
Una mozione dopo l’altra, occupazioni, presidi e cortei: il mondo accademico italiano si sta progressivamente schierando nel dibattito sulla guerra a Gaza, sollecitato da una mobilitazione studentesca che negli ultimi giorni ha coinvolto atenei da Nord a Sud.
Al centro delle rivendicazioni: l’interruzione dei rapporti con istituzioni e aziende israeliane, la condanna delle operazioni militari di Tel Aviv nella Striscia, il sostegno concreto agli studenti palestinesi.
E mentre aumentano le prese di posizione ufficiali, arriva anche il commento netto della ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, che condanna le occupazioni e i blocchi come forme “inaccettabili” di protesta.
Indice
- Atenei in movimento: mozioni e rotture dei rapporti accademici
- Prese di posizioni ufficiali e appelli
- Le proteste degli studenti: mozioni, cortei e occupazioni
- Il tema delle borse di studio e lo “scolasticidio”
- Il commento della ministra Bernini: “No a violenza e chiusure”
- Un dibattito destinato a continuare
Atenei in movimento: mozioni e rotture dei rapporti accademici
Una delle prime università a muoversi è stata quella di Bologna, dove il Senato accademico ha approvato una mozione per l’interruzione di “ogni formale relazione e collaborazione con Università, istituzioni e aziende israeliane”, eccetto i progetti di ricerca “non ascrivibili al dual use”.
Una presa di posizione accompagnata da una proposta del Consiglio studentesco e criticata dal collettivo Cambiare Rotta, che ha sottolineato come il provvedimento non sia vincolante. Gli studenti hanno annunciato una nuova mobilitazione al rettorato.
Anche Roma Tre ha votato una mozione simile, chiedendo l’interruzione di tutti gli accordi con le istituzioni che sostengono “il genocidio portato avanti da Israele”.
A Chieti-Pescara, il rettore ha promosso un testo che condanna l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ma denuncia anche “la manifesta sproporzione dell’azione militare dello Stato di Israele, che sta producendo, sotto gli occhi di tutti, un’immane catastrofe umanitaria”, come riporta 'Il Manifesto'. Il testo chiede anche il rispetto delle risoluzioni ONU sul riconoscimento reciproco dei due popoli.
L’Università di Macerata, su proposta del rettore, ha approvato all’unanimità una mozione sui conflitti in corso, con l’annuncio dell’attivazione di cinque borse di studio in favore degli studenti di Gaza, attraverso la rete IUPALS (Italian Palestinian University Network).
Prese di posizioni ufficiali e appelli
Alle prese di posizione ufficiali si affiancano anche numerosi appelli, firmati da centinaia di docenti e ricercatori. Tra gli atenei che hanno espresso solidarietà o attivato iniziative concrete si segnalano, oltre a Bologna, Roma Tre e Macerata, anche l’Università per Stranieri di Siena, la Normale e l’Università di Pisa, oltre a Bari, Salento, Milano Statale, Firenze e la Federico II di Napoli. In alcuni casi si sono espresse singole facoltà o dipartimenti, come Fisica o Ingegneria della Sapienza.
A Catania, un appello promosso da docenti ha raccolto circa 500 firme, mentre oltre 2.000 studenti hanno sottoscritto una lettera pubblica per chiedere una presa di posizione netta dell’ateneo.
Le proteste degli studenti: mozioni, cortei e occupazioni
A Torino, dopo il corteo del 22 settembre che ha portato in piazza circa 30mila persone, il Senato accademico ha aperto formalmente al confronto con gli studenti Pro-Palestina. Una delegazione del collettivo Cambiare Rotta ha interrotto i lavori dell’assemblea per presentare una mozione che chiede l’interruzione dei rapporti con Israele e con le aziende del comparto bellico.
