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Nei film per la televisione di durata superiore a 45 minuti è consentita una sola interruzione

per ogni periodo di 45 minuti, ma è autorizzata un'ulteriore interruzione se la durata del

programma supera di almeno 20 minuti due o più periodi completi di 45 minuti.

Telegiornali, giornali radio e notiziari di qualsiasi genere non possono essere sponsorizzati.

➢ Principio di trasparenza nel settore radiotelevisivo:

Nel settore radiotelevisivo vi è l'obbligo di rendere riconoscibili pubblicità e televendite,

distinguendole nettamente dal resto della programmazione attraverso l'uso di mezzi di

evidente percezione inseriti all'inizio e alla fine della pubblicità o televendita. È vietato

diffondere comunicazioni commerciali radiotelevisive con una potenza sonora superiore a

quella ordinaria dei programmi. I messaggi pubblicitari non possono essere presentati dal

conduttore del programma in corso nel contesto dello stesso. La pubblicità non può fare

richiamo a persone che presentano regolarmente i telegiornali.

➢ Divieti:

è vietata la pubblicità dei medicinali disponibili unicamente con ricetta, delle sigarette e di

ogni altro prodotto a base di tabacco. La pubblicità delle bevande alcoliche deve seguire

determinate regole: divieto di rivolgersi espressamente ai minori, di collegare il consumo

di alcolici a prestazioni fisiche di particolare rilievo, di indurre a pensare che le bevande

alcoliche possiedano qualità terapeutiche, stimolanti o calmanti.

6. L'autodisciplina pubblicitaria

• Origini, finalità e struttura del Codice di Autodisciplina della Comunicazione

commerciale

La prima edizione del Codice risale al 12 maggio 1966 a seguito della firma di un accordo tra

l'UPA (Utenti Pubblicità Associati), la FIP (Federazione Italiana Pubblicità), la FIEG (Federazione

Italiana editori e giornali) e la RAI; nel corso degli anni ha subito delle sostanziali modifiche.

Le norme di autodisciplina vengono emanate dagli operatori del settore a cui poi loro stessi

dovranno sottostare, non dallo Stato, sebbene le regole in esso contenute coincidono quasi sempre

con quelle emanate dallo Stato. Il codice è vincolante anche per tutti gli operatori che non

appartengono agli enti già associati, grazie alla “clausola di accettazione” presente nei contratti

standard di pubblicità. Va inoltre ricordato che il regolamento dell'autodisciplina è considerato “uso

–22–

e consuetudine” da parte di molte camere del commercio.

L a finalità del Codice è quella di assicurare che la pubblicità, nello svolgimento del suo ruolo

particolarmente utile nel processo economico, venga realizzata come servizio per il pubblico, con

speciale riguardo alla sua influenza sul consumatore.

La struttura del codice è la seguente: 46 articoli distinti in sei Titoli:

 Regole di comportamento

 Norme particolari

 Organi e loro competenza

 Norme procedurali e sanzioni

 Tutela delle creazioni pubblicitarie

 Pubblicità sociale

• Gli organi di autodisciplina: Comitato di Controllo e Giurì

 Comitato di controllo: su segnalazione dei consumatori, loro associazioni o direttamente

per ragioni di monitoraggio, sottopone al Giurì la pubblicità ritenuta non conforme alle

norme che tutelano il consumatore e la pubblicità. Il comitato, senza interessare il Giurì, può

invitare direttamente ed in via preventiva a modificare la pubblicità che ritiene

contrastante con il Codice, può emettere “ingiunzioni di desistenza” nei confronti di

pubblicità manifestamente contrarie alle norme della disciplina. Il Comitato, interpellato,

p u ò esprimere giudizi in maniera preventiva sulla conformità al Codice di messaggi

pubblicitari non ancora diffusi.

 Giurì: esamina la pubblicità che gli viene sottoposta e si pronuncia su di essa con decisione

definitiva. Qualora ritenga che la pubblicità è contraria al codice, ordina agli interessati di

desistere immediatamente dalla sua diffusione. In caso di inosservanza dei suoi

provvedimenti, il Giurì dispone che si dia adeguatamente notizia del fatto al pubblico.

7. La disciplina del sistema radiotelevisivo

• Il periodo pre-repubblicano e la “riserva statale”

Il sistema delineato dalla legge del 2010 subì un profondo mutamento durante il regime fascista. Si

confermo innanzitutto la riserva dello stato all'attività radiofonica e si procedette al rilascio di una

concessione in esclusiva ad un'unica società l'URI (Unione Radiofonica Italiana), la cui

maggioranza degli azionisti doveva essere di nazionalità italiana, e cittadini italiani dovevano essere

oltre i ¾ del personale direttivo, amministrativo ed esecutivo.

Veniva vietata la trasmissione di notizie che non fossero preventivamente approvate dall'agenzia

Stefani, l'agenzia governativa e, nel 1927, venne potenziato il controllo governativo. Venne fondato

un nuovo ente, l'EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e successivamente ricondotto

all'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), gestore di tutte le partecipazioni dello stato.

Vennero ulteriormente rafforzati i controlli governativi: con la presenza di quattro membri di

nomina governativa nel consiglio d'amministrazione e l'assenso del Governo sulle nomine di

vertice, continuando con l'approvazione del piano annuale delle trasmissioni.

