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Sintesi
Il seguente video contiene una presentazione di una tesina sul tema della follia.

Estratto del documento

La follia è dunque, attraverso la memoria, disturbo della personalità.

Ecco il processo: in primo luogo si pensi al’come’ di questi vuoti all’interno

del tessuto mnemonico. La meccanica che li produce viene ripercorsa per

sommi capi e risiede tutta nel tentativo di porre in parentesi un dolore,

un’afflizione insopportabile, che non ci concede tregua. È una sorta di

meccanismo di rimozione quello che segna il passaggio dal dolore alla follia.

Riguardo le modalità di costruzione di queste finzioni, il testo

schopenhaueriano, pare taccia. Forse la meccanica che regola la produzione

dei ‘riempimenti’ è la stessa che guida la vita inconscia.

Se il proprio passato viene controllato, costruito, da una memoria

assolutamente obbediente al principio di ragione, il risultato sarà la percezione

presente di un ‘io’ stabile, che si prolunga con coerenza dal passato e che

altrettanto coerentemente si affaccia verso il futuro. Qualora invece il tessuto

mnemonico sia colmo di buchi, e la continuità interrotta interamente colmata

da finzioni prodotte al di fuori dell’io, allora non vi è più possibilità di

rinvenire alcuna continuità, alcuna coerenza. La percezione che avviene ora,

nel presente, viene a trovarsi in un luogo disancorato dal principio di ragione,

un luogo nel quale la nozione stessa di ’io’ risulta assente. Non sorprende così

che la percezione dell’individualità sfumi. E non solo la percezione della

propria, ma anche di quella altrui: i pazzi confondono se stessi e gli altri per

persone che non esistono.

La questione della follia non sembra risolversi esclusivamente in una

questione di connessioni e relazioni mancate tra un’esatta percezione del

presente e di alcuni elementi frammentari del passato. Nell’momento in cui il

folle, percependo qualcosa, si richiama al tessuto mnemonico che abita in lui,

in quel momento la natura estatica, impersonale, di questo tessuto lo avvolge,

lo fa suo, parla attraverso di lui, lo ispira. Da qui, ogni relazione spaziale,

temporale e causale proiettata sullo sfondo di un tessuto mnemonico lacerato,

non più controllato dall’io, si annulla e la figura assume il senso che la

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struttura gli conferisce, non quello che io, in forza del principio di ragione, gli

potrei conferire. Insomma, è il delirare della percezione.

Il parallelismo tra genialità e follia non dev’essere per altro inteso in

senso assoluto, quasi si trattasse di una totale coincidenza.

Ad ogni modo è innegabile che vi sia per Schopenhauer un punto di

contatto tra genialità e follia.

La considerazione del fatto che gli uomini non sono soltanto capaci di

produrre le opere d’arte, ma sono anche in grado di fruirle, porta

inevitabilmente al riconoscimento che l’attitudine propria del genio, attitudine

a svincolarsi dal principio di ragione, sia pure in una misura diversa

dev’essere propria di tutti gli uomini, senza di che sarebbero incapaci di

gustare le opere d’arte, né più né meno di quello che non siano a produrle

Come in ognuno di noi alberga la dis-posizione alla genialità, allo stesso

modo nessuno di noi può ritenersi del tutto al riparo dalla follia. Per quanto

messa a tacere dall’attività della conoscenza razionale, essa è elemento

costitutivo dell’essere dell’uomo. Al pari della genialità, si presenta come la

dis-posizione che apre all’uomo la possibilità di una conoscenza vera,

svincolata dal principio di ragione, tesa all’intuizione dell’idea

In tal senso l’arte è tutt’uno con la filosofia, è già ricerca filosofica.

la filosofia si distingue da essa unicamente per il

modo d’espressione. All’artista come al filosofo occorrono

due qualità: a) genialità, cioè conoscenza capace di

trascendere il principio di ragione o conoscenza delle idee;

b) la capacità di ripetere attraverso una tecnica

trasmissibile, che può essere acquistata mediante esercizio,

le idee intuite in una certa sostanza (questa sostanza per il

filosofo sono i concetti, come per lo scultore il marmo, per

il pittore i colori, ecc.)

