerta rispetto alla domanda), si può pensare di abbassare i prezzi

sino ad un limite determinato dalla base inferiore di breve termine che è proprio di 20 euro. Ora, nella logica

di gestione dei prezzi, si dovrà tener conto che nel lungo periodo, se da un lato sono state vendute delle

stanze a un prezzo molto basso, ci dovranno essere dei periodi che andranno a compensare questi prezzi

molto bassi. Dunque, ci saranno dei periodi nell’arco di un anno in cui le camere sono vendute a un prezzo

maggiore di 110, in modo che oltre a coprire i costi variabili, siano coperti i costi fissi, che nell’esempio son

una parte preponderate dei costi. Come abbiamo in alcuni esempi, conta molto poi il momento nel quale si

prenota: la capacità limitata i termini di numero di camere a disposizione determina oltre ai costi effettivi (i

costi variabili e i costi fissi) determinerà dei “costi opportunità” legati all’accettare o meno una determinata

prenotazione. Dunque, è vero che nel breve termine posso vendere anche a 25 / 30 euro, ma nel momento

in cui quella camera è stata venduta, non è più disponibile per un altro cliente che magari potrebbe essere

disposto a pagare di più. Dunque, è chiaro che nel momento in cui l’hotel ha tante prenotazioni non avrà

senso abbassare il prezzo (conviene tenerlo alto), anche perché in questo modo ci si adatta ad un approccio

value-based (ci si adatta alla disponibilità a pagare dei clienti), se ho tante potenziali prenotazioni, posso

permettermi di accettare solo quei clienti che sono disposti a pagare un prezzo più alto. Questo poi mi darà

lo spazi per abbassare i prezzi nel momento in cui ho una bassa domanda e devo poi riempire le camere, che

se non vendute non andrei poi a sfruttare.

Relazione prezzi-volumi e redditività

In precedenza, abbiamo parlato della relazione costi-volumi, e abbiamo parlato dell’approccio che si basa sui

costi. Abbiamo poi definito dei prezzi base di riferimento nel breve e nel lungo periodo che si basano sui

costi (rispettivamente costo variabile unitario e costo unitario medio totale). Ora introduciamo la relazione

prezzi-volumi, che finora abbiamo trascurato: abbiamo ipotizzato un volume target, ma non ci siamo

soffermati sull’effetto che il prezzo ha eventualmente sui volumi. È chiaro che a parità di caratteristiche del

prodotto è logico attendersi che una modifica del prezzo comporti anche una modifica dei volumi di vendita.

Una riduzione di prezzo tendenzialmente andrà a dare uno stimolo alla domanda, e viceversa. Ciò che

possiamo chiederci è: quand’è che una variazione di prezzo comporta un miglioramento della redditività ?

Dunque, qui non definiamo ex-novo un livello di prezzo, ma immaginiamo di partire da una situazione già

esistente, di un prodotto già esistente, e immaginiamo di analizzare gli attuali volumi e gli attuali volumi, e gli

attuali costi; ci chiediamo poi sulla base di queste informazioni se sarebbe opportuno ritoccare il prezzo,

modificandolo verso l’alto o verso il basso. Ergo, ragioniamo in termini di variazione di prezzo, sulla base di

un prezzo già esistente. Una riduzione di prezzo avrà senso applicarla solo se il numero di clienti che

andiamo a ottenere grazie a quello stimolo alla domanda sarà sufficientemente alto. Viceversa, un aumento

di prezzo avrà senso se, a fronte di quell’aumento di prezzo si perdono relativamente pochi clienti.

Cerchiamo ora di quantificare l’ammontare di questi effetti: cerchiamo di capire a fronte di una variazione di

prezzo quanti clienti dovrò aggiungere, o al massimo posso perdere. Ad esempio, ci si chiede quale sia il

livello accettabile di riduzione della quantità venduta se il prezzo aumenta del 20%; oppure, ci si chiede

quale sia il target minimo di aumento delle vendite necessario se il prezzo viene ridotto del 20%. Per fare

questa analisi partiamo da un esempio numerico, e immaginiamo di avere un nostro prodotto con l’attuale

prezzo che è pari a P = 100, con costi variabili unitari di V = 60, con costi fissi totali pari a CFT = 300.000, e con

una quantità venduta pari a Y = 10.000. Con questi dati è abbastanza immediato andare a calcolare per

esempio il margine di contribuzione totale del prodotto, o ad esempio la sua redditività. Nella fattispecie, il

margine di contribuzione totale è pari a: (100 – 60) * 10.000 = 400.000, e dove il solo margine di

contribuzione unitario è quindi pari a (100 – 60) = 40; per quanto riguarda la redditività, essa è pari a (100 –

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A.A. 2008-2009
155 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/08 Economia e gestione delle imprese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dangelotiberio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia e gestione delle imprese e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Piemonte Orientale Amedeo Avogadro - Unipmn o del prof Krengli Marco.