Questo assetto venne confermato nel 1936 con il codice postale che, con l'art.1, ribadì il principio

di riserva statale di tutti i servizi di telecomunicazione.

–23–

• Il monopolio della RAI e l'intervento della Corte costituzionale

La RAI nacque nel 1924 con la denominazione URI, frutto della fusione della società Radiofonica

di Marconi e la SIRAC; assume nel 1928 la denominazione EIAR e solo dal 1944 il nome RAI,

radio audizioni italiane e nel 1954 RAI radiotelevisione italiana.

Nel 1960, la società “Il Tempo – TV” chiede al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni di poter

avviare un servizio di radiodiffusione su frequenze non interferenti con le altre stazioni televisive, al

fine di diventare la prima alternativa alla RAI. La risposta fu negativa, e la società decise di

intraprendere un'azione legale attraverso il Consiglio di Stato, sostenendo che il monopolio statale

fosse incostituzionale. La Corte Costituzionale, con la sentenza 59/1960 sostenne il provvedimento

del Ministero sostenendo che “a causa della limitatezza dei canali utilizzabili, i servizi

radiotelevisivi se non fossero riservati allo Stato, cadrebbero nella disponibilità di uno o pochi

soggetti, prevedibilmente mossi da interessi particolari”; in realtà la Corte temeva che potesse

nascere un oligopolio privato, inidoneo ad assumere una posizione obiettiva ed imparziale.

Quasi 10 anni dopo, la medesima Corte dovette affrontare la questione radiotelevisiva in forza di

ben 16 ordinanze aventi come oggetto la presunta incostituzionalità del monopolio statale. Pur

confermando il monopolio statale, la Corte constatò l'esigenza di una legge contenente il riassetto

del sistema televisivo, la quale nello sforzo di soddisfare l'espressione di un maggiore pluralismo

informativo da parte del servizio pubblico avrebbe dovuto adottare due principi fondamentali:

 gli organi direttivi dell'ente pubblico o privato non avrebbero dovuto rappresentare

espressione del potere esecutivo;

 i programmi di informazione avrebbero dovuto essere ispirati a criteri di imparzialità e

quelli culturali avrebbero potuto rispecchiare tutte le correnti di pensiero presenti nel paese.

• La legge n. 103/1975

La legge in oggetto ha istituito la Commissione parlamentare bicamerale di vigilanza RAI con

il fine di esercitare un incisivo controllo sull'attività del servizio pubblico televisivo e radiofonico

nazionale.

Pur aprendo il settore al mercato concorrenziale ha ribadito la “riserva statale” ovvero

l'impossibilità da parte dei privati di inserirsi in questo sistema in virtù della rilevanza che esso

assume nei confronti della collettività e con il fine di soddisfare l'interesse generale, le esigenze di

obiettività, imparzialità e completezza e continuità in tutto il territorio nazionale nell'esercizio della

trasmissione di notizie di programmi, servizio che solo lo Stato può garantire.

Nella seconda metà degli anni Settanta, iniziarono a moltiplicarsi emittenti private che

trasmettevano a livello locale, anche se prive di autorizzazione: data i numerosi giudizi penali la

Corte, con la sentenza 202/1976, pur riconoscendo la legittimità del monopolio statale per la

trasmissione a livello nazionale, ne riconosce l'illegittimità a livello locale. Tale sentenza stimolò

il legislatore a a formulare una nuova legge idonea ad innovare il sistema radiotelevisivo fissando le

condizioni per consentire l'autorizzazione all'esercizio della trasmissione a livello locale. È con

questa sentenza che si rompe ufficialmente il monopolio totale di cui la RAI aveva goduto dal

secondo dopoguerra.

• La legge Mammì

La legge richiesta da parte della Corte Costituzionale non venne mai promulgata, portando in breve

tempo imprese televisive locali a raggiungere dimensioni nazionali, grazie allo stratagemma della

syndacation. –24–

Nella prima metà degli anni '80 il Tribunale di Roma tentò di impedire ai tre gruppi Mediaset (al

tempo Fininvest) e alle reti ad esse collegate di trasmettere a livello ultra-locale con qualsiasi mezzo

di collegamento, sia esso via cavo o etere. La Corte Costituzionale, però, constatando che

l'oligopolio era ormai diventato realtà, ipotizzò l'abbandono della riserva statale su scala

nazionale, purché vi fosse un equilibrio di risorse tra i diversi settori dell'informazione e vi fosse

un sistema in grado di garantire il massimo pluralismo informativo.

L'era del duopolio era già in essere, sebbene il polo privato mancava di copertura legale. Questa

arrivò con la legge Mammì: prima legge organica di sistema che l'ordinamento italiano abbia avuto

nella realtà radiotelevisiva.

Nel dettaglio:

 Art. 1: la legge riconosce l'interesse generale della diffusione di programmi radiofonici o

televisivi;

 Art. 2: distingue fra pluralismo interno, ossia l'apertura a diverse opinioni, tendenze,

culture, e pluralismo esterno, ingresso del mercato di diversi players mediante il concorso

di soggetti pubblici e privati, consentendo l'ingresso di quante più voci possibili permettano

i mezzi tecnici;

 Art. 3: contiene il piano nazionale di ripar

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A.A. 2018-2019
30 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher filipix95 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto della comunicazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Bonini Monica.