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Stagirita dei principi intrinseci della sostanza, per cui ogni realtà sensibile, qualunque corpo
osservabile in natura, è sempre composta da materia e forma.
Al tempo stesso, poiché la materia non può darsi senza la forma, è impossibile assistere ad
una corruzione senza una generazione, e viceversa. Questo fatto dimostra anche che materia e forma
risiedono per intero nella costituzione della sostanza corporea, pertanto rappresentano due principi
assolutamente interdipendenti, in un certo senso complementari, quindi indivisibili.
Ecco tracciata una prima esposizione di quello che si suole definire come ilemorfismo
aristotelico, esposto con maggiori dettagli nei libri della Metafisica.
C’è però da aggiungere che per Aristotele la materia prima è un principio potenziale reale,
proprio perché sostrato o soggetto del mutamento, e contiene in sé l’attitudine a farsi plasmare da
una perfezione attuale. D’altro canto, la forma sostanziale è il principio a fondamento della sostanza
individuale, cioè dunque attuale per eccellenza. Esso è immanente alla sostanza, la dota di natura
attuale. Stando così le cose, la forma sostanziale non è altro che l’atto della materia prima ed è unica
per ciascuna sostanza corporea.
Accanto ai concetti di materia e forma, principi intrinseci della sostanza individuale appunto,
vanno chiariti almeno due dei modi di essere degli enti: essere come atto ed essere come potenza.
Mentre atto per Aristotele è sinonimo di perfezione ed ha assoluta priorità e superiorità sulla
potenza, la potenza – ossia quel modo di essere che non è dato, ma che è capacità reale di essere in
atto – si conosce proprio riportandola all’atto corrispondente (es. la potenza di cadere rispetto alla
caduta). Inoltre, non può darsi passaggio dalla potenza all’atto se prima non vi sia qualcosa già in
atto, così come qualsiasi potenza raggiunge il suo fine e la sua perfezione solo quando giunge
all’atto.
In estrema sintesi, si può affermare che la sostanza è in primo luogo ogni individuo concreto
(uomo, capra, albero, sedia, ecc.) a cui si riferiscono delle proprietà che lo caratterizzano. È quindi
un sinolo, una unione di due elementi: materia (hyle) e forma (eidos). La forma è la “natura” propria
di una cosa, è ciò che la rende quella che è e la distingue dalle altre; è dunque la sua “essenza”, il
suo significato fondamentale, il suo “essere dell’essere”. La materia è invece ciò di cui una cosa è
fatta, ciò di cui è composta (ad esempio, un uomo è fatto di carne ed ossa; una sedia è fatta di legno,
ecc.); un elemento passivo che viene strutturato, dalla forma, nel senso che è la forma che rende ad
esempio l’uomo animale razionale, mentre la materia sarà il corpo dell’uomo. Entrambe, però, la
materia e la forma, sono necessarie per fare una sostanza: non può esistere un uomo senza il corpo
(materia), né l’anima (forma) senza il corpo. Collegandoci con quanto detto in precedenza, la
materia è dunque potenza mentre la forma è atto (entelechia).
1. 2. Gli esseri che sono nell’universo
Per Aristotele, come dicevamo, in natura assistiamo alla presenza di innumerevoli e svariati
enti in continuo e differenziato movimento. Questo movimento può derivare da impulsi esterni
oppure risultare autonomo, ossia è l’ente stesso specifico che realizza una sorte di automovimento
in funzione di un orizzonte proprio naturale.
In questa varietà di mutamenti che caratterizzano l’universo, con i suoi principi e le sue
strutture, lo Stagirita individua e classifica tre tipi di esseri, quelli inanimati, quelli animati senza
ragione, e gli esseri animati e dotati di ragione (l’uomo).
Quel che qui ci interessa trattare è appunto l’ultimo elemento di questa classificazione, ossia
l’essere vivente per eccellenza, colui che è al vertice della classifica, l’uomo. Aristotele, tra i vari
trattati che dedica agli esseri animati – ossia quegli enti che muovono se stessi in ordine al proprio
bene - all’uomo riserva quello celebre De Anima nel quale fornisce una prima differenziazione tra
gli essere inanimati e gli esseri animati. Cioè, egli dice, questi ultimi – oltre a non essere mossi per
mezzo di impulsi esterni – posseggono un principio che dà loro la vita, l’anima, il ché conduce al
fatto che dire “essere vivente” e dire “essere dotato di anima” significa la stessa cosa.
La vita, pertanto, viene ad essere capacità di muoversi da se stessi, operare in ordine al
proprio bene naturale e in gradi diversi; l’anima, il principio di questa vita. Allora risulta chiaro che
i corpi viventi hanno vita non in quanto corpi; la loro corporeità è sì potenza/materia ma è l’anima
che da’ forma e porta all’atto questa corporeità.
1. 3. Il principio vitale degli esseri animati: l’anima
Ma cosa è che caratterizza l’anima come tale? Per spiegarlo, Aristotele ricorre anche qui al
suo ilemorfismo, ossia - come accennavamo prima -, alla considerazione che ogni ente in natura è
un sinolo di materia e forma. Poiché i corpi viventi hanno vita ma non sono vita, questi possono
essere rappresentati solo come il sostrato materiale e potenziale di cui l’anima è forma e atto.
