
Studiare all'università in Italia è sempre più costoso, anche a causa degli aumenti delle rette universitarie. Secondo il Rapporto nazionale sui costi degli atenei italiani di Federconsumatori-Fondazione Isscon, per l'anno accademico 2025/2026 si registra un ulteriore rincaro che in media, a livello nazionale, si attesta intorno al 6% in più. Una crescita significativa che, peraltro, arriva in un momento in cui il potere d'acquisto delle famiglie è già in crisi.
L'indagine, giunta alla sua dodicesima edizione, ha messo sotto la lente d'ingrandimento i costi per frequentare un corso di laurea nelle tre macro-aree della Penisola, distinguendo tra discipline umanistiche e scientifiche, e tenendo conto anche delle agevolazioni previste.
Ma il quadro che emerge è chiaro: i dati confermano che gli atenei del Nord continuano a essere i più salati in assoluto, portando la media italiana, per le famiglie senza agevolazioni, a un costo di circa 2.747 euro all'anno.
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I costi al Nord
I riflettori dell'Osservatorio Nazionale di Federconsumatori si accendono in particolare sulle regioni settentrionali, dove la spesa per studiare raggiunge vette importanti.
La Lombardia si conferma la regione con le tasse più alte. Al primo posto, in vetta alla classifica, troviamo la città di Milano, dove per un corso nell'area umanistica (fascia massima, senza agevolazioni) l'importo può arrivare a ben 3.360 euro all'anno, schizzando fino a 4.257,12 euro per le facoltà di area scientifica.
Subito dopo si posiziona Pavia, con un massimo di 3.343 euro annui per le umanistiche e 4.141 euro per le scientifiche.
Chiude il podio delle località più care Torino, che può richiede una retta annua di 3.761 euro per entrambe le aree disciplinari. Mentre a Padova ci si attesta comunque su cifre notevoli: 2.955 euro per le umanistiche e 3.155 euro per le scientifiche.
Le rette al Sud e Centro
Anche nel Mezzogiorno, sebbene le cifre siano generalmente inferiori, si registrano picchi significativi. Il livello più alto tra le sedi monitorate al Sud tocca la cittàò di Lecce: qui la tassa annua di iscrizione, senza distinzioni tra aree, arriva a 3.206 euro.
Nel Centro Italia, invece, a registrare i costi più alti è Pisa, con una tassa annua di 3.056 euro senza distinzioni tra discipline umanistiche e scientifiche.
Le care telematiche
L’Osservatorio riporta anche i costi delle università telematiche e i dati mostrano un quadro più variegato. Nelle sei strutture principali, tra quelle riconosciute dal Mur, la spesa oscilla parecchio. Si va da un minimo di 2.106 euro all’anno per la laurea triennale a ben 4.656 euro per la magistrale.
Per le lauree da remoto, va però ricordato che non si applica l’Isee. Inoltre, sulla retta annuale bisogna aggiungere anche le tasse regionali (in media, 140 euro) e, in molti casi, la tassa d’esame.
Per dal 2019 ad oggi, secondo le rilevazioni, sono aumentati gli studenti che scelgono queste università, passando dai 140.319 ai 305.012 dell’anno 2024/25.
Isee: uno strumento "non adeguato"
Dietro la crescita dei costi si nascondono criticità più profonde sul sostegno al diritto allo studio. Il vicepresidente di Federconsumatori, Roberto Giordano, evidenzia che: “L’aumento del 6% delle spese universitarie va letto in un contesto complessivo di perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni”.
Giordano aggiunge che, nonostante nella finanziaria del Governo si discuta di un incremento delle borse di studio, si registra anche l'eliminazione dell’esenzione dell’Irpef per dottorati e ricercatori.
La sua idea, a questo punto, è chiara: “Da sempre, la nostra proposta è quella di una maggiore lotta all’evasione e all’elusione fiscale che vanno di pari passo con i parametri considerati per il pagamento delle rette, che spesso consentono di pagare di meno a chi invece dovrebbe spendere importi più alti”.
Una "non sorpresa" per gli studenti
Gli studenti non si dicono affatto sorpresi di fronte a questa nuova ondata di rincari. Alessandro Bruscella, coordinatore nazionale dell’Unione degli universitari, dice: “Lo avevamo preannunciato”.
Secondo Bruscella: “Il Fondo di finanziamento ordinario delle università non ha recuperato neppure quanto perso con l’inflazione. E si è aggiunto il pesante taglio dell’anno scorso”. Il riferimento è al luglio 2024, quando il fondo ha subito una "sforbiciata" di 173 milioni di euro, nonostante avesse ottenuto un incremento di 300 milioni di euro.
Nonostante i 250 milioni di euro annunciati per il 2026, dal ministro Anna Maria Bernini, e destinati alle borse di studio, Bruscella si dice scettico. “Sono un recupero del taglio ma non cambia il quadro complessivo”, e prosegue: “L’università è fanalino di coda. E aumentano le liste di studenti che non riescono ad avere una borsa di studio pur avendone diritto”.