La genialità risulta così il fondamento, la condicio sine qua la

produzione e la fruizione estetica, così come la stessa ricerca filosofica, non

potrebbero nemmeno essere. 30

Se la genialità e la follia avvengono nel medesimo luogo (o quanto meno

individuano nel loro confondersi un territorio comune), allora è inevitabile

riconoscere anche alla fatica filosofica un fondamento nella follia. Il

linguaggio filosofico insomma, che prende vita nella sostanza dei concetti,

attinge la propria origine nella concezione intuitiva del mondo, nella genialità-

follia, che costituisce dunque il suo autentico fondamento, il suo Grund.

STORIA DELL’ARTE

Il genio folle della pittura

Van Gogh

Quando si parla di Van Gogh, si parla anche della dicotomia genio-follia;

indicando in quest'ultima il motore della pittura originale, unica dell'artista.

Sono mille le ipotesi di malattia, tutte basate su ipotesi fatte a posteriori: chi

prende spunto dalla biografia, parla di un incrudelirsi della malattia venerea, o

addirittura di una possibile ereditarietà dal padre di sifilide, oppure di

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schizofrenia, depressione, etc. Chi prende spunto dalla sua arte, vede nei suoi

quadri spiraleggianti delle caratteristiche comuni a mille altri pazienti affetti

da malattie degenerative del cervello. Con i mezzi attuali, ogni supposizione è

possibile, perciò nessuna è unica e veritiera. Ciò che è permesso dire, è che

l'arte di Van Gogh è illuminante, e la sua figura, magra piccola e solitaria nella

carne, si staglia in realtà gigantesca e poderosa nella storia dell'arte e dei

sentimenti umani.

Tanto geniale quanto incompreso, dipinse una grande quantità di quadri

divenuti famosi solo dopo la sua morte suicida. Celebri i suoi paesaggi, i fiori

(in special modo i girasoli, la cui serie di dipinti lo ha fatto conoscere in tutto

il mondo) e gli autoritratti. Un museo a lui dedicato, il Van Gogh Museum, si

trova ad Amsterdam.

Biografia

Van Gogh nasce a Groot-Zundert, un villaggio olandese, il 30 marzo

1853 da Theodorus van Gogh, pastore protestante, e da Anna Cornelia: primo

di sei fratelli, dopo la morte del primogenito della famiglia, che portava il suo

stesso nome, e che morì alla nascita esattamente un anno prima di lui; Van

Gogh ricorderà sempre la tomba dietro casa, su cui trovava iscritto il suo

stesso nome. Vincent ha un' infanzia turbata, anche a causa dell'apprensione

dei genitori, e la sua vita è un cammino di insuccessi esistenziali e sociali. Nel

1857 nasce il fratello Theodorus, chiamato Theo, che avrà una grande

importanza nella sua vita.

In giro per l'Europa

Dal 1861 al 1868 frequenta la scuola del paese; poi un collegio di

Zevenvergen dove impara il francese, l'inglese e il tedesco e apprende l'arte

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del disegno. Nel 1869 inizia a lavorare in una bottega d'arte all'Aja fondata da

suo zio Vincent; passa il tempo libero leggendo molto e visitando musei, inizia

una corrispondenza con il fratello Theo (lettere che serviranno a una

ricostruzione della sua vicenda umana) e trascorre le vacanze dai genitori nel

paese natale. Gli anni che seguono segnano per Van Gogh un continuo viaggio

da una filiale all'altra della bottega d'arte dello zio, trasferimenti che lo

porteranno a Bruxelles, Londra e Parigi.

Predicatore fra i minatori

Nel 1876 si licenzia definitivamente e parte per un paese vicino a

Londra, Ramsgate: qui lavora come insegnante supplente ricevendo in cambio

solo vitto e alloggio. Diviene anche aiuto predicatore e tiene un primo

sermone: vorrebbe dedicare la sua vita alla religione, ma durante una visita ai

genitori, questi restano colpiti dalle condizioni precarie del figlio e non

vogliono che riparta per Londra.

Lo zio Vincent gli trova così un altro lavoro come commesso in una

libreria di Dordrecht. Vive da solo e frequenta la chiesa locale traducendo

passi della Bibbia; convince il padre a lasciarlo frequentare una scuola per

predicatore ma, non essendo ritenuto idoneo all'insegnamento, deve

interrompere gli studi diventati per lui troppo pesanti.

