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Sintesi
I pazzi sono davvero tali o è il resto del mondo che li fa sentire folli? Dire che cosa sia realmente la follia è un'impresa abbastanza ardua, eppure in tanti hanno provato a dare un valido significato a questo termine. Nel passato come nel presente, la follia si è manifestata in tanti suoi piccoli aspetti: attraverso il genio degli scienziati, i versi dei poeti, le melodie dei musicisti, i colori vivaci sulle tele degli artisti, le gesta inconsulte dei potenti. La prima difficoltà è già tutta racchiusa nell’etimo del termine follia, dal latino follis, che significa mantice, sacco vuoto, pallone gonfio d’aria. Per traslazione, il folle è quindi colui che ha la testa vuota, piena d’aria.
Personalmente, credo che esistano due concetti nettamente distinti di pazzia: uno è orientato nella società, l'altro nell'individuo. Nel concetto di pazzia legato alla società, specie nelle letterature moderne, il matto è colui che è più cosciente delle convenzioni e dell’assurdità della vita borghese (un esempio esauriente è Pirandello con “Uno, Nessuno e Centomila”). Quindi, nel concetto di salute psichica orientato nella società, l'uomo è sano quando è all'altezza dei compiti che la società gli assegna, ovvero quando funziona in modo conforme ai bisogni della medesima.
Il concetto umanistico invece si distingue nettamente da quello precedente in quanto è basato sul fatto che non è il funzionamento conforme ad una data società a determinare che cosa sia la malattia o la salute psichica, ma criteri insiti nell'uomo stesso.
La schizofrenia è una patologia mentale che interferisce con la capacità della persona di riconoscere ciò che è reale o immaginario, di gestire le emozioni, di pensare in modo chiaro, di dare giudizi e di comunicare.
Estratto del documento

nuvole). Il romanzo porta alle sue estreme conseguenze la critica all'identità proposta vent'anni

prima con il “Fu Mattia Pascal”; l'eroe non si limita più ad una condizione negativa e sospesa come

quella di Mattia Pascal, ma trasforma la mancanza d'identità in una condizione positiva, in

liberazione della vita da ogni limitazione.

Uno, Nessuno e Centomila porta anche all'estremo la disgregazione della forma romanzesca già

sperimentata precedentemente con il “Fu Mattia Pascal”; si tratta anche qui di una narrazione

retrospettiva da parte del protagonista, ma questa non si concretizza più nel memoriale scritto o nel

diario, ma resta puramente allo stato magmatico e informale di monologo. La voce narrante infatti

si abbandona a riflessioni e divagazioni che dissolvono la narrazione dei fatti.

Caratteristica di questo romanzo è la quasi totale mancanza di azione, tutto ciò che avviene è

mentale, un processo di scomposizione fino ad arrivare al risultato finale di affacciarsi sugli abissi

della coscienza e scoprire l'assoluta falsità di tutto: questo è poi il significato della pazzia

pirandelliana. VIRGINIA WOOLF

Pirandello is not the only author who concentrated his life and his works on the

theme of the “irrationality”. In English literature, in fact, we can consider

Virginia Woolf as an example of woman haunted by the terror of losing her

mind.

All her life was marked by mental problems: after her mother’s death, when

she was only 13, she had her first mental breakdown.

She began to suffer from headaches and to sleep badly and in order to put an

end to her pains she attempted suicide by taking drugs, without any success.

The Second World War increased her anxiety and fears: London was ruined by

bombs and she felt that whole world had disappeared, a world of people, friends and values. She

was unable to face her fears and she was afraid of becoming completely mad, so she decided to

commit suicide again and chose the only possible death for her: the “death by water”, and so she

drowned herself in the river Ouse.

The literary career of Virginia Woolf started with the publication of The Voyage Out, followed by

Night and Day. These two works still followed the traditional line, since they had an organic plot

and a steady time structure.

But with the publication of Mrs Dalloway, Woolf abandoned the technique of the traditional

narration, in order to create a modern one.

Eliminating the direct dialogue and the traditional weft, she concentrated her attention to the interior

monologue. The external truth lost its privileged function, except for the influence it exercised on

the interior life of the subject.

The inner time differed from the external one for the absence of a chronology: following the

processes of the mind, the narration proceeded through movements in ahead and to behind in the

time, in relation to the thoughts and memories that the surrounding atmosphere provoked to the

characters. In agreement with the theory of Bergson on the duration of time, Woolf could represent

the time as she liked, she could present it in various years, as in her work To The Lighthouse, or in

twelve hours, as in Mrs Dalloway.

