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Sintesi
Italiano: Eugenio Montale; Carla Fracci

Spagnolo: Garcia Lorca (il flamenco)

Filosofia: Isadora Duncan; Friedrich Nietzsche

Inglese
: Oscar Wilde (Salomè)

Francese: la belle epoque in Francia
Estratto del documento

La conoscenza del poeta e della ballerinza ha modo di approfondirsi in seguito,

durante gli anni ’60 a Forte dei Marmi, dove entrambi fanno vacanza, fino a diventare

veri e proprio amici. Particolarmente cara ad entrambi sarà

l’estate del 1969: proprio da Forte dei

Marmi, nell’agosto di questo anno, i

due intraprendono con altri amici un

viaggio per assistere al palio di

Siena.

La Fracci, incinta del figlio

Francesco, ricorda questa vacanza

come “il viaggio col Maestro”.

Montale fu particolarmente vicino

alla ballerina durante questo periodo

così speciale della sua vita: egli andrà

a trovare la danzatrice in ospedale

dopo il parto e sarà accanto a lei per

il battesimo.

Come disse la stessa Carla Fracci, Montale era stato ammiratore del suo piccolo

ventre materno, tanto da onorarla con una bella lirica : “La danzatrice stanca”.

La danzatrice stanca

Torna a fiorir la rosa

che pur dianzi languia…

Dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.

E quando mai può dirsi per stagioni

che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?

Ma si parla della rifioritura

d’una convalescente, di una guancia

meno pallente ove non sia muffito

l’aggettivo, del più vivido accendersi

dell’occhio, anzi del guardo.

É questo il solo fiore che rimane

con qualche merto d’un tuo Dulcamara.

A te bastano i piedi sulla bilancia

per misurare i pochi milligrammi

che i già defunti turni stagionali

non seppero sottrarti. Poi potrai

rimettere le ali non più nubecola

celeste ma terrestre e non è detto

che il cielo se ne accorga.Basta che uno

stupisca che il tuo fiore si rincarna

si meraviglia. Non è di tutti i giorni

in questi nivei défilés di morte. 5

Questa lirica scritta da Montale è dedicata alla nascita del figlio e alla lontananza

momentanea dalle scene di Carla Fracci. Come dice lo stesso poeta la Fracci non è più

“celeste” creatura che attraversa i “turni stagionale” del palcoscenico perché la gravidanza la

rende “terrestre”, donna, non più immateriale spirito tanto ammirato nei balletti. Tuttavia,

quest’esperienza non la rende fiore che appassisce , ma anzi che “torna a fiorir”, che si

rincarna più “celeste” ancora nel suo ritorno in teatro.

Questa lirica è entrata a far parte della raccolta “Diariodel ’71 e del ‘72”, edita da Mondadori

nel 1973.

LA VISIONE DEL MONDO E LA POETICA DI MONTALE

“Diario del ’71 e del ‘72” è una delle ultime

raccolte della vastissima produzione di Montale.

Proprio a causa della sua produzione assolutamente

ricca che attraversa gran parte del Novecento, non è

molto semplice definire la poetica di Montale:

infatti le sue opere presentano caratteri diversi tra

loro, frutto di una naturale evoluzione poetica

dell’autore, delle diverse condizioni storiche nella

quale si svolge e del confronto con i principali

movimenti letterari del secolo.

Nonostante ciò, Montale ha più volte sottolineato la

sostanziale unitarietà della sua poetica, fondata

interamente su una visione amara della vita.

La concezione della vita di Montale è, infatti,

caratterizzata da un radicale pessimismo dominato

dalla consapevolezza del tramonto di ogni

sicurezza metafisica, di ogni valore e di ogni

certezza e dall’impossibilità di riscatto per l’uomo

che è ormai confinato ineluttabilmente in questa

dimensione esistenziale senza fondamento. L’unico

dato concreto è il dolore che tale consapevolezza comporta e che caratterizza la

moderna condizione umana.

Questo pensiero è comune a molti letterati del tempo, ma ciò che differenzia Montale

dagli autori precedenti, però, è il fatto che nella sua concezione neanche la poesia è in

grado di offrire certezze: il poeta non è più il “poeta vate” che declama verità

assolute, come in D’Annunzio, né il “poeta veggente” in grado di attingere alla verità

nascosta dietrò una realtà apparente; il poeta può solamente rappresentare il dolore

“cosmico” che domina sia la natura, sia l’esistenza umana.

