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Concetti Chiave

  • Mattia Preti, noto come il cavalier Calabrese, si formò in Calabria e successivamente a Roma, influenzato dalla pittura caravaggesca e carraccesca.
  • Durante un soggiorno a Venezia, Preti assimilò un colorismo di matrice veneta che arricchì il suo stile pittorico.
  • Tornato a Napoli nel 1656, creò affreschi votivi per la confraternita degli eletti, purtroppo andati perduti.
  • Nell'opera La peste di Napoli, la tela è divisa in tre parti: una scena popolare, santi intercessori, e la Madonna Immacolata.
  • La composizione utilizza giochi di luce e una gamma cromatica con toni lividi e freddi, contrastati dai rossi dei panni dei monatti.
Mattia Preti - La peste di Napoli

Mattia Preti, detto il cavalier Calabrese, si formò nella nativa Calabria prima di trasferirsi a Roma dove conobbe gli esiti della pittura caravaggesca e di quella emiliana dei carracceschi; a questi due prime influssi si aggiunse un colorismo di matrice veneta, assimilato durante un soggiorno a Venezia. Tornato a Napoli nel 1656, anno in cui il capoluogo partenopeo fu colpito dalla peste, il pittore realizzò una serie di affreschi votivi, purtroppo perduti, commissionati dalla confraternita degli eletti per le sette porte della città.

Nell’opera La peste di Napoli, l’artista ha idealmente diviso la tela in tre parti nettamente distinte tra loro: in basso è raffigurata una scena popolare che volge il tema della sofferenza umana, attraverso la presenza di corpi ormai privi di vita disposti su diversi livelli e portati via, con gesti naturali, dai monatti; nella zona centrale alcuni santi intercedono per l’umanità implorando la Madonna Immacolata, collocata nella zona superiore, la più luminosa, perché ponga fine alla pestilenza. Il tutto è reso con grande efficacia dai giochi luministici che sottolineano le diverse parti dell’opera e da una gamma cromatica giocata soprattutto su tonalità livide e fredde, a cui si contrappongono i rossi accesi dei panni dei monatti.

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