This work opens with the protagonist, Clarissa Dalloway, going to Bond Street to buy some flowers

for a party she is giving that evening at her house. During this walk Clarissa begins to think and to

remember her youth, so that her present experience and the future plans are suffused with the

feelings and the experiences of the past.

In Mrs Dalloway the identification between life and writing is strong and the autobiographical sign

is deeply marked. An important aspect of Clarissa that links her to Virginia Woolf is her

dissatisfaction with herself. In fact, as we can read in the extract “The Party”, Clarissa continuously

gives parties in order to gain the admiration and approval of others.

At the same time, even Virginia Woolf is dissatisfied of herself, and the evidences of this are her

two attempts of suicide, unfortunately the second one was successful.

SENECA

Nella letteratura latina il primo intellettuale romano che si occupa di

analizzare dall'interno i comportamenti dell'uomo e di proporre terapie

di grande attualità è Seneca.

Al centro dì tutte le tragedie di Seneca troviamo la rappresentazione

dello scatenarsi rovinoso di sfrenate passioni, non dominate dalla

ragione, e delle conseguenze catastrofiche che ne derivano.

Il significato pedagogico e morale s’individua dunque nell'intenzione

di proporre esempi paradigmatici dello scontro nell’animo umano di

impulsi contrastanti, positivi e negativi. Da un lato vi è la ragione, di

cui si fanno spesso portavoce personaggi secondari che cercano di

dissuadere i protagonisti dai loro insani propositi; dall’altra vi è il

furor, cioè l'impulso irrazionale, la passione (amore, odio, gelosia,

ambizione e sete di potere, ira, rancore), presentata, in accordo con la dottrina morale stoica, come

manifestazione di pazzia in quanto sconvolge l'animo umano e lo travolge irrimediabilmente. In

questa lotta tra furor e razionalità, lo spazio dato al furor, al versante oscuro, alla malvagità e alla

colpa, è senza dubbio preponderante e va ben oltre i condizionamenti e le esigenze imposti dal

genere tragico. L'interesse per la psicologia delle passioni, che può apparire quasi morboso, sembra

talora far dimenticare al poeta le esigenze filosofico-morali. Inoltre è caratteristica delle tragedie

senecane l'accentuazione delle tinte più fosche e cupe, degli aspetti più sinistri, dei particolari più

atroci, macabri, raccapriccianti. In poche parole Seneca enfatizza il pathos e dimostra la forza

devastante della passione indice di disintegrazione della personalità interiore. I personaggi vengono

analizzati in profondità: di essi vengono messi in risalto i contrasti interiori, le esasperazioni, il

furor regni, la morte della ragione, la bestialità umana.

In realtà la visione pessimistica, l’accentuazione degli elementi cupi e la forte intensificazione

patetica, appaiono funzionali a quel valore di esemplarità negativa che i personaggi tragici rivestono

agli occhi dei filosofo; sono mezzi di cui l'autore si serve per raggiungere più efficacemente il suo

principale obiettivo, consistente nell’ammaestramento morale. Del resto il pathos caricato, l'enfasi e

il gusto per i particolari orridi e raccapriccianti erano già presentì nel tragici latini arcaici, e

trovavano piena corrispondenza nel gusto dei tempi di Seneca.

Una definizione della follia viene data da Seneca in uno dei suoi dieci dialoghi-trattati, il De Ira.

Scritto probabilmente dopo la morte di Caligola, è un opera in 3 libri in cui il filosofo si propone di

combattere l’ira, passione tra le più odiose, pericolose e funeste. In polemica con la dottrina

peripatetica, che giustificava l’ira in determinate circostanze, Seneca afferma (in coerenza con le

posizioni stoiche) che l’ira non è mai accettabile né utile, in quanto è prodotta da un impulso che

offusca la ragione, e infatti ha manifestazioni molto simili a quelle della follia.

Indica poi i rimedi a essa, cioè i mezzi per prevenirla e per placarla. Tra i numerosi esempi tratti

dalla storia greca e romana, spicca quello di Caligola, l’imperatore su cui l’autore sfoga il suo odio

portando numerose prove della sua ira furiosa e descrivendolo come una belva assetata di sangue.

