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Tintoretto
Jacopo Robusti soprannominato Tintoretto perché figlio di un tintore, nacque a Venezia nel 1518. Non si hanno molte notizie riguardo la sua biografia ma ciò che sappiamo è che fin da bambino è affascinato dai colori che vede nel laboratorio del padre. A 15 anni inizia a frequentare la bottega di Tiziano anche se venne cacciato quasi subito dall’artista stesso. Fondamentale per la sua maturazione artistica è il contatto con la scuola di disegno fiorentino-romana attraverso originali e stampe che studiò sempre nella città natale perché da quanto sappiamo, l’artista non si mosse mai da Venezia. Tintoretto lavorò per le importanti confraternite della città ovvero per quella di San Marco e di San Rocco diventando poi il pittore ufficiale di quest’ultima. Gli vennero commissionate diversi affreschi sulle facciate di palazzi, opere e ritratti. Morì nella primavera del 1594 a causa di una forte febbre. Fu il principale esponente del manierismo Veneto.
Nonostante nella sua tecnica si ritrovino somiglianze con il disegno di Michelangelo e il colore di Tiziano, Tintoretto è definito da Vasari come “il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura” e inoltre molto disordinato e superficiale perché vuole sottolineare le stravaganze del suo carattere e le innovazioni stilistiche che lo portarono a realizzare grandi opere. Per quanto riguarda il colore, Tintoretto lo usa in modo da “accendere di luce” il disegno e grazie a ciò stacca i personaggi da ogni contesto reali collocandoli in uno spazio di fantasia e grazie a ciò si nota la prefigurazione del barocco. Il disegno invece è realizzato a tratti nervosi , curvilinei, paralleli, sovrapposti e spezzati e ciò dimostra che i suoi modelli non erano umani ma dei manichini che costruiva lui stesso.
Miracolo dello schiavo
Tintoretto esordisce nel mondo dell’arte con quest’opera. L’opera è anche chiamata Miracolo di San Marco perché rappresenta appunto il miracolo. Oggi è conservata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia anche se era stata destinata per la sala del capitolo della Scuola Grande di San Marco ovvero una delle sei maggiori confraternite laiche della città. E’ un olio su tela dipinto tra il 1547 e il 1548. Nell’opera quindi viene rappresentato San Marco che rende invulnerabile uno schiavo perché il suo padrone dopo averlo visto venerare le reliquie del santo aveva ordinato di farlo uccidere. La scena è ricca di luci e movimento ed è dipinta sotto ad un pergolato ricoperto d’edera che si trova tra un edificio colonnato a sinistra e delle rovine a destra. Sullo sfondo vi è una piazza che si affaccia su un giardino rigoglioso introdotto da un portale manierista con diverse figure e cariatidi in marmo. La linea dell’orizzonte è abbastanza alta perché chi guarda la scena è come se si trovasse esattamente tra terra e cielo. Nella scena ci sono tre punti principali: a terra c’è lo schiavo rappresentato trasversalmente in mezzo ai 3 torturatori (in ginocchio, accovacciato e in piedi) e davanti gli strumenti di tortura spezzati grazie all’intervento divino di San Marco. Quest’ultimo appare in cielo in prospettiva dal basso. A destra nell’opera siede un vecchio che potrebbe essere un giudice oppure il padrone dello schiavo stesso al quale il torturatore di destra mostra l’ascia spezzata. I personaggi di sinistra si sporgono verso quelli di destra per osservare meglio invece quelli di destra si ritraggono con stupore e ciò da luogo ad una disposizione ondulata. Inoltre Tintoretto si sarebbe autoritratto nell'uomo barbuto in piedi vestito di scuro, accanto al turco col turbante rosso, nella parte centro/sinistra. Il colore collabora con il disegno per dare forza e credibilità all’opera. Nei primi piani è violento per dare volume e consistenza ai corpi mentre sullo sfondo diventa sempre più tenue in modo da conferire un senso illusivo prospettico. La luce è vivace e naturale nella piazza sullo sfondo come quella emessa da San Marco che si riflette anche sul corpo dello schiavo; invece è cupa sotto il pergolato per sottolineare la tragedia.