Nonostante ciò, il suo radicale pessimismo non porta l’autore alla ricerca di valori

sostitutivi o di una via risolutiva, ma ad una profonda accettazione del “male di

vivere”, come egli stesso lo definisce, senza rinunicare però alla ricerca di un

“varco”, del senso dell’esistenza. Per Montale, infatti, l’insensatezza del mondo e

della vita non giustifica la resa dell’uomo di fronte ad essa, ma costituisce il punto di

partenza di un continua ricerca di risposte e di verità e, di conseguenza, il ruolo che

Montale assegna alla poesia non è più quello di nascondere la realtà delle cose o di

abbellirla, ma di rappresentare onestamente la tensione di una ricerca volta

consapevolmente al fallimento. 6

Lo strumento principale della poesia di Montale è una particolare tecnica definita

negli anni Venti da Elliot come “correlativo oggettivo”. Essa consiste nell’utilizzare

gli oggetti della realtà concreta non con intenti realistici o simbolici, ma come

emblemi del destino dell’uomo e della sua condizione esistenziale.

È una tecnica che porta a volte ad una certa “oscurità” e per questo la sua poesia fu

spesso erroneamente associata a quella degli ermetici. In realtà gli ermetici fanno

ricorso al simbolo, che mantiene un rapporto di analogia tra emozione, concetto e

oggetto che può essere compreso per via intuitiva; questo rapporto, invece, è

totalmente assente nella tecnica utilizzata da Montale: egli si limita a esprimere

l’oggetto e i riferimenti alla vita interiore del poeta vengono completamente taciuti e

non possono essere ricavati intuitivamente dall’oggetto nominato.

Secondo alcuni studiosi la funzione simbolica del linguaggio montaliano giunge ad

assumere la forma allegorica in quanto per comprendere il rapporto che il poeta

instaura tra oggetto e significato è richiesta al lettore una mediazione intellettuale e

culturale.

Questo allegorismo si evolve nel corso dell’intera produzione montaliana: dal

simbolismo degli Ossi di seppia si passa ad un primo allegorismo umanistico delle

Occasioni in cui si allude a una possibile salvezza riservata solamente a pochi, fino a

giungere ad un nuovo allegorismo de La bufera ed altro in cui il messaggio di

salvezza non è riservato ai pochi cultori della poesia, ma è per tutti.

Già nelle poesia successive alla guerra, però, tale speranza in un riscatto viene meno

e l’allegorismo montaliano assume toni apocalittici e negativi per divenire

completamente “vuoto”, cioè privo di speranza, in Satura e nelle raccolte successive

(Diario del ’71 e del ’72 e Quaderno di quattro anni).

Questa concezione della poesia e l’utilizzo della tecnica del correlativo oggettivo

influisce, inoltre, sulle scelte linguistiche del poeta: la poetica dell’ “oggetto”

comporta che la parola che lo designa non possa essere vaga o generica, ma debba

essere estremamente precisa; per questo Montale va alla ricerca di un linguaggio

scabro ed essenziale in cui, accanto ai termini letterari o rari, utilizzati unicamente per

la loro unicità, troviamo spesso anche termini di uso comune e persino tecnici. Infatti,

i termini che indicano animali o piante, ad esempio, non si limitano mai a indicare un

genere, ma specie precise e rare; allo stesso modo i termini del linguaggio

marinaresco indicano con esattezza specifiche attività o imbarcazioni. 7

Danza di carattere La danza di carattere è una suddivisione

particolare della classica, basata su

tradizioni folkloristiche o nazionali che

sono state elaborate e incluse nel

balletto classico. Questa danza conserva

il legame con le tradizioni della terra in

cui è nata evidenziandone il "carattere"

nazionale. Questa tipologia di danza è

stata da sempre incorporata nei balletti,

in cui compaiono sezioni e variazioni di

"carattere". Le danze di carattere entrate

nei balletti di "repertorio" sono spesso originarie dei paesi dell'Est europeo, come la

mazurca, la polka e la danza russa, cui si aggiungono il flamenco e la danza spagnola.

