
Ecco i Millennials: la generazione più ampia e eterogenea della storia, che si muove tra benessere, tecnologia e un futuro incerto.
Siamo i Millennials.Nati tra il 1981 e il 2001, prima definiti generazione Y, solo perché venuti dopo quella X – anche detta Mtv Generation -, i Millennials sono quelli che hanno testimoniato l’inizio della rivoluzione tecnologica di internet, i social e gli smartphone, che si sono dovuti scontrare con la crisi economica, ma non ci sono nati e, quindi, non possiedono la stessa disillusione dei figli della recessione (quelli si chiamano generazione Z, era l’unico asse cartesiano mancante).
La difficoltà nel definire la generazione Y, sta nel fatto che potrebbe essere suddivisa a sua volta in diverse fasce d’età. Se la tecnologia è il discrimine che ci differenzia è facile capire che un trentenne che sperimenta il suo primo smartphone non può essere paragonato a un ventenne che sperimenta il suo primo smartphone, che a sua volta non può essere paragonato a un dodicenne che sperimenta il suo primo smartphone. Ma per adesso non poniamoci il problema, i sociologi dicono che siamo tutti sulla stessa barca e allora crediamoci.

Rimane comunque il fatto che ci siamo trovati con questo nome ridicolo. Perché diciamocelo, a questo punto meglio un’innocua Y che un marchio pseudo fantascientifico dal sapore salvifico e arrugginito. Per un motivo che non mi è troppo chiaro, essere considerata una Millennial mi fa sentire presa in giro. C’è qualcosa in questa definizione che mi riporta più a un gelato del discount che a delle persone su cui puntare. Millennials save the world: cos’è? Il titolo di un romanzo sci-fi soft porno in cui due poveri scemi trovano la falla nella Morte Nera della società distopica del futuro? Forse è che la parola “Millennio” pesa come un macigno e noi non vorremmo trovarcela proprio sulle nostre spalle. Eppure è lì che hanno deciso di mettercela. (Se fossi un filo più volgare di così, potrei dire che hanno deciso di mettercela in un altro posto, ma ho deciso che tenterò di fingere finezza.)
Perché noi siamo la generazione ibrida. Siamo gli inbetweeners, siamo in mezzo a un cambiamento ma continuiamo a tenere un piede fuori.
Così, se la nostra infanzia è stata un tripudio di abbondanza, giochi, cartoni, amichetti e merendine, ora ci sediamo nel salotto della nostra casa in subaffitto di due metri per tre e vorremmo avere i soldi per comprare i saccottini, ma possiamo permetterci solo le imitazioni dell’Eurospin. Perché tutti ci dicevano che saremmo potuti diventare qualsiasi cosa volessimo, che l’impegno e la volontà sarebbero bastati, che ogni nostro sforzo sarebbe stato ripagato, perché ce lo meritavamo. Ora io non so, ma non credo che mia nonna sia cresciuta con qualcuno che le diceva che il mondo le doveva qualcosa, anzi sono discretamente convinta che fosse esattamente il contrario. Il problema di queste parole che sono uscite dalle bocche di troppi genitori o finti guru, è che hanno distrutto la nostra generazione.
Non solo ognuno di noi sente il peso di doversi realizzare, ma pretendiamo persino che il mondo ce lo deva. Teniamo il conto di tutte le porte che ci sono state sbattute in faccia in attesa di presentare il conto al mondo. Questa generalizzazione del mondo dovrebbe già metterci in allarme, perché alla fine dove abita sto mondo? Andiamo a fracassarlo de botte sto mondo che ce deve un sacco di favori, sto irriconoscente che non è altro! Perché poi l’abbiamo capito che l’indirizzo di sto mondo non ce l’abbiamo. Che in realtà non ci deve niente, che l’impegno e la volontà non bastano, che ogni nostro sforzo non sarà ripagato e che alla fine non ci meritiamo un bel niente per partito preso. L’abbiamo capito, però un po’ ci infastidisce, perché ci era stato promesso.
Senza contare l’esplosione dei social, che se da una parte hanno rinnovato totalmente il modo di vivere in modo assolutamente positivo, dall’altra hanno puntato i riflettori sui noi stessi, sviluppando un meccanismo perverso per cui l’io diventa autoreferenziale e tutti si sentono in dovere di esprimere la propria opinione su qualsiasi cosa (e da qua tutta la deriva di bufale, allarmismi e punti di vista che un tempo nessuno avrebbe ascoltato. Qualcuno ha detto scie chimiche?) Ingolositi dalle preziose possibilità della tecnologia, rapiti dal suo fascino e completamente dipendenti dalle sue attrattive, i numeri dicono che ci siamo trasformati in un’orda di ragazzi con enormi deficit dell’attenzione, incapaci di concentrarci per più di dieci minuti su qualcosa. Anche se, in realtà, non facciamo altro che stare al passo coi tempi, che ci propongono cose sempre più brevi e frenetiche.
Non voglio osare troppo mettendo a confronto il narcisismo dilagante con il dato secondo cui il 75% dei Millennials è single, ma di fatto lo sto facendo. Sì, sto implicando che il culto di noi stessi ci renda meno propensi a scendere a compromessi per costruire una relazione – perché, senza alcuna volontà di spezzare la favola, di base è così che funziona. In più i Millennials tengono molto alla loro realizzazione professionale (“Ricorda che se vuoi, puoi”) e da questo deriva un calo di unioni matrimoniali e di nascite: il 62% ritiene che avere un figlio ritardi la carriera e il 42% non ne vuole.
Siamo una generazione confusa, piena di volontà, ma che si crogiola spesso nell’attesa che qualcosa arrivi, perché il mondo glielo deve. Una generazione distrutta da quella dei baby-boomers, nostri genitori e nel caso dei più giovincelli, nostri nonni, che sono cresciuti nella florida età del dopoguerra, esasperando lo sfruttamento delle risorse. Certo, a differenza loro, noi, abbiamo avuto l'opportunità di decidere cosa diventare, di stare bene, di scegliere chi amare, ma siamo anche consapevoli che il nostro futuro non sarà necessariamente in ascesa, niente ci assicura che il nostro impegno riuscirà a premiarci. Siamo stati assorbiti dal vortice potenzialmente molto pericoloso dell’autoesaltazione, dal falso mito di noi stessi, e se a volte riusciamo a tirare fuori tutta la nostra volontà per rendere questo mondo un poco migliore, dall’altra capita che ci sediamo ad attendere che le cose cambino, senza essere troppo consapevoli che se non muoviamo un dito, ci ritroveremo in eredità un mondo allo sfascio e verremo persino superati dalla generazione successiva, che nel digitale e nella tecnologia ci è nata, a differenza nostra.