Ecco di seguito un breve passo:

Alcuni sapienti definirono l’ira una breve follia; infatti come la follia essa è incapace di controllarsi,

dimentica del decoro, immemore delle relazioni sociali, tesa e pertinace in ciò che intraprende, sorda ai

consigli della ragione, pronta ad esagitarsi per futili motivi, incapace di comprendere il giusto ed il vero,

assai simile alle macerie che si infrangono su ciò che hanno schiacciato. Perché poi ti convinca che le

persone che l’ira ha posseduto non sono sane, osserva il loro aspetto; infatti come sono indizi certi del

folle il volto irato e minaccioso, la fronte corrugata, l’espressione torva, l’andatura concitata le mani

irrequiete, il colorito mutato, i sospiri frequenti e ancor più profondi, così sono, e identici, i segni dell’

iracondo. Gli occhi diventano pieni di fuoco e scintillanti, un violento rossore si diffonde per tutto il volto

irato e minaccioso, la fronte corrugata,l’espressione torva, l’andatura concitata, le mani irrequiete, il

colorito mutato, i sospiri frequenti ancor più profondi, così sono, identici, i segni dell’iracondo. Gli occhi

diventano pieni di fuoco e scintillanti, un violento rossore si diffonde per tutto il volto, poiché il sangue

affluisce dai profondi precordi, le labbra tremano, i denti si serrano, i capelli si rizzano, il respiro (diviene)

faticoso e sibilante, (si sente) lo scrocchio delle articolazioni nel torcersi, e poi gemiti, muggiti, un parlare

smozzicato con sillabe poco distinte, le mani (vengono) battute senza sosta, i piedi pestati contro il

terreno e tutto il corpo esagitato e orribilmente minaccioso. Turpe a vedersi ed orrido (è) l’aspetto delle

persone che si stravolgono e si gonfiano d’ira — e non sapresti dire se questo vizio sia più detestabile o

più deforme. (De ira Seneca libro I )

HITLER E LE PERSECUZIONI RAZZIALI

In ambito storico il tema della follia è maggiormente collegabile alla figura instabile e allo stesso

tempo carismatica di Hitler.

Mosso dalle sue teorie sulla superiorità della razza ariana, sulla congiura ebraica antitedesca e sulla

teoria dello spazio vitale (per fornire al popolo tedesco uno sbocco al proprio espansionismo), seppe

dare una svolta totalitaria al governo tedesco. Il totalitarismo è un'ideologia, o ancor meglio un

regime, che vuole accentrare la direzione di ogni aspetto della vita civile e politica nello stato.

L’ideologia tedesca si basa soprattutto sul riconoscimento di un nemico comune a causa del disagio

sociale che stava attraversando la Germania negli anni ‘20 e ‘30, e venne individuato negli ebrei.

Questa ideologia infatti fu la prima nel riconoscere il proprio nemico non più per le sue idee

politiche e classi sociali non condivise ma per la razza.

Hitler dava motivazioni di ogni genere per dare una spiegazione a questo odio contro gli ebrei;

infatti ne riconosceva a pieno titolo la colpa del collasso tedesco sia nell'ambito economico (in

quanto, ad avviso dello stesso Fuhrer, essendo capitalisti non investivano i loro patrimoni in

Germania) e sia nell'ambito culturale come artefici del degrado culturale della Germania.

Questa ricerca necessaria e ossessiva di un nemico “genetico” del regime era dovuta soprattutto al

fatto che bisognava trovare un punto in comune che unisse l'intera popolazione e Hitler, abile

statista, capì che bisognava far leva sul sentimento nazionalista tedesco represso per la sconfitta del

primo conflitto mondiale. Il sistema che proponevano i nazisti era un sistema apertamente

antidemocratico e antiliberale poiché, come diceva il Fuhrer, “guidati da un grande condottiero si

può conquistare il mondo”; addirittura la “venerazione” del Capo si rifaceva ad alcune tradizioni

pagane celtiche e sassoni.

Il programma nazista inoltre prevedeva il dominio assoluto e la fondazione di un nuovo ordine

sociale con a capo la razza ariana; tale razza infatti era pensata, con tanto di prove pseudo-

scientifiche, come l'unica razza pura “biologicamente” e degna di comandare.

Le altre razze infatti erano ritenute inferiori o addirittura da eliminare, come quella ebraica. Il

nazismo si rifaceva ad antichi valori germanici, e ripudiava nuovi valori come il cristianesimo, il

liberalismo e la democrazia. Dopo due anni dall'ascesa al potere di Hitler (1935), vennero emanate

le Leggi di Norimberga, in base alle quali i cittadini ebrei tedeschi perdevano ogni diritto civile e

furono oggetto di un boicottaggio sia civico che economico; di fatto iniziarono le persecuzioni

ebraiche che sfociarono nell'olocausto (dal 1941 con l'espansione verso l'Unione Sovietica).

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