El FLAMENCO, en particolar, es un género

español de música y danza que se originó en

Andalucía en el siglo XVIII, que tiene como

base la música y la danza andaluza y en cuya

creación y desarrollo tuvieron un papel

fundamental los andaluces de etnia gitana, una

comunidad nómada de origen indio que

probablemente llegaron y se estableciron en

España hacia 1415, dispersándose y viajando

después por todo el país. El cante, el toque y el

baile son las principales facetas del flamenco.

El flamenco hunde sus raíces en la cultura

musical de los Moros y los Judíos, pues no hay

certezas acerca de su origen.

Más que un cante, el flamenco es un llanto

interior, hondo, por eso se llama “CANTE JONDO” (con la h aspirada en el dialecto

andaluz) : es en realidad una forma de expresión personal, no se entiende como

espectaculo, sino como forma de desahogo personal, expresión o código del luto y del

dolor, de la pena que caracteriza el pueblo gitano desde su origen.

FEDERICO GARCÍA LORCA

Nadie ignora que muchas obras de uno de los mayores poetas

de la literatura española, Federico García Lorca, son

impregnadas de la tradición flamenca y del mito gitano.

Lorca vivió la música flamenca desde la cuna, oyó los cantes

y el zapateo del baile en su casa de Fuentevaqueros (Granada)

donde nació el 5 de junio de 1898, porque su padre era un

hombre que gozaba reuniendo en su casa cantaores y 8

guitarristas. Lorca fue también un ferviente estudioso del folklore, se apasionó a la

canción popular en general y fue músico él mismo.

Las huellas de este saber popular que Lorca asimila en el campo, las encontramos

fundamentalmente en sus poemas de juventud, sirviendo de base para libros como

Poema del Cante Jondo (1921) y Romancero Gitano (1923-27).

El gitano lorquiano simboliza perfectamente el sentimiento trágico de la vida, la

frustración de no poder vivir la vida plenariamente, el drama de ser diferente y, por lo

tanto, marginado. Lorca representa a los gitanos rompiendo con los estereotipos

tradicionales, abandonando todos los tópicos relacionados con los bandoleros

andaluces y presentándolos como figuras ambiguas, femeninas, adolescentes. Son

personajes débiles e indefensos , símbolos de todo un mundo marginado y de la pena

que sufren.

El poeta se identifica con ellos por su marginaldiad, quizás su homosexualidad era

una forma de marginalidad social, en aquella época condenada con fuerza extrema. Se

identificará con los marginados, con los gitanos y también con los negros, como en su

obra Poeta en Nueva York (1931-1940).

POEMA DEL CANTE JONDO

El “Poema del Cante jondo”, escrito entre el 1921 y el 1922

sólo saldrá después de diez años. En él están presentes todos

los motivos del mundo andaluz ritmado sobre las

modalidades musicales del cante jondo a que el poeta

trabajó con el compositor Manuel de Falla en ocasión de la

celebración del primer “Concurso de cante jondo de

Granada” en febrero de 1922 en que Lorca leyò la

conferencia El cante jondo. Primitivo canto andaluz.

“ Es hondo, verdaderamente hondo, más que

todos los pozos y todos los mares que rodean el

mundo, mucho más hondo que el corazón

actual que lo crea y la voz que lo canta, porque

es casi infinito. Viene de razas lejanas, atravesando el cementerio

de los años y las frondas de los vientos marchitos. Viene del primer

llanto y el primer beso.”

Federico García Lorca, conferencia “El cante jondo”, 1922.

El libro quiere ser una interpretación poética de los sentidos atados a este canto

primitivo que estalla en la repetición obsesiva de sonidos y ritmos populares.

Es el libro de "la Andalucía del llanto"; Lorca expresa su dolor ante la vida a través

de los cantes de esta tierra. Es poesía de forma popular, pero de contenido culto. Son,

por lo general, poemas de corta extensión. Encontramos en sus versos una gran

riqueza de metáforas y figuras poéticas. 9

“La guitarra” es el poema más representativo de la obra.

La guitarra Es imposible

callarla,

Empieza el llanto Llora por cosas

de la guitarra. lejanas.

Se rompen las copas Arena del Sur caliente

de la madrugada. que pide camelias blancas.

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