Nonostante tutto, nel 1879 lavora come predicatore laico nelle miniere di

carbone a Wasmes, nel Borinage, dove realizza i primi schizzi raffiguranti

minatori all'opera. Vive in estrema povertà ed è turbato dalle condizioni in cui

si trovano i minatori, che aiuta per come può; questo però infastidisce i suoi

superiori che lo licenziano, ritenendolo ancora una volta inadatto e privo di

talento.

Van Gogh prosegue la sua vocazione senza ricevere compenso: vive in

grandi ristrettezze ma continua a leggere molto e a disegnare; in questo

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periodo avranno inizio i suoi improvvisi ed incontrollabili scoppi di collera,

sia aggressiva che autodistruttiva, destinati a peggiorare gradatamente con il

corso degli anni.

Il fratello Theo lo critica per come conduce la sua vita e Vincent

interrompe i rapporti con lui per poi riprenderli solo un anno dopo.

Autolesionista per amore

Theo lo aiuta tuttavia finanziariamente e lo incita a proseguire nella

pittura: Vincent va quindi a Bruxelles e frequenta la scuola d'arte, dove fa

conoscenza con diversi pittori diventando nel (1880) amico del pittore Anton

van Rappard. In questo periodo realizza copie di opere di Jean-François

Millet.

Nel 1881 si innamora della cugina Cornelia, detta Kee, vedova da poco

tempo e con un figlio, senza però esserne corrisposto. Ad una sua richiesta di

matrimonio lei lo rifiuta non ricevendolo in casa. Disperato, Van Gogh si

brucia la mano sinistra con la fiamma di una lampada, cercando di dimostrare

l'intensità del suo amore. Rifiutando ancora una volta un aiuto economico dai

genitori, Van Gogh riparte per l'Aja dove prende lezioni dal pittore Anton

Mauve, cognato della madre; anche con lui però i rapporti si deteriorano,

perché Vincent non vuole come modelli calchi di gesso.

Ritorno a casa

In questo periodo, Vincent conosce una prostituta e lavandaia

alcolizzata, Sien Hoornik (che sarà anche sua modella) e va a vivere con lei e

col figlio, cercando di redimerne le sorti. La sua salute inizia a creargli

qualche problema, e infatti in questo periodo si ammala di gonorrea. Il loro

rapporto è segnato, come sempre sarà, dalle intemperanze emotive del giovane

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Vincent, il cui furore nei confronti della vita, rimarrà sempre in bilico tra la

follia e l'amore più puro. Suo zio gli fa una ordinazione per venti disegni di

paesaggi: questo sarà il suo unico lavoro su ordinazione. Inizia a dipingere

con i colori ad olio paesaggi e ritratti di popolani e il fratello Theo, che era a

Parigi, gli paga il materiale. Vorrebbe sposare Sien ma la famiglia lo dissuade

e Vincent prende la dolorosa decisione di lasciarla dopo un anno di

convivenza.

Dal 1883 al 1885 vive con i genitori nel paese di Nuenen e nell'arco di

questi anni dipinge duecento quadri; cura amorevolmente la madre che si

rompe una gamba e prende lezioni di musica e canto perché pensa che ci sia

un legame fra colore e musica; allestisce un atelier in uno stabile accanto alla

casa parrocchiale del padre che muore per un colpo apoplettico il 26 marzo

1885. Dipinge I mangiatori di patate.

I colori di Arles

L'anno successivo lascia Parigi trasferendosi ad Arles; qui trova una

casa, e decide di dipingerne la facciata di giallo, per celebrare una ritrovata

solarità, e dove sarà raggiunto da Gauguin. Nella città francese dipinge, fra gli

altri, alcuni dei suoi principali capolavori, caratterizzati da luminosi colori

carichi di vitalità, fra cui il Vaso con dodici girasoli (o i Girasoli, il

celeberrimo Sunflowers), il Ponte di Langlois ad Arles con lavandaie, Esterno

di caffè in place du Forum ad Arles, e la Casa gialla.

È durante la permanenza ad Arles che avviene uno degli episodi più

controversi e drammatici della vita di Van Gogh. La notte del 23 dicembre il

pittore, dopo un'aggressione ai danni di Gauguin (che fugge spaventato), si

punisce tagliandosi la parte inferiore dell'orecchio destro, la incarta e la porta

in un bordello per farne regalo ad una prostituta alla quale si era affezionato.

In seguito a questo episodio di autolesionismo, Vincent viene ricoverato

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