La leva militare potrebbe presto fare il suo ritorno in Italia. Ad annunciarlo è stato direttamente il ministro della Difesa, Guido Crosetto, spiegando che sta lavorando a un disegno di legge che ha l'obiettivo di garantire la difesa del Paese in uno scenario globale sempre meno sicuro.
Una proposta, la sua, che si allinea a quanto sta succedendo in altri grandi Paesi europei - come Francia e Germania - che stanno già ripensando i loro modelli di difesa e le loro riserve militari.
Proprio il contesto europeo attuale farò da sfondo all'iniziativa italiana. Crosetto ha di fatto aperto a questa possibilità, ma ha chiarito che la decisione finale spetterà al Parlamento.
Ma cosa prevede esattamente il piano italiano? E chi verrebbe coinvolto in questa nuova leva militare?
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Crosetto: Una riserva strategica
Il Ministro Crosetto ha voluto subito smorzare ogni allarme sul ritorno alla leva obbligatoria. Le sue parole sono state chiare sulla necessità di un cambiamento proporzionato al momento che sta vivendo il mondo:
“Io penso di proporre, prima in Consiglio dei ministri e poi in Parlamento, una bozza di disegno di legge che garantisca la difesa del Paese nei prossimi anni e che non parlerà soltanto di numero di militari, ma anche di organizzazione e di regole. Se la visione che noi abbiamo del futuro è una visione nella quale c’è minore sicurezza, ecco che una riflessione sul numero delle forze armate, sulla riserva che potremmo mettere in campo in caso di situazioni di crisi, va fatta”.
Le intenzioni del responsabile della Difesa, dunque, non sono il ritorno alla vecchia naja, ovvero il servizio militare obbligatorio, sospesa ormai da un bel po' di anni (dal 1° gennaio 2005, per la precisione).
L'idea che sta prendendo forma nei palazzi del potere è, invece, più moderna e flessibile. Come ha specificato lo stesso Crosetto al Tg1, si tratterà di una “leva su base volontaria perché penso che anche l’Italia, dopo la Germania e la Francia, debba riflettere su un nuovo modello di difesa proporzionato ai tempi difficili che stiamo vivendo”.
Il piano: 10.000 nuove unità
Ma, alla fine, cosa dovrebbe esserci nel disegno di legge allo studio? L'obiettivo è creare una “riserva ausiliaria dello Stato” più ampia.
Attualmente, esiste già una riserva, ma è molto più selezionata e composta principalmente da ex militari laureati. Come, ad esempio, ingegneri impegnati a progettare ponti in Afghanistan o ad aprire pozzi d’acqua in Libano.
L'idea di Crosetto è di aggiungere una nuova riserva di almeno 10.000 unità, composta non solo da militari in congedo ma anche da personale civile e, soprattutto, aperta anche ai più giovani.
L'attenzione sarà rivolta anche a ragazzi e ragazze esperti in settori strategici, come la cyber sicurezza, per dare supporto alle Forze armate. Infatti, il personale in divisa può contare oggi, tra uomini e donne, solo su circa 160 mila unità. Un numero che viene ritenuto ormai insufficiente da più parti.
È importante sottolineare, però, che questo speciale contingente avrebbe ruoli ben definiti: verrebbe schierato solo per il sostegno logistico, la cooperazione o in caso di calamità naturali. Mai nei teatri operativi.
I modelli europei: Francia e Germania
La mossa italiana, come detto, non è isolata, ma si inserisce in un contesto ridisegnato da Francia e Germania, che hanno già avviato o stanno per avviare iniziative simili.
Fresca di annuncio è la decisione della Francia, con il Presidente Macron che ha annunciato il ripristino di un servizio militare volontario di 10 mesi. Questo servizio coinvolgerà 3 mila giovani per il primo anno, puntando ad arrivare, anche qui, a 10 mila all’anno entro il 2030.
In Germania invece, il piano è ancora più ambizioso e a lungo termine.
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Dal 2026 è prevista una prima fase con incentivi all’arruolamento volontario.
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L'obiettivo è aumentare il personale militare da 182 mila a 260 mila unità entro il 2035.
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Vogliono inoltre far crescere i riservisti da 60 mila a ben 200 mila.
Questi due Paesi hanno già mostrato, dunque, come l'esigenza di potenziare la difesa e le riserve sia diventata una priorità comune in Europa, tanto che anche l’Italia non vuole restare ferma a guardare.