Nel testo presentato dagli studenti si legge: “Di fronte al perdurare inaccettabile dell'azione militare di Israele nella Striscia di Gaza e, in particolare alla luce del piano di occupazione militare di Gaza City, UniTo si unisce agli atenei italiani e internazionali e alle rappresentanze della società civile in tutto il mondo nella denuncia delle gravi violazioni dei diritti umani fondamentali accertate e continuamente reiterate nella Striscia”, compreso “l'uso della fame nell'ambito di una quella che ormai si configura come una guerra di sterminio dalle conseguenze di portata catastrofica” come riportato da 'La Stampa'.
Sempre nella mozione, si chiede a UniTo di “ripudiare l’uso della violenza in ogni sua forma” e si sottolinea che “la giustificazione dell'autodifesa non può in alcun modo implicare azioni di guerra indiscriminate, tali da giustificare l'uso del termine genocidio”.
A Genova, invece, gli studenti hanno occupato il rettorato di via Balbi 5, dopo giorni di mobilitazione e assemblee. La richiesta: che l’Università prenda posizione pubblica sul massacro di civili a Gaza, interrompa le collaborazioni con istituzioni e aziende legate all’industria bellica israeliana, e sostenga la Global Sumud Flotilla.
“L’università si dimostra antidemocratica" scrivono, come riporta 'Rai News', "noi non ci stiamo”, ha affermato il collettivo Cambiare Rotta su Instagram, criticando la scelta dell’ateneo di spostare online la seduta del Senato accademico. “Finché UniGe non condannerà Israele e il genocidio in Palestina, blocchiamo tutto”, si legge ancora nella loro dichiarazione.
Il tema delle borse di studio e lo “scolasticidio”
Le borse di studio per gli studenti palestinesi sono diventate un punto centrale della mobilitazione. Secondo il coordinamento studentesco Link, sono 186 quelle attualmente disponibili, di cui 97 tramite il network IUPALS. Tuttavia, molti studenti non possono ancora lasciare Gaza, in attesa dell’approvazione dei visti e dell’apertura dei corridoi umanitari.
“Queste borse di studi", sostiene Link, come riporta 'Il Manifesto', "hanno un potente significato politico per un popolo che ha subito uno scolasticidio e ha visto bombardate e distrutte tutte le scuole e le università dei territori occupati”. Il collettivo ha invitato il Ministero dell’Università a prendere una posizione ufficiale contro “il genocidio".
Il commento della ministra Bernini: “No a violenza e chiusure”
La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, è intervenuta con fermezza sui disordini avvenuti in alcuni atenei italiani durante lo sciopero del 22 settembre a sostegno della causa palestinese. “Non è costringendo le Università italiane a chiudere i cancelli che si esprime vicinanza al popolo palestinese, non è impedendo l’ingresso in aula a studenti e studentesse che si manifesta il proprio sconcerto per la carneficina in corso a Gaza, non è aggredendo le forze dell’ordine che si contribuisce alla costruzione di un percorso di pace in Medio Oriente”, ha scritto la ministra su X.
Ha poi aggiunto: “Non possiamo consentire che i nostri atenei diventino zone franche dove si picchiano professori o si occupano spazi dedicati a studio e lezioni. L’impegno del Governo, al fianco dei rettori, primi custodi dell’agibilità e della sicurezza negli atenei, è garantire che le Università rimangano spazi aperti, dove si realizzi veramente il diritto allo studio, dove il confronto sia garantito nella sicurezza e nel rispetto reciproco, con il rifiuto imprescindibile e netto della violenza”.
Un dibattito destinato a continuare
Il confronto tra studenti, atenei e istituzioni è appena iniziato. Le mozioni si moltiplicano, così come le mobilitazioni, mentre i rettori si muovono tra esigenze di neutralità accademica e pressioni interne ed esterne. Intanto, il Collegio dei Direttori è stato incaricato di “mantenere vivo” il dibattito nei dipartimenti, con l’intento di trovare una sintesi tra libertà di ricerca e responsabilità politica. La questione palestinese è entrata ufficialmente anche nei corridoi universitari. E sembra destinata a restarci ancora a lungo.