In altri termini, l’anima diviene la forma e l’atto perfetto di un corpo suscettibile di ricevere
la vita. Se sfogliamo alcuni passi del De Anima, si legge appunto che questo principio vitale è
“entelechia prima di un corpo fisico che ha la vita in potenza” e più avanti dice che “se si deve dare
un definizione che sia valida per ogni anima, bisognerà dire che essa è l’entelechia prima di un
corpo naturale organico” o ancora – questa però applicabile agli esseri viventi animati e dotati di
ragione – che l’anima “è ciò per cui viviamo, sentiamo ed intendiamo”.
Insomma, un principio vitale, una forma sostanzale, radice di tutte le operazioni vitali.
A questo punto c’è un’altra caratterizzazione da fare, e cioè che l’anima non può esistere
indipendentemente dal corpo, o quanto meno se per sua natura fosse divisibile, alcune sue parti non
potrebbero comunque essere separabili dal corpo.
Con questa “novità”, Aristotele supera di gran lunga i Presocratici, i quali consideravano la
psyché come un mero principio fisico, e fa un passo indietro (in termini funzionali) rispetto al
dualismo platonico, per il quale l’anima è una entità separata dal corpo, incapace di conciliarsi con
il corpo. Addirittura, per Platone il corpo è considerato come prigione dell’anima, un luogo di
espiazione.
Per necessità, lo Stagirita ha dovuto dunque porre un freno alla teoria dualista dell’anima e
del corpo, altrimenti non avrebbe potuto appunto parlare di un tutt’uno con il corpo. Seguendo
questa linea, lo stesso mito della caduta dell’anima nel corpo rappresenterebbe poi una vera
assurdità poiché presupporrebbe che qualsiasi anima possa discendere in qualsiasi corpo. Ma se per
lui ogni corpo appartiene ad una determinata specie vivente ed ha una struttura, una forma
particolare, non si può immaginare che una qualsiasi anima discenda in un qualsiasi corpo, se è vero
come è vero per Aristotele che l’anima è il principio attivo che organizza un corpo vivente, mentre
il corpo è ciò che riceve l’informazione, l’impronta.
Questa particolare funzione “organizzativa” riafferma l’unione tra anima e corpo, quindi un
sinolo come avviene per la materia e la forma, la potenza e l’atto. E non può sussistere un’anima
senza un corpo e viceversa. Che succede in punto di morte? Quando l’anima se ne va – sembra dire
Aristotele -, non resta più un corpo ma un cadavere. Rimane solo la “materia” che conserva per
qualche tempo le apparenze corporee, ma in realtà non è un corpo, bensì un ammasso di materiali
che si decompongono.
L’uomo viene ad essere, in ultima analisi, un “tutto” con diverse funzioni: puramente fisiche,
vegetali, animali e infine anche spirituali. Funzioni, è bene ribadirlo, non del corpo ma dell’uomo,
del tutto.
1. 4. La tripartizione dell’anima
Poiché l’anima è il principio della vita, questa deve avere senz’altro la capacità di causare
tutte quelle operazioni che avvengono nel tempo in modo differenziato e con una certa costanza e
che rappresentano la caratteristica fondamentale delle funzioni e dei fenomeni vitali degli essere
viventi.
Verificando l’eterogeneità di questi fenomeni, Aristotele è giunto alla conclusione che esiste
anche una differenziazione delle funzioni dell’anima. Queste - se vogliamo - “parti” dell’anima che
presiedono e regolano tutte le operazioni vitali tipiche dell’universo mondo, per lo Stagirita sono
tre: • - di carattere vegetativo (nascere, nutrirsi, crescere);
• - di carattere sensitivo e motorio (avvertire sensazioni, muoversi);
• - di carattere intellettivo (conoscere, deliberare, scegliere).
Nulla ci vieta a questo punto di semplificare il tutto e parlare di anima vegetativa, anima
sensitiva e anima razionale o intellettiva.
È chiaro che non esiste una definizione comune di anima, proprio per la particolarità cui
accennavamo prima. Quel che è definito per Aristotele è che l’anima è unica in ogni vivente, e che
nel susseguente è sempre posseduta in potenza la caratteristica dell’antecedente. Un po’ come
avviene per le figure geometriche.
Ad esempio, le piante possiedono soltanto la “facoltà” vegetativa, gli animali sia quella
vegetativa che sensitiva (ma non comprendono la razionale; gli animali non posseggono la ragione)
e l’uomo, infine, le comprende tutte. L’uomo – geometricamente parlando - può essere considerato
allora come la figura di un cerchio, che comprende sia la figura del quadrato che la figura del
triangolo.
Per quanto concerne l’anima vegetativa, Aristotele la considera come il principio più elementare
della vita, governa appunto la generazione, la nutrizione e la crescita. E l’operazione che per i
viventi è la più naturale di tutte è quella di produrre un altro essere uguale a sé. Inoltre, con la
spiegazione della nutrizione si capisce meglio la funzione di questa facoltà: “poiché vi s