Ritrovamento del corpo di San Marco
L’opera fu commissionata da Tommaso Rangone nel 1562 e fu conclusa dall’artista nel 1566. L’opera era destinata alla Sala Capitolare della confraternita di San Marco assieme ad altre due opere analoghe. E’ un olio su tela ed oggi si trova alla Pinacoteca di Brera a Milano. Il punto di fuga in quest’opera prospettica, coincide con la mano alzata del santo, in posizione stante, in procinto di ordinare ai veneziani di interrompere di cercare il suo corpo nei sarcofagi di Alessandria d’Egitto. San Marco, infatti fa ritrovare miracolosamente il suo corpo su un tappeto in basso a sinistra ai piedi del committente Rangoni vestito con abiti patrizi. A destra un indemoniato sta per essere liberato mentre nello sfondo si vede una luce sprigionata dalla tomba aperta del santo che proietta le ombre dei due uomini intenti a ricercare il corpo. L’atmosfera cupa è rischiarata da colpi di luce che danno dinamicità e si intravedono nelle costolonature delle volte, nel corpo di san Marco e nelle vesti degli altri personaggi. Si vede poco anche perché non si è sicuri della loro presenza ma potrebbero intravedersi degli angeli che vagano come fantasmi.
Ultima cena
L’opera è stata conclusa nel 1594. Nonostante abbia dipinto un tema ricorrente di quel tempo l’opera presenta delle innovazioni. In primis la scena si svolge all’interno di un’osteria popolare veneziana tipica di quel tempo. La tavola e i personaggi sono disposti trasversalmente e in prospettiva angolare rispetto alle altre opere che rappresentano lo stesso soggetto ma frontalmente e non in un’osteria. Questo particolare momento dell'Ultima Cena non rappresenta il momento del tradimento, come l'Ultima Cena dipinta da Leonardo, bensì il momento dell'istituzione dell'eucaristia. Grazie anche al pavimento piastrellato e ai disegni geometrici, Tintoretto delinea una griglia tridimensionale nella quale disporre i personaggi. Ci sono tre livelli di luminosità: profana, religiosa e spirituale. La luminosità profana è gestita dalla lampada a soffitto che irraggia l'ambiente e colpisce i vari personaggi. La luminosità religiosa è data dall'aureola degli apostoli e di Gesù Cristo la quale contrasta la penombra circostante. La luminosità spirituale deriva dalle figure fatte solo di luce, usate dal pittore per conferire spiritualità alla scena. La luce dona realismo all’opera e ognuna di queste luci entra in rapporto con le altre al fine di illuminare i personaggi nell’ombra (come l’oste) o di farli sprofondare (come i due servi in fondo). In alto sul soffitto ci sono degli angeli in penombra ma illuminati da filamenti d’oro.
Jacopo Robusti
nacque a Venezia nel
1518.
Venne
soprannominato
«Tintoretto»
perché figlio di Lavorò nella
un tintore. città natale
per tutta la
sua carriera. LA TECNICA E
IL DISEGNO
• Usa il colore per “accendere di
luce” il disegno.
• Produce molti “ritratti di
naturale”.
• Viene definite da Vasari come “il
più terribile cervello che abbia
mai avuto la pittura”.
• Disegni realizzati a tratti nervosi
con una linea non continua.
Autoritratto, ca 1588, olio su tela,
Parigi-Museo del Louvre
IL MIRACOLO DELLO
SCHIAVO o
MIRACOLO DI SAN
MARCO
Composto tra il
1547 e il 1548
per la Sala del
Capitolo della
Scuola Grande
di San Marco a
Venezia.
Olio su tela.
Oggi è
conservato alle
Gallerie
dell’Accademia
di Venezia.
RITROVAMENT
O DEL CORPO
DI SAN MARCO
Commissionato
da Tommaso
Rangone nel
1562 e terminato
nel 1566.
Destinato alla
Sala Capitolare
della
confraternita
veneziana. Oggi
è conservato
all’Accademia di
